Negli ultimi giorni ho avuto modo di chiacchierare un po’. Tra cene di lavoro e un paio di eventi, anche un orso come il sottoscritto si è concesso qualche ora di sane parole gettate al vento.
Inutile dire che, tra tutto questo parlare a tempo perso, il tema calcio si è palesato in più occasioni. E, come se la fede sportiva fosse dotata di una sorta di magnetismo, ad un certo punto mi sono ritrovato esclusivamente tra milanisti.

La scena è questa.
In attesa di sederci a mangiare, io e questi altri quattro amanti dei colori rossoneri ci siamo messi in marcatura stretta al tavolo del buffet. Mia moglie è lontana, volutamente allontanatasi con le altri gentil signore. Lo sguardo che mi rivolge mentre si defila è chiaro più di mille parole. Pare infatti dire “se anche oggi hai intenzione di parlare di calcio, vai in bianco da qui alla Befana 2024”. Ora, dato che la vita monastica non sia proprio il mio forte, cerco di unire l’utile al dilettevole. In altre parole, mi infilo una focaccella in gola e cerco di starmene zitto. E questo tentativo a metà tra l’auto-strangolamento e il silenzio indotto per un po’ pare funzionare, quando all’orecchio mi giunge una frase. “Raga, diciamocelo, il Milan non vince perché non ha campioni”.
In quel momento, i peli mi si rizzano con tale violenza da trapassarmi la camicia. Cerco in tutti i modi di tenere a freno la lingua, ma qualcosa di irreprensibile dentro di me polverizza la focaccella, la quale sta ancora transitando nel mio esofago. La mia bocca comincia a tremolare e, mentre i mie polmoni buttano fuori aria alla rinfusa, delle parole fuoriescono incoscientemente da essa. Due nomi, per essere precisi. E questi nomi sono Bonucci prima e Higuain dopo
Il danno è fatto. Da una parte mia moglie mi lancia l’ennesimo sguardo, quello definitivo, che sancisce una sentenza apparentemente inappellabile. Dall’altra, il silenzio dei miei colloquianti è talmente denso, che capisco di averli indispettiti o quanto meno sorpresi. E dato che oramai non ho più alcuna speranza di redimermi, non c’è nulla che mi possa trattenere.

Il Milan non vince perché non ha campioni. Ma quali campioni? Cosa vuol dire essere un campione e quanti ce ne devono essere in una squadra, perché questa possa vincere? Se ancora non lo si è capito, io non credo minimamente in una simile tesi, per quanto essa sia molto diffusa. Non vi credo almeno nel modo e nella filosofia con la quale viene troppo spesso espressa. Non vi credo in quanto, come già fatto intendere, il Milan di sedicenti campioni ne ha avuti, anche nell’epoca vigente. E, nonostante essi siano transitati per Milanello, la situazione non è migliorata minimamente anzi, a tratti è persino peggiorata. È peggiorata al punto che, il loro rapido andare e venire, ha alimentato quella che è oramai vista come una maledizione. Quella in cui si narra come al Milan i giocatori si perdano. C’è qualcuno che avrebbe il coraggio di dire il contrario, soprattutto dopo aver visto come sono andate le ultime stagioni? Io non credo. Oggi di certo il Milan non ha campioni in squadra, questo è innegabile, ma ne è ha avuti. La vera domanda che dobbiamo porci è: che tipo di campioni ha avuto e di quali invece avrebbe bisogno?

Non è facile definire cosa debba avere un giocatore, per essere definito campione. Forse, in realtà, non esiste un unico tipo di campione. Personalmente, io credo che il valore di un’atleta si riconosca dalla somma di tre componenti: talento naturale, preparazione, esperienza. In altre parole un giocatore è quello che è, sulla base di ciò che madre natura gli ha concesso, di quanta serietà e dedizione mette in allenamento, nonché nell’esperienza che accumula nel corso del tempo.
Questo però vale per ogni giocatore, almeno a mio avviso. Per essere campione infatti, non basta che queste tre caratteristiche siano presenti ai massimi livelli. Serve una quarta caratteristica, la quale trascende la propria dimensione personale, influenzando quella collettiva, ovvero quella di squadra.
Tale quarta componente è il carisma. Non esiste infatti squadra vincente al mondo, che non abbia al suo interno una figura, se non più di una, che sia carismatica. Carismatico è infatti quel giocatore che, non solo può risolvere la partita con una giocata, ma è quello che porta la squadra intera a cambiare marcia. È quello che non ti permette di lasciarti andare allo sconforto, quando le cose vanno male. È quello che ti tiene con i piedi per terra, anche quando il parziale a tuo vantaggio pare irrecuperabile. È, in una sola parola composita, l’uomo-squadra. Non c’è clima avverso che lo possa abbattere, in un certo senso è lui stesso a generare il clima a cui gli altri si abbandonano.

L’esatto contrario di quanto è accaduto, e accade ancora oggi, in casa Milan. E il clima che si vive tra quelle mura, credo che sia chiaro a tutti, è decisamente poco proficuo. Lo sanno bene proprio Bonucci, il quale ha pensato bene di ritornarsene alla Juventus dopo un anno, e Higuain, che ci ha messo molto meno a togliere le tende. Per questo, quando mi sento dire che il problema del Milan è la mancanza di campioni, io trasalisco. Quali campioni? Che tipo di campioni? Non fraintendetemi, pure io potrei essere d’accordo con una simile affermazione, ma bisogna essere più specifici. Per quel che mi riguarda infatti, il Milan ha si bisogno di un campione, ma nel vero senso della parola, ovvero quello che non solo cambia le sorti in campo, ma lo fa anche e soprattutto nelle menti dei propri compagni. E al mondo, credetemi, sono ben pochi. 

Ultimamente, le voci su un possibile ritorno di Ibrahimovic si sprecano. Personalmente, farei carte false per realizzare una simile possibilità. Zlatan Ibrahimovic è infatti il campione nel vero senso della parola, ovvero è l’uomo carismatico che servirebbe come il pane al Milan. Ha 38 anni, è vero. Non gioca in campionati di livello da tempo, verissimo anche questo. Ma, più che le sue gambe e il suo talento, Ibrahimovic ha una cosa che molti altri campioni, forse anche quelli più forti di lui, non hanno. Zlatan Ibrahimovic ha carisma. Per citare quanto detto poche ore fa dallo stesso Nocerino, suo ex compagno proprio sotto la bandiera rossonera, lui “è quello che ti porta a dare tanto”. Il suo potenziale trascende la sua individualità, trasforma ciò che ha attorno. E Nocerino lo sa bene, dato che in una stagione giocata insieme allo svedese segnò tredici reti, lui che aveva una media gol di una o due reti a stagione.
Il Milan ha dunque bisogno di campioni? No, ne ha bisogno di soltanto uno, e uno in particolare, con determinate caratteristiche. Non è detto che esso debba essere per forza lo svedese proveniente da Malmö, ma è chiaro che costui ne è il prototipo perfetto.


P.s.: arrivata la prima portata e infilate le gambe sotto al tavolo, la mia amorevole moglie alla fine mi ha perdonato. Temo però che la prossima gara del Milan me la guarderò dietro una pila di indumenti e con in mano la stirella.