Quasi due anni fa, il Milan incassava l’ennesima, destabilizzante sconfitta contro l’Atalanta di Gasperini. Poi, tra un’ondata di Covid e l’altra, la compagine rossonera ha finalmente trovato la quadra: ha racimolato punti in classifica, ha investito in maniera adeguata sul mercato i pochi soldi a disposizione e, dopo sette anni, è persino tornato a calcare gli ambiti e tanto agognati palcoscenici della Champions League.
Se da un lato ho visto risorgere la mia squadra del cuore, dall’altro ho visto naufragare la mia passione e il mio interesse verso l’arte del giornalismo sportivo. Per quanto l’attrazione verso questo mondo sia sempre forte, da un po’ di tempo mi è difficile trovare l’argomento giusto e il modo in cui trattarlo. Penserete: ma come, proprio ora che il Milan viaggia a gonfie vele? Sì, proprio adesso. Perché, miei cari lettori, diciamocelo chiaramente: l’uomo è facilmente incline alla critica più che al complimento. Era così semplice buttare giù alcune righe in cui contestare l’ennesimo allenatore scelto dalla dirigenza o abbozzare un nuovo e innovativo modulo che potesse invertire la rotta della squadra.
Ma adesso, di cosa parlare?

Ho cercato l’ispirazione assistendo poco più di una settimana fa alla partita di campionato contro il Sassuolo. Durante tutta la durata della partita, mi guardavo intorno alla ricerca di quel qualcosa che potesse accendere la famosa lampadina che gravita sopra le nostre teste. Ogni quarto d’ora pensavo di avere l’idea geniale. Vi elenco di seguito alcuni dei titoli che avrebbero potuto far vacillare la giuria del premio Pulitzer: “Mamma, ho perso la metro. Mi sono smarrito a Milano Porta Garibaldi”; “Credevo fosse asma, ma erano i trent’anni. La scalata di un ex giovane verso il secondo anello”; “Sondaggio fra i tifosi: il maiale è ancora l’animale più invocato dopo un gol della squadra avversaria”.

Lasciato lo stadio nello sconforto per la sconfitta e per le poche idee da inserire in un nuovo articolo, non mi sono comunque arreso. Ho deciso così di immergermi nello stadio di un qualsiasi lettore o scrittore, una libreria. Proprio mentre mi chiedevo come Can Yaman e Philippe Daverio potessero essere sullo stesso scaffale, mi imbatto nel libro di Luciano De Crescenzo, “I grandi miti greci”, una monumentale raccolta dei miti presenti negli scritti di Sofocle, Virgilio, Omero, Ovidio e così via. Assorto nella lettura, mi accorgo di come alcuni di questi miti possano essere adattati ai fatti riguardanti il Milan di questi ultimi mesi.
Ebbene sì, il Milan si intreccia con la mitologia greca.
Immaginate che, dopo la sopracitata sconfitta di Bergamo, aveste deciso di non seguire più il Milan. Dopo due anni lontani dai rossoneri, rinsavite e decidete di dare un’occhiata alla classifica del campionato. Vi ritrovate la vostra tanto amata squadra al primo posto e in lotta per accedere agli ottavi di Champions. Inutile dirvi che la vostra reazione sarebbe di incredulità, come quella di Laerte, il mitico re di Itaca, figlio di Arcesio e padre di Ulisse. Quando suo figlio Ulisse tornò a Itaca dieci anni dopo la fine della guerra di Troia, Laerte non lo riconobbe. Per convincere il padre, Ulisse dovette descrivergli il frutteto che un tempo il padre stesso gli aveva donato. Allo stesso modo, sarebbe complicato spiegare a qualcuno che la squadra uscita distrutta da Bergamo e quella che ora guida la classifica di Serie A sono effettivamente la stessa squadra.

Strano a dirsi, ma il mito del filo di Arianna è paragonabile alla storia di amore e odio fra il Milan e Calhanoglu. Da un lato, il Milan nei panni di Arianna, figlia del re di Creta, Minosse, dall’altro Calhanoglu nei panni di Teseo, figlio del re di Atene, Egeo. Secondo la leggenda, Minosse, uscito vincitore dalla guerra contro Atene, aveva ordinato che ogni nove anni sette ragazzi e sette ragazze di Atene venissero inviate a Creta per essere divorate dal Minotauro, essere mostruoso con il corpo di un uomo e la testa di un toro, rinchiuso all’interno di un labirinto. In occasione della terza spedizione sacrificale, Teseo decide di imbarcarsi verso Creta per uccidere il Minotauro e liberare Atene da questo supplizio.
Una volta a Creta, Arianna si innamora perdutamente di Teseo e decide di aiutarlo nell’impresa, fornendogli una spada avvelenata, ma soprattutto una matassa di filo da srotolare per ritrovare la via d’uscita dall’intricato labirinto. Trovato e ucciso il Minotauro, Teseo scappa da Creta con Arianna. Tuttavia, nonostante il grande amore dimostrato dalla giovane principessa, egli preferisce abbandonarla più tardi sull’isola di Nasso e rimettersi in viaggio verso nuove avventure, fra cui il rapimento di Elena di Troia e un viaggio nell’Ade.
Proprio come il principe ateniese, il turco ha deciso di piantare in asso la propria squadra dopo che questa l’aveva aiutato a raggiungere importanti traguardi professionali.

Restando ancorati alle trame di mercato di quest’estate, la storia che ha coinvolto il Milan e Donnarumma è molto vicina al mito di Dedalo e Icaro.
Dedalo, noto scultore alla corte del re Minosse, era stato l’ideatore del labirinto in cui era stato rinchiuso il Minotauro. Si narra che Dedalo venne accusato di essere il responsabile della morte del mostro e della conseguente fuga di Teseo con Arianna e che fu condannato ad essere rinchiuso con l’amato figlio Icaro all’interno dello stesso labirinto. Come alcuni di voi sapranno, Dedalo ideò delle ali artificiali servendosi di piume di uccello, fili di lino e cera. Prima di spiccare il volo, Dedalo raccomandò il figlio di volare a mezz’altezza: né troppo in basso per evitare che l’umidità appesantisse le ali, né troppo in alto per evitare che il sole sciogliesse la cera. Attratto dall’alta quota, Icaro si avvicinò troppo al sole e il calore di questo fuse la cera, facendolo cadere in mare e provocandone la morte.
Tornando ai giorni nostri, si spera che il sole, che in questo caso porta il nome di Keylor Navas, non sciolga le ali del portiere della nazionale italiana, facendolo annegare in un mare fatto di panchine e staffette.

Tra pochissime ore, il Milan è chiamato a fare l’impresa per centrare la qualificazione agli ottavi di Champions League nell’ennesimo scontro europeo contro il Liverpool. Ormai completamente immerso nel mondo antico greco, immagino Ibrahimovic nei panni di Giasone, figlio del re di Iolco, Esone, che per recuperare il trono usurpato al padre, guida un folto numero di eroi, denominati gli Argonauti dal nome della nave Argo, alla conquista del vello d’oro, il manto dorato di un ariete volante capace di guarire qualsiasi ferita.

Alla fine di questo viaggio epico, il mio augurio è che tra molti anni possa raccontare ai miei nipoti l’ira funesta che si abbatté sui Reds in una fredda sera di dicembre e di come il vello d’oro entrò nelle mani dei dirigenti rossoneri sottoforma di euro sonanti e nuovi top player.