Ci sono cose che senti sotto pelle. Cose che non vedi, che non puoi toccare e nemmeno udire, ma che si percepiscono, proprio sotto la cute, sotto il cuoio capelluto.
Cose che si palesano con qualche minuto di anticipo e somigliano a una lieve corrente. Una via di mezzo tra la scossa elettrostatica, quella che ci fa saltare quando tocchiamo una superficie metallica in una giornata umida, e quel fastidioso formicolio di quando ti si addormenta un braccio. Una sensazione poco piacevole,  che è annunciatrice di un destino infausto, o almeno poco piacevole. La medesima  sensazione che ieri sera, ore 21.30 di una domenica umida e particolare, ho provato mentre mi stavo godendo il fine primo tempo di un derby momentaneamente su uno 0 a 2 inatteso. Inutile dire che in quel momento, così come molti altri milanisti, stavo gongolando bellamente. Ma mentre lo facevo, dentro di me ho cominciato a provare questa stramba sensazione, quella sottile corrente sotto pelle che, giunta ai miei neuroni, si è tramutata in una voce stridente e infingarda. Guarda che questi la recuperano

Non si sa perché, o per come, simili sensazioni ogni tanto ci giungano. Non credo che si tratti di preveggenza o roba simile. Semplicemente, credo che si tratti di una chiara visione delle cose. Una visione che, più che sui punti di forza, si fissa su quelli di debolezza dell’intera situazione. Come quando si guarda un’opera d’arte, una costruzione architettonica maestosa, o ancora si ode una ballata stupenda. Invece che apprezzarne la bellezza, qualcosa dentro di noi ci porta a cercarne le minuscole fragilità. Come se dentro la nostra testa ci fosse un omino infingardo, un bastardo puntigliosetto e guastafeste, cinico e privo di qualsiasi poesia, ma sincero. Tremendamente sincero. Manco a dirlo,  per quanto fastidiosa, questa vocina dentro la mia mente aveva già capito tutto. Guarda che questi la recuperano, gli basterà trovare una piccola breccia infinitesima, per mandare tutto per aria. E l’hanno trovata questa breccia, eccome se l’hanno trovata. L’unica realmente in grado di rimettere in partita un Inter confusa e, a tratti, persino impaurita.
Quella del carattere.
Un problema non da poco perché, se la tecnica si aggiusta, la tattica muta, il modulo evolve, col carattere non puoi farci niente. Ce l’hai o non ce l’hai, non c’è una via di mezzo. E se questa è, o meglio è stata, una pessima notizia per il Milan, paradossalmente potrebbe essere la migliore. Perché, per una volta, quello del carattere è stato l’unico vero problema, in un contesto globale dove il resto ha funzionato. In altre parole, finalmente un punto di partenza su cui lavorare.  

Ora, siamo sinceri, perdere 4 a 2 in rimonta, subendo ben quattro reti in un solo tempo, fa male. Ma che dico male, malissimo. Il classico dito che va a pigiare sulla classica ferita aperta e infetta. Solo per fare un esempio, non vi dico che faccia aveva il sottoscritto ieri sera, alle 22.30. Penso che il calendario non abbia abbastanza santi, rispetto a quelli che ho tirato giù poco prima della mezzanotte. Detto ciò, i momenti brutti non sono necessariamente portatori di solo male. Se li si guardano bene, con fare freddo e circospetto (consigliabile attendere almeno 24 ore dalla disfatta, prima di farlo), le sconfitte possono insegnare molto a chi le ha subite. Soprattutto se la sconfitta è a metà, esattamente come quella di ieri sera, dove per un tempo il Milan è parso dominatore del campo, del gioco e persino delle anime dei suoi avversari.
Sì, le sconfitte possono portare consiglio, se motivate e soprattutto se lo sconfitto glielo permette. Pensiamo a Istanbul 2005, che è forse la sconfitta più pesante nella storia recente del Milan. Dopo una sconfitta del genere, c’era ben poco da raccogliere, soprattutto dato che bisognava ricominciare tutto da capo. Eppure, grazie a una mentalità giusta, un carattere scultoreo e una età media importante in rosa, due anni dopo il Milan ha ottenuto la sua rivincita. E che rivincita. Tornando all’odierno, da dove dovrebbe ripartire il Milan, passate le 24 ore di dolore del post partita?

Innanzitutto da ciò che ha funzionato: quel mirabolante primo tempo. In quella frazione di gioco infatti il Milan è stato tutto tranne che fortunato. Ha espresso idee, volontà di imporsi e soprattutto freddezza di pensiero. Un piccolo passo in più, sulla lunga scala della maturità. Quarantacinque minuti in cui Pioli e i suoi hanno dato l’impressione di aver trovato, forse, il modulo e gli schemi di gioco utili a portare a casa il risultato. Tre quarti d’ora di cui Mr. Pioli dovrebbe obbligarne la visione quotidiana ai suoi, al fine di ripresentarlo in campo rapidamente. Possibilmente, partendo già nel big match di Coppa Italia contro la Juventus, che si avrà questo giovedì.

In seconda istanza, la ripartenza del Milan dovrebbe cominciare anche da ciò che NON ha funzionato. Il lettore mi perdonerà se tendo a ripetermi, ma vorrei ancora una volta sottolineare il concetto: il carattere. Anche il carattere si può costruire, si può forgiare, ma ci vuole tempo, molto tempo. Ci vogliono minuti, partite, intere stagioni per riuscire a rendere duro come l’acciaio, ciò che è morbido come la melassa. Ci vuole tempo, ma soprattutto esperienza, esempio, modelli a cui ispirarsi. Facciamo per un attimo un confronto tra ciò che il Milan era prima e dopo il ritorno di Ibrahimovic. Che cosa vediamo? Vediamo una squadra persa nella confusione e nelle proprie paure, tramutarsi quanto meno in una compagine più ordinata e più serena dal punto di vista mentale. Prova del nove che mette in netta discussione il tanto vituperato progetto giovani, urlando in direzione dei piani alti che a questo Milan servono veterani. Non tanti, non troppi, non necessariamente campioni, ma come minimo esperti. Una cosa sui cui i signori Boban e Maldini dovrebbero ragionare, sempre che la loro avventura dirigenziale al Milan non si interrompa anzitempo. 

Infine, i tifosi di tutte le altre squadre spero mi perdoneranno, ma mi piacerebbe rendere una parola a coloro che, come me, vivono la causa rossonera come parte integrante della loro vita. Mi rivolgo a voi tutti che condividete questa stupenda passione e lo faccio al fine di ricordare, anzi rimarcare, un tratto che contraddistingue la nostre fede, se così si può chiamare. Ed è quello dell’attaccamento alla squadra. Come dicevo prima, perdere 4 a 2 nel derby, tra l’altro con una tremenda rimonta, non è facile da digerire. Detto ciò, vorrei ricordare che noi eravamo quelli che, sebbene la nostra squadra giocasse in Serie B, riempivano San Siro sino a farlo vibrare. Siamo quelli che, persino ieri sera, seppur fievolmente, abbiamo applaudito il coraggio di quegli undici ragazzi tinti di rosso e di nero. Tra tante imperfezioni, questa è una cosa meravigliosa, che non dobbiamo assolutamente dimenticare. Perché se così fosse, tutte le speranze del Milan crollerebbero e di Milan, in senso stretto, non avrebbe più senso parlare. 


“Il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro, senza perdere il tuo entusiasmo” - Winston Churchill



Un abbraccio

Novak