Scrivo sul blog da più di due anni e sono arrivato a produrre quasi 200 articoli pubblicati. In tutto questo periodo, non ho mai scritto in modo approfondito del tecnico lusitano. Parlare delle cose più intime, di ciò che mi piace nel profondo, l'ho sempre trovato difficile, figuriamoci scriverne. Questo perché ho una costante e fottutissima paura di cadere nel banale, il mio vero, grande, terrore. Ho sempre il pensiero di poter risultare stucchevole, quando devo esporre i miei sentimenti più celati. José, ovviamente, mi potrebbe far correre questo rischio, perché lui è qualcosa di molto, ma molto di più che un semplice allenatore. Immaginate di avere 18 anni, di essere nel pieno dell'anno che condurrà alla maturità, di fare i conti con le prime storie d'amore e, in tutto questo turbinio, di avere come condottiero della squadra del tuo cuore un tecnico di 47 anni che ti entra dentro come nessuno era mai riuscito a fare prima. Ecco, Mourinho, per me, è questo. Caso volle che il suo biennio terminasse proprio con la fine dei miei studi scolastici, prima dell'avventura universitaria. Quasi come a dire: adesso, dopo averti regalato la gioia calcistica più importante, è il momento di crescere.

Il Triplete fu apice e tramonto contemporaneamente. La mia prima volta in quel di San Siro fu proprio durante quella straordinaria stagione. Quando misi piede in quello stadio, posso garantirlo, non avrei mai e poi mai pensato che sarebbe stato un anno destinato a restare impresso nella memoria calcistica di tutti noi. Era una gara di fine novembre, contro la Fiorentina di Cesare Prandelli. La partita era tesissima, e occorse un rigore di Milito a pochi minuti dalla fine (dopo una rete annullata a Samuel) per consentire l'esplosione di gioia mia e di tutti i presenti. Una gara pazzesca, gli odori, le atmosfere: chi ha letto ogni tanto qualche mio scritto sa bene cosa rappresenti per me il "Meazza". La cosa che a distanza di anni mi rimane ancora davanti gli occhi, però, è la foga del tecnico lusitano quando giunse la notizia del raddoppio del Cagliari contro la Juventus, in quel momento principale inseguitrice. Con un gesto, era capace di trasmettere qualcosa di inesprimibile. Io non riesco a ricordare nessuno che sia stato così coinvolgente. E la cosa incredibile è che è durato solo due anni questo rapporto: pazzesco.

Dopo questo preambolo (lo sapevo che finivo per farmi trascinare dal sentimentalismo), veniamo alla notizia della settimana: Mourinho è il nuovo allenatore della Roma. Sgombro subito il campo dagli equivoci: non sono irritato e non mi sento tradito. Non sarebbe stato così anche se fosse approdato alla corte di una delle nostre due rivali storiche e non potrebbe essere altrimenti: i nostri miti sono dei professionisti, non ci dobbiamo stupire di nulla. Certo, è evidente, non posso negare che vederlo nella Capitale mi rende sicuramente più tranquillo che vederlo indossare abiti rossoneri o bianconeri, ma il concetto di fondo rimane quello di partenza. E ci mancherebbe altro: personalmente, ho sempre difeso Antonio Conte, il quale si è attratto le antipatie del suo vecchio tifo perché ha preso una decisione per la sua carriera, figuriamoci se mi sarei messo a scrivere di tutto se lo avesse fatto il più grande, colui che ci ha regalato qualcosa di inavvicinabile e probabilmente di irripetibile. Detto ciò, è giunto il momento di spiegare il motivo della domanda del titolo: Mou, ma sei sicuro?

