Ieri sera, in quel di San Siro, il Genoa si è presentato regolarmente in campo dal 1° minuto per disputare gli ottavi di finale di Coppa Italia, mentre il Milan è rimasto negli spogliatoi. Sono scesi in campo i giocatori rossoneri, quelli sì, ma non la squadra, intesa come entità collettiva distinta dai singoli. C'erano 11 uomini in maglia rossa e nera che correvano per il prato verde, convinti di disputare una partita di calcio, laddove invece gli unici a farlo erano quelli del Grifone, dignitosamente equilibrati in un 4-5-1 (difensivo) e 4-3-2-1 (offensivo) piuttosto scolastico. Passato in svantaggio, il Diavolo ha recuperato il pareggio grazie ai cambi, un po' tardivi peraltro, in quanto operati dopo un'ora abbondante. Si è ripresentato in qualità di squadra solo nei tempi supplementari, quando ha disputato una super mini-partita di 30'. Proprio il rendimento in quest'ultima fase del match, con due reti e un'autentica gragnuola di palle gol, dà la misura del potenziale enorme di questa squadra, ma aumenta i punti interrogativi sui black-out troppo frequenti dei rossoneri, per i quali sembra normale vivere pericolosamente, giocando sul filo del rasoio.

Di tutto si può accusare Stefano Pioli, ma non di aver deliberatamente snobbato l'avversario imbottendo la squadra di riserve o innesti del vivaio. La formazione rossonera, infatti, era: Maignan, Kalulu, Gabbia, Tomori, Theo Hernandez, Krunic, Tonali, Messias, Maldini, Leao, Rebic e Giroud. E non si può neanche dire che il tecnico avesse consapevolmente sottovalutato l'impegno, visto che prima della partita aveva proprio affermato di voler contenere in termini minimi il turn-over. E' un fatto, tuttavia, che il Milan collettivamente inteso non c'è stato per tutto il primo tempo e parte del secondo, per poi provare nevroticamente a esserci solo nella mezz'ora finale dei tempi regolamentari. E questo fatto ha impedito a Pioli di godersi il passaggio del turno, dal momento che, al termine del match, è stato il primo a porsi mille dubbi e rimorsi sulle proprie capacità di motivatore.
Fin dai primi movimenti, l'assetto del Diavolo è parso, ictu oculi, quello del 4-2-3-1 solito. Non era affatto un buon segno, perché questo assetto era troppo evidente per reggere. Ricordava le sagome degli impiegati in un film di Fantozzi, specchietto per le allodole a uso dei capi, mentre i dipendenti erano sulla terrazza a prendere il sole.
Daniel Maldini sostituiva Diaz alle spalle di Giroud e Rebic cercava di scrollare la ruggine dai muscoli. Maldini, tuttavia, c'è stato solo per una prima azione velleitaria, in cui forse avrebbe dovuto guardare Messias libero alla sua destra. Da quell'azione sono venuti due calci d'angolo, sugli sviluppi dei quali Krunic ha accarezzato la parte alta della traversa con una deviazione di testa. Esaurita la fiammata iniziale, più che giocare male, il giovane Maldini è scomparso andando fuori giri. E' difficile capire quanto ciò sia stato causato dalla mancanza di un'identità di squadra degna di questo nome o se ne sia stato egli stesso la causa. In effetti, ricopriva il ruolo di raccordo fra reparto arretrato e avanzato. Più probabile che siano vere entrambe le cose, come in un'auto dove il motore riceve l'elettricità dalla batteria e la restituisce tramite l'alternatore. In effetti, Maldini riceveva un flusso di corrente insufficiente, ma non restituiva alla squadra neanche quel poco.
Nel vuoto pneumatico seguito alla semi-traversa di Krunic su calcio d'angolo, il Grifone passava in vantaggio. Maldini era in copertura, ma con un movimento inspiegabile prendeva la direzione opposta a quella da cui arrivava la palla. Abbandonava la posizione e lasciava campo libero agli avversari, che guadagnavano il corner su cui Ostigard  saltava e incornava in porta. Il suo marcatore, Hernandez, se ne stava inchiodato al terreno, senza neanche disturbare l'avversario, ma anche Maignan non seguiva l'azione, restando fermo sulle gambe al centro della porta. Era un orrore collettivo sintomo, a sua volta, di assenza collettiva, una porcheria che toglieva anche la voglia di arrabbiarsi.

Nel prosieguo del tempo, senza peraltro strafare, il Genoa avrebbe potuto anche raddoppiare. La cosa più grave, tuttavia, era il dolore al ginocchio accusato da Tomori che, per precauzione, lasciava il posto a Florenzi, il quale si posizionava a destra, con Kalulu scalato al centro per tenere compagnia a Gabbia.
Indipendentemente dall'entità dell'infortunio del canadese (che oggi verrà operato al menisco), l'episodio condizionava Pioli, togliendogli comprensibilmente sicurezza. Il tecnico parmense cominciava a porsi molti dubbi sull'opportunità di rischiare altri infortuni con i cambi. Nonostante, infatti, fosse evidente la necessità di agire, Pioli teneva le sostituzioni (Baka-Diaz-Leao al posto di Krunic-Maldini-Rebic) in stand-by fino a oltre il 60°. E andava da sé che, se la qualificazione fosse stata meno importante del rischio di infortuni, i cambi sarebbero stati sconsigliati anche al 60°, mentre le sostituzioni sarebbero state doverose anche a inizio ripresa, nell'ipotesi opposta. Di certo, in svantaggio in un match da dentro/fuori, il 62° è apparso decisamente un momento fuori luogo per i cambi, ma bisogna dare atto che l'uscita di Tomori, appena rientrato dal Covid, avrebbe tolto certezze anche a Giulio Cesare, che non è passato alla storia per i dubbi. Anzi, forse, il Divino Giulio se ne è fatti venire anche troppo pochi di dubbi, altrimenti il giorno delle Idi di Marzo si sarebbe dato per malato e sarebbe rimasto a casa. Questa, però, è un'altra storia.
Fino al 62°, i migliori del Milan erano stati Gabbia, Kalulu e Florenzi, che avrebbero continuato a farsi valere fino al 120°. Qui bisogna spezzare una lancia a favore di Gabbia. Scellerato contro la Fiorentina,  ha avuto la forza di riprendersi dal k.o. del Franchi. Quella sera era al tappeto, ma da persona intelligente ha capito che, quando sbagli, la cosa peggiore è continuare a riprovarci sbagliando ancora. Nelle ultime uscite è apparso essenziale e asciutto, mai alla ricerca di cose strane e avventurose alla Beckenbauer. E chi lo sa che, a furia di comportarsi da Gabbia, non si ritrovi un giorno a essere qualcosa di importante? Se il Milan è rimasto in piedi, è merito suo, oltre che di Kalulu e Florenzi.
Fino al 62°, il Milan aveva collezionato solo una palla gol con una deviazione di testa del caparbio Giroud deviata dal portiere, ma niente altro. Con l'ingresso di Leao, ma anche di Diaz, i rossoneri continuavano a non essere un'entità collettiva degna di tale nome, però colpivano meglio dal punto di vista dei singoli. Leao era una spina nel fianco dei genoani che si dimenticavano di Hernandez, il cui cross al bacio per Giroud metteva fine all'incubo eliminazione. Colpo di testa, rete nell'angolo alto e pareggio.
A questo punto i rossoneri provavano a essere squadra, senza ancora riuscirci, in quanto cercavano di sfruttare l'abbrivio del pareggio chiudendo la partita dell'ultimo quarto d'ora. La manovra era confusionaria
, in quanto gli scambi erano tutti di prima e accelerati per guadagnare secondi, anche quando non c'erano le condizioni per farlo. Il tentativo rossonero di abbattere il muro rossoblu a spallate, tuttavia, rimaneva senza esito, nonostante la sostituzione dello spento Messias con Saelemaekers.
Finalmente, nei supplementari, faceva l'ingresso in campo il Milan come squadra, perché la prospettiva di giocare una partita di 30' con un minimo sindacale di serenità, incanalava ogni rabbia e velleità del Diavolo in schemi precisi, rapidi ed efficaci.  Pertanto, dopo quasi un quarto d'ora e una gragnuola di palle gol, Leao la metteva in porta con un pallonetto beffardo che scaturiva da un cross venuto male. E alla fine, patito qualche alleggerimento del Genoa, visto che anche i rossoneri avevano bisogno di deglutire e respirare, Saelemaekers insaccava il terzo gol facile di piatto.

Il Milan continua a mostrare due facce, come il dio latino Giano Bifronte. Spento e irritante per tutto il primo tempo e poi solo vòlenteroso nel secondo, si è mostrato in tutto il suo splendore e potenziale nei supplementari, in cui ha sciorinato una varietà di soluzioni collettive e individuali da fare impallidire compagini molto più reclamizzate.
L'abulia e la superficialità sembrano sempre in agguato in questa squadra e forse sono nel suo DNA come soggetto collettivo, anche se ieri l'infortunio di Tomori, molto più del gol subito, ha rischiato di trasinare sul fondo dell'Oceano una squadra che è, potenzialmente, un gioiello autentico. Il suo problema è che ha un meccanismo di auto-spegnimento che può essere letale e compromettere una stagione in cui, non mi stancherò mai di dirlo, contano i dettagli. Il principale avversario del Milan è sé stesso, con i suoi black-out improvvisi e imprevedibili. E' sé stesso che il Diavolo deve sconfiggere.
Diaz è apparso più vivo che nelle ultime apparizioni, anche se gli è mancato il gol.
Qualora dovesse sbloccarsi, sarebbe il valore aggiunto, perché è uno che vede la porta, pur con i suoi evidenti limiti fisici, e il gol è l'essenza del calcio.
Il caso di Maldini va studiato. Ha segnato a La Spezia e fatto l'assist a Udine per il pareggio di Ibra, ma ha anche inanellato giocate senza senso e svarioni inspiegabili. E' un estemporaneo? E' il classico elemento da giocata singola? Il problema va chiarito, prima che l'equivoco diventi pericoloso.
Intanto lunedì a San Siro ci sarà lo Spezia, ma il Milan si ricorderà di esserci e di esserci per tutta la partita?
Correre sul filo di una lama affilata è sempre molto pericoloso.