Se facessimo un rapido sondaggio tra i supporters del Milan, con ogni probabilità ben pochi vederebbero di buon occhio Elliott, fondo attualmente proprietario del club rossonero. Questo si deve al fatto i Singer, azionisti di maggioranza di Elliott, vengono visti come distanti, freddi, distaccati dalle questioni di campo. Come se non gli interessasse, come se fosse un qualcosa di secondario nei loro affari. In realtà la situazione è ben diversa. Il fondo Elliott ha investito molto nel Milan, sebbene non si trattasse di un investimento voluto in origine. Il fondo infatti, come tutti sanno bene, è stato ereditato dalla disastrosa gestione Li, la quale aveva un debito monstre proprio con il Fondo, a garanzia del quale aveva messo niente meno che il club. Impossibilitato a ripagare i propri obblighi, Li ha visto sfilarsi di mano la società che, inevitabilmente, è finita a Elliott. Al fondo, questo chiaro esempio di malagestione ad opera di Li è costato parecchio: circa 300 milioni di euro, a cui devono aggiungersi diverse ristabilizzazioni finanziarie e ricapitalizzazioni, che portano il totale ben oltre la soglia del mezzo miliardo. Una bella cifra per un "qualcuno" che, da come viene disegnato, se ne dovrebbe fregare del Milan. La verità è che Elliott ha a cuore le sorti del club. Chiaro, non per affetto, quello non c'entra nulla, ma certamente lo è per affari

Se le parole di Gazidis dicono il vero, il Milan vedrà ricapitalizzata completamente la perdita dell'ultimo bilancio d'esercizio, più qualche spicciolo per migliorare le finanze. Significano altri 80-90 milioni che Elliott dovrà scucire. Inoltre l'affare stadio, sempre che si faccia, verrà a costare circa 1 miliardo e 200 milioni, e questo solo per la parte che spetta al Milan. Non proprio spiccioli. Ciò che sta dunque facendo Elliott è un vero e proprio salasso delle proprie finanze, sebbene molto ben fornite, nei confronti di un club che non avrebbe mai acquistato, senza il passaggio intermedio di Mr. Li. Lo scopo è chiaro a tutti: migliorare la situazione del club rossonero, al fine di poterlo rivendere e, come minimo, rientrare dall'investimento. Un'impresa tutt'altro che semplice e che, per ragioni molto chiare, tiene ancora lontani possibili investitori. In molti infatti vorrebbero una proprietà solida come titolare, al posto di un edge fund. Una realtà che investa perché crede nel blasone e non perché ci deve guadagnare. Un desiderio facile da comprendere, ma molto difficile da mettere in pratica e vi spiego il perché. 

Per quanto i club siano oggi considerati come aziende a tutti gli effetti, portano con sé un particolare difficile da digerire per qualsiasi imprenditore: sono aziende da cui quasi mai ci si guadagna. Chi detiene aziende vi investe le proprie risorse affinché l'impresa possa generare utili. Al termine dell'anno, gli utili possono corrispondere parzialmente o totalmente al guadagno effettivo dei soci e degli azionisti. Sto parlando dei dividendi, termine che credo che tutti, anche i profani in fatto di economia, avranno sentito almeno una volta. Ebbene, sono ben poche al giorno d'oggi le squadre di calcio a generare utili e, quindi, dividendi per i soci. Pensate che nel 2018, nonostante avesse vinto la Champions League, il Real Madrid portava a casa appena 32 milioni di utile. E questo, nonostante il suo fatturato sfiorasse gli 800 milioni. Morale, le squadre di calcio sono molto onerose, ovvero costano parecchio. E' difficile guadagnarci in maniera diretta. Chi lo fa solitamente, sono quelle squadre di media categoria che, attraverso un ottima gestione di compravendita dei giocatori, aumentano i propri ricavi straordinari. Le squadre di alto livello invece, comprese quelle stellari, fanno sempre fatica ad aumentare i propri guadagni netti. 

Mi si chiederà allora: "Perché vi sono imprenditori e intere società che comprano e gestiscono squadre di calcio?". Se i club non permettono guadagni diretti, lo possono fare in maniera indiretta. Sto parlando del cosiddetto "brand", di cui Berlusconi fu un grande fautore quando il calcio era solo uno sport e non un mondo fuso con la finanza. Egli infatti, attraverso il suo "amore" per il Milan e il desiderio di farlo vincere, vide migliorare e farsi più luminosa la sua posizione imprenditoriale. In altre parole, aveva visto il proprio personal brand migliorare, grazie al concomitante miglioramento del brand Milan. Per riassumere in parole più semplici: coloro che comprano club calcistici, lo fanno affinché il brand della squadra possa migliorare e accrescere le loro opportunità affaristiche e commerciali. Vedasi come esempio il perfetto investimento fatto da Suning con l'Inter. Come mai nessuno sembra seriamente interessato a farlo con il Milan? Qui casca l'asino, come si dice spesso in questi casi. 

Quando Moratti decise di cedere il club, lo fece in un momento in cui comprese che non poteva più guidare una società nell'epoca nascente del Fair Play Finanziario. Per giungere al triplete, Moratti aveva infatti svenato le casse del club per circa un miliardo in un quinquennio. Risanarle non era cosa facile, ma nel quale Erik Thohir ci è riuscito almeno in parte. Al momento dell'acquisto, Suning aveva dunque trovato un club ancora in difficoltà, ma in crescita, con buona probabilità di emergere in un periodo relativamente breve. Una situazione dunque ottimale per uno che voleva esportare il proprio marchio in Europa. Il Milan non naviga in queste acque. Non ancora almeno. Il suo bilancio presenta rossi (ovvero perdite) importante da oramai diversi anni. Se una società vuole vincere oggi, deve poter investire nelle proprie rose, ma per farlo deve gerare utili, altrimenti il Fair Play Finanziario li colpisce. Se non si vince, il brand cala e così la possibilità, per un fantomatico proprietario, di aumentare i propri personali affari. In altre parole, nessuno comprerà il Milan finché la situazione economico-finanziaria non comincerà a migliorare. Sino ad allora, se qualcuno dovesse bussare alla porta, si dovrà stare molto attenti. Il rischio è di ritrovarsi un altro folle Mr. Li in casa, il quale ha peggiorato la situazione in maniera preoccupante.

Gazidis infatti non mente quando dice "abbiamo salvato il Milan dalla serie D", ovvero dal fallimento. Potrà sembrare esagerato, ma questo è. Per quanto in pochi ci possano credere, un edge fund come Elliott è, in questo momento, la proprietà migliore che potesse capitare. Questo per vari fattori: ha casse molto ricche; non ama veder fallire i propri investimenti; ci deve guadagnare; sa come risanare i bilanci. In altre parole, forse non avrà amore per il club, ma ha di certo interesse nel sistemarlo e nel farlo crescere. Certo, ciò non significa che l'anno prossimo il Milan vincerà lo scudetto e quello dopo la Champions. Sarebbe anche ora di smettere di sognare simili follie. Molto probabilmente però, se Elliott riuscirà a sistemare la situazione economica, sarà già un grande risultato. Una solidità economico-finanziaria significa investimento con ampi margini di successo per una società, o imprenditore, interessati. Lì allora si potrà pretendere che il Milan passi di mano. Probabilmente il rapporto economia-calcio è particolarmente indigesto e difficile da comprendere. Ma nel mondo calcistisco attuale è una necessità da cui non si può prescindere. La speranza è che l'invettiva del gruppo Elliot possa dare i suoi frutti, il prima possibile.