La Roma è una società gloriosa, una delle big del calcio italiano e che lui conosce bene, considerando che è stata la grande concorrente nella stagione 2009/10. La città, poi, è universalmente riconosciuta come la più bella e affascinante del pianeta. Infine, anche se come ho scritto non mi tocca minimamente, non intacca neppure gli animi degli interisti più sensibili. Ebbene (e adesso arriva il MA grande quanto una casa), sei sicuro di poter vincere con il tuo nuovo club? Parliamoci chiaro, la squadra giallorossa rischia persino di non giocare la neonata Conference League l'anno prossimo e, in Italia, parte lontana rispetto alla concorrenza. Ora, qualcuno potrebbe anche dire: non è venuto per vincere, ma per ottenere dei risultati ed è esattamente questo il punto. Mourinho, per me, non può mai essere un allenatore da piazzamento. Se lo chiami, devi per forza puntare al colpo in grande. Questa Roma, però, a meno di rivoluzioni sul mercato attualmente assolutamente impensabili, non può farlo. Dopo l'esonero in casa Spurs, e prima di questo annuncio, stavo ripensando alla carriera dell'allenatore. In molti ritengono lui sia finito con l'Inter. Niente di più falso. Dopo aver trionfato con il Porto, compiendo delle autentiche imprese, dopo aver portato il Chelsea a vincere la Premier League e dopo aver fatto quello che tutti sappiamo in neroazzurro, ha continuato a regalare (e regalarsi) titoli ed emozioni: con il Real Madrid, che in molti ritengono un fallimento non avendo vinto la Coppa dalle grandi orecchie, ha conquistato una Liga contro il Barcellona più forte di tutti i tempi (solo lui è riuscito a interrompere l'egemonia di Guardiola in quel periodo), altri due trofei nazionali ed è sempre arrivato in semifinale di Champions League; il ritorno al Chelsea lo ha visto vincere nuovamente il campionato, prima di andare al Manchester United e deludere le attese, nonostante abbia comunque portato a casa Community Shield ed Europa League. Ecco, fino a questo punto, tutte le scelte che lui ha compiuto le ho comprese fino in fondo. I blancos, il club più blasonato al mondo; il ritorno in blues, a Londra, in una delle "sue" squadre; i Red Devils, che per lui rappresentano molto considerando che il titolare della panchina per un quarto di secolo è stato Sir Alex Ferguson, da sempre indicato da lui stesso come un esempio. Insomma, tutto bene. Quando, però, appresi del suo insediamento al Tottenham a campionato in corso, cominciai a storcere il naso. Come è possibile che uno del suo calibro accetti di subentrare? Per carità, nulla di male, ma uno come lui che ama la progettualità, che desidera avere a disposizione una rosa di un certo tipo, come mai si ritrova in questa situazione? E poi, con il massimo rispetto, per quanto sia cresciuta e per quanto provenisse da una finale internazionale, la squadra londinese non è tra le più forti squadre d'Inghilterra. Certo, ha una dimensione diversa da qualche anno a questa parte, ma non è una delle top in assoluto. Ora, dopo l'esonero, riparte da una situazione analoga: la Roma, per quanto storica e anche ambiziosa, non è una squadra pronta subito per vincere. Che abbia la pazienza di aspettare e costruire un progetto? E, soprattutto, la tifoseria sarà pronta ad attenderlo?

Lo so che quello che sto per scrivere può apparire assurdo, ma paradossalmente avrei capito di più la scelta di andare alla Juventus, che ambisce alla Champions League e che avrebbe rappresentato una sfida stimolante per un vincente come lui, o allo stesso Milan, in cui avrebbe ritrovato Ibrahimovic e che avrebbe potuto portare verso lo Scudetto con una solida base. Alla fine ha scelto il giallorosso e se lo ha fatto avrà le sue buone ragioni. Io non riesco ancora a comprenderle, ma mi fido di lui. Certo, se proprio dovessi giocare al gioco "Se fossi in lui" io avrei fatto un tentativo per allenare la Nazionale portoghese. Non giriamoci intorno: a livello di club è stato, insieme a Pep, il più grande degli ultimi 20 anni. Ha portato al successo tante squadre e a livello comunicativo è stato il più brillante. Inutile anche solo discuterne. Ha saputo tirare fuori dai suoi calciatori il massimo, nei tempi d'oro. Adesso, credo che il suo periodo migliore sia trascorso, ed è proprio per questo che lo avrei visto bene nelle vesti di selezionatore, dove potrebbe raccogliere la più grande sfida possibile: portare il Portogallo sul tetto del mondo. Questo mi sarei aspettato dal Mou che ho imparato a conoscere ma, come ho scritto, mi fido di lui anche se non riesco a condividere questa direzione.

Piccola curiosità: anche l'altro grande tecnico della storia neroazzurra allenò la Roma in Italia. Nel caso di Herrera, però, fu addirittura immediato, lasciando il club dopo la splendida parentesi e approdando sul Tevere nel 1968. Con Mourinho, di contro, sono trascorsi 11 anni, tanti per un verso ma incredibilmente corti se ripenso alla notte di Madrid, a quel trionfo che aveva lui come simbolo. E daje con i sentimentalismi.

No, non parlerò ancora di quella splendida annata.

Io non posso che darti il bentornato, José, perché sono troppo grato per quello che hai donato alla mia vita. Ci delizierai con le tue conferenze epiche e troverai un Paese che ti adora. Sì, anche chi non ti sopporta, non vede l'ora di vederti all’opera, sul campo e non.

Quindi, io te lo chiedo perché ho dei dubbi umani, ma tu puoi fare quello che vuoi.

Ciò che decidi e che deciderai, per me, non sarà mai un errore.

Un interista.

Indaco32