Corriere della Sera di questa mattina, venerdì 15 febbraio 2030. In prima pagina, in taglio alto, la notizia: “Ultimato lo stadio del Milan” e a seguire “Con soli due mesi di ritardo rispetto ai cugini nerazzurri, anche il Milan ha il suo nuovo stadio. Le due squadre meneghine entrano nella nuova dimensione di società di calcio moderne, con stadi di proprietà. Inter a Rozzano, Milan a San Donato. Dopo anni passati tra progetti di ristrutturazione del vecchio Stadio Giuseppe Meazza, seguiti da progetti condivisi fermati dal Comune di Milano con burocrazie e lungaggini infinite, si è messa la parola fine alle attese. A partire dalla prossima stagione, entrambe le squadre inizieranno il campionato di calcio nelle nuove strutture”.
Basta. Stop. The end. Parafrasando i Queen “The show must go…home”. La “Scala del Calcio” si fa da parte. Che tristezza, quanti ricordi…
Da Milano mi sono trasferito in provincia, parecchi anni fa. Poi tutti i giorni avanti e indietro per raggiungere l’ufficio in zona Fiera. Tutti i santi giorni passavo accanto allo stadio, per trent’anni, per trent’anni…
Appoggio la copia del Corriere sconsolato e penso: “Oggi vado a Milano, vado allo stadio di SanSiro, anzi Giuseppe Meazza. Vado a rivedere il tempio. Vado a salutare un vecchio amico, glielo devo”.
Salgo in macchina e via. E come diceva Lucio Battisti ne “La luce dell’Est” ….”Ritorno col pensiero”.
Imponente, sì, era proprio imponente. Questa l’impressione che ebbi la prima volta che vidi SanSiro. Mi ci portò mio padre e con mio fratello vedemmo un Inter -Juventus. Era il primo di marzo del 1970. Lo stadio aveva ancora due soli anelli. Mi impressionarono le rampe di accesso lunghissime e avvolgenti che facevano da cintura a tutta la struttura.
E poi i colori dei tifosi festanti (ma questa è un’altra storia, chi fosse interessato la può leggere qui: lapiubellapartitadellamiavita).
Dopo quel giorno lo stadio di Milano divenne per me un luogo familiare. Ci passavo le domeniche pomeriggio, fuori. Si, fuori . Perchè con un amico (Fausto), non avevamo i soldi per entrarci. Ci accontentavamo di passeggiare lì attorno.
Mentre guido verso Milano mi tornano in mente tre episodi, rimasti impressi nei miei ricordi, che però nulla hanno a che vedere col calcio giocato.
Episodio Uno
Giugno 1984, giorno 24
Era una domenica pomeriggio. L’appuntamento era imperdibile. A San Siro, a partire dalle 18:30, nell’ordine: Pino Daniele, alle 20:30 Santana e in chiusura, alle 22:30, Bob Dylan. Avevo tentato di andarci con il mio amico Fausto, anche lui appassionato di musica e soprattutto di Carlos Santana. Mi aveva dato buca. Doveva uscire con una ragazza. La loro prima uscita. Quest’anno festeggeranno le nozze d’oro… Andai da solo, per modo di dire, saremo stati ottantamila. Esibizioni fantastiche. Pino Daniele non aveva nulla da invidiare agli artisti d’oltreoceano. Santana unico, chitarrista eccellente e trascinante con la sua band piena di percussioni e Bob Dylan con le sue poesie in musica. La cosa che mi colpì di più fu vedere lo stadio trasformato in un luogo per eventi musicali di così alto livello. Una struttura polivalente. Era riduttivo considerarlo solo un luogo per eventi sportivi. Pazzesco, mi aveva colpito e affondato. (In oltre quarant’anni lo stadio di Milano ha ospitato oltre 150 concerti di alto livello).
Episodio Due
Giovedì 17 gennaio 1985
Abitavo ancora a Milano. Come tutte le mattine salgo in macchina per raggiungere l’ufficio. Appena in strada mi trovo circondato da un paesaggio irreale. Ha nevicato, ma nevicato di brutto. Siamo sull’ordine dei 50/60 cm., che per una città vuol dire paralisi. Rumori ovattati e bianco, bianco dappertutto. “Cavolo come vorrei tornarmene a letto…invece mi tocca montare le catene da neve e andare in ufficio.”Pensai infastidito. Finito il montaggio, dopo qualche “moccolo”, mi muovo. Mi rendo subito conto della laboriosità dei milanesi. Tutti in strada per cercare di andare al lavoro. Vedo gente scendere da un autobus impantanato e messo di traverso sulla strada. Tutti lì a spingere per farlo muovere. Poi il mezzo si muove e per non impantanarsi di nuovo lascia a piedi i suoi stessi passeggeri. Decine di persone su sci di fondo, direzione metropolitana. Rob de matt, cose mai viste a Milano. Mi incolonno alle auto in strada. Dopo parecchio tempo, tra code e rallentamenti, arrivo in zona San Siro. E vedo, man mano che mi avvicino, i Vigili del fuoco che corrono impazziti e con le sirene spiegate verso lo stadio. Decine di mezzi dei Carabinieri. La polizia stradale ci ferma. Tutti immobili cercando di capire cosa stia accadendo. Penso subito: “Sarà successo qualcosa allo stadio, sicuramente, la direzione è quella”. E mentre la coda si muove a passo d’uomo, mi immagino lo stadio ferito nella struttura, corto circuiti, incendi o altro ancora. L’ansia sale. Come aveva potuto il maltempo colpire la sacralità di San Siro? Poi piano piano arrivo di fianco allo stadio. È lì, ancora in piedi, che guarda dall’alto delle sue rampe il fratellino più sfortunato: lì accanto, nei primi anni settanta, era sorto il Palazzetto dello Sport di Milano. Una struttura modernissima che, ahimè, non aveva retto il peso della neve, caduta in abbondanza. Il tetto aveva ceduto di schianto. Praticamente distrutto. (Non verrà più ricostruito n.d.r.) Dan Peterson lo definirà “The Black Thursday”. Feci un sospiro di sollievo. Provavo un’affetto incredibile per lo stadio, per quella struttura. Luogo di passioni e mille sentimenti. Era inanimata, certo, ma all’occorrenza sapeva prendere vita, eccome se sapeva farlo!
Episodio tre
25 marzo 2017
La “Scala del calcio” accoglie il Pontefice Papa Bergoglio. Stadio gremito da giovani cresimandi, educatori, genitori, padrini e madrine. Dopo un giro di campo a bordo della Papamobile, la lettura del Vangelo. Un vero e proprio delirio. Non sono mai stato troppo “di Chiesa” ma ho ricevuto i Sacramenti. Credo nella differenza tra il bene e il male. Non sono un praticante, ma quel giorno sono rimasto colpito dall’eccitazione dei fedeli presenti e ho invidiato la loro fede. Per una volta non ho sentito i cori dedicati alle squadre in campo, ma ho percepito sentimenti come la solidarietà la fratellanza e la speranza. Credevo che non ci fosse nulla di più pagano di uno stadio di calcio, eppure è sembrato un miracolo. Un vero e proprio miracolo. Insomma, non più “La scala del calcio”, ma “Una scala verso il cielo”.
…”Ritorno col pensiero”. Ecco il parco di Trenno, tra poco alla mia sinistra lo stadio. Lo vedo in lontananza e più mi avvicino più diventa imponente. L’impressione è come se fosse la prima volta. Fascino e storia…mi sembra triste, forse un po’ più grigio del solito. Non c’è nessuno nei paraggi in questo venerdì di tardo inverno. C’è un po’ di vento e un freddo pungente. Passo sul fianco, faccio un’altro giro…”si, è proprio bello!” Se chiudo gli occhi mi sembra di sentirlo vibrare sotto la pressione di settantamila tifosi festanti. Quello è l’angolo delle caldarroste, mi ricordo un signore con i suoi guanti senza dita, che le mescolava con cura. Che profumo! Che bontà! Poi c’era l’omino che vendeva i cuscini con i colori delle squadre, per sedersi sul freddo cemento…Che tristezza! Una tristezza infinita. Do un’ultima occhiata da destra a sinistra e dall’alto in basso e mentre mi sento un po’ stupido dico ad alta voce: “Ciao caro amico, grazie di tutto”. E sulla via di ritorno mi si stringe il cuore. Giunto a casa, rileggo la data sul quotidiano ripiegato sulla scrivania, 25 Febbraio 2030 e penso: “Speriamo sia la data di un nuovo inizio. Lo stadio di Milano merita di avere un propria vita. Una nuova vita. Che non sia abbandonato al disuso. La storia non si cestina. È un monumento allo spettacolo in tutte le sue declinazioni. È riduttivo pensare al solo calcio. È un patrimonio di Milano. La città ha già perso le sue squadre, speriamo che non perda anche lui.”
“Io sono stato lo stadio di San Siro, la Scala del Calcio. La casa di Milan e Inter. Sono nato il 19 settembre 1926. Milano ha sempre avuto cura di me, con interventi che nel tempo mi hanno cambiato l’aspetto, la capienza e le funzionalità. Tutto ciò mi ha reso bello e unico. Nonostante l’età rimango uno degli stadi più iconici al mondo. Ho un passato glorioso e un futuro tutto da scrivere. Ho dato tanto a Milano, ai milanesi e a tutti coloro che mi hanno frequentato.
Non abbandonatemi!”.
Firmato
Stadio Giuseppe Meazza di Milano
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