Da quando è stato reso noto il rifiuto dell’UEFA alla richiesta  formulata dal Milan di settlemeent agreement, le notizie e soprattutto le previsioni più nefaste si sono succedute sul prossimo futuro della gloriosa società rossonera.

Paradossalmente però ci appare ancora più clamoroso l’assordante silