Miti antichi e opere medievali, tra cui la titanica Divina Commedia del divin poeta Dante Alighieri, narrano che gli inferi sono attraversati da ben cinque fiumi. L'ultimo di questa breve lista è il fiume Lete, il quale è visto come il rio dell'oblio. Le sue acque sono talmente pure, che il fiume più cristallino sulla Terra parrebbe ricolmo di fango, al solo confronto. Ma la sua vera particolarità, riguarda le capacità di tali acque. Chiunque vi si bagni, dimentica ogni cosa della propria vita passata. Per gli antichi, le anime che vi si immergevano potevano tornare a nuova vita terrena, in quanto i ricordi di quella passata non li tediavano più. Per Dante era invece un passaggio fondamentale per passare dal Purgatorio al Paradiso, una sorta di lavacro lustrale dell'anima, insomma. 

Ogni individuo o entità, nel corso della sua esistenza, si è trovato di fronte a questo fiume almeno una volta, se non di più. Un punto di passaggio, di sacrificio, in cui tutte le cose che vi erano alle spalle dovevano essere dimenticate, o comunque essere messe da parte, perché una nuova fase potesse cominciare. Perché se il passato può essere ricolmo di glorie, oltre che di dolori, di bei ricordi che non si vogliono abbandonare, nel loro essere meravigliosi nascondo un qualcosa di infido. Celano infatti un grave molto pesante, il desiderio di non voler cambiare, di non volere crescere, anche se ciò significa rimanere fermi, immobili, in un lento marcire. 

Metaforicamente parlando, il Milan dei giorni d'oggi si trova proprio sulla riva del Lete, il fiume dell'oblio. Dall'altra parte c'è un nuovo inizio, forse addirittura una nuova epoca di gloria. Per raggiungerla però, egli dovrebbe sacrificare qualcosa di molto importante, che è il suo attaccamento al passato. Quanto gloriosi sono stati i bei tempi, oramai svaniti. Talmente grandiosi che il solo ricordo vive di luce propria, che acquieta gli animi dei tifosi quando le cose vanno male e dà un piccolo sollievo nella veglia, quando il sogno di quelle coppe e di quei trofei torna a farsi reale, anche se solo pochi istanti. 

"Noi siamo il Milan", si sente ancora oggi urlare dagli spalti e persino dagli scranni della dirigenza. "Non possiamo accontentarci di crescere lentamente e, il Diavolo ce ne scampi, se l'Altissimo proprio non vuole ascoltarci, ripartire completamente da capo. Queste sono cose da medio-piccola. Queste sono cose per chi non ha mai avuto un posto nell'Olimpo del calcio che conta". 

Quei ricordi così vivi e splendidi, quel balsamo per la materia grigia di chi ama questo sport e quei colori, sono una droga la cui privazione appare come una bestemmia. Ricordare, rivivere quelle glorie, oh sì, come potersi privare di una simile gioia? Ma il ricordo, per quanto meraviglioso, è un qualcosa che non esiste. Proietta un'immagine e nulla più. Peggio, con la sua grandezza, immobilizza colui che si sofferma ad osservarlo. Nei suoi miasmi di calma ed estasi, lo consuma sino a quando, nel suo impietrimento, la vittima marcisce. "Guardati indietro, è più semplice. Non devi fare nulla, solo voltare il capo. Non immergerti in quel fiume, è faticoso, ti costerà lacrime e sudore. Voltati e godi. Godi nel ricordo di chi eri. Laggiù lo sarai sempre". 

Che ironia: il Diavolo vittima di uno dei suoi stessi inganni. A raccontarla sembrerebbe una barzelletta, ma purtroppo non lo è. La triste realtà è proprio questa. E basterebbe tenere il capo ritto davanti a sé, per farla finita una volta per tutte. Dimenticarsi, anche se per poco tempo, una manciata di anni, cosa si è stati e cosa si è vinto. Basterebbe così poco per riuscire a immegere il piede in quel fiume, per cercare di raggiungere l'altra sponda. Una sponda che fa paura, perché non si sa cosa ci sia dall'altra parte. Non si riesce a vedere, una nebbia fitta la circonda. Dall'altra parte l'ignoto, da questa la gloria passata. 

"Vanità" dice Al Pacino in un film stupendo di diversi anni fa "Decisamente il mio peccato preferito". E' proprio la vanità che ha portato il Milan a trovarsi dov'è adesso: esattamente dove lo era sette anni fa, quando doveva fare il salto definitivo. Non si è mosso di un passo, non ha compiuto nemmeno un metro da dove si trovava. Non ha voluto crescere, non ha voluto ricominciare. Voleva solo tornare, rivivere quei momenti così grandi, come se potessero ripalesarsi senza alcuno sforzo. "Io sono il Milan", come a dire è mio diritto di nascita vincere. Vincere non è un diritto, così come non è un dovere. Vincere è una prerogativa, un obiettivo. Solo coloro che non hanno pietà nemmeno per sé stessi se lo possono permettere. Solo coloro che immergono i propri piedi nel Lete, ogni qualvolta esso vi si presenti davanti, possono farcela. Solo coloro che dimenticano chi o cosa sono stati. Dimenticarsi un'epoca di grandezza, per raggiungerne un'altra ancora. Ancora una volta, che ironia.

Quando ti deciderai a fare questo passo, grande e vecchio Diavolo? Quando ti deciderai a dimenticarti tutto, una buona volta?
A lasciare i numeri alle statistiche, i trofei alle bacheche, i ricordi ai tifosi?
Lascia che siano tutte queste cose a ricordare, mentre tu cominci a pensare a cosa vorrai diventare... e a impegnarti per farcela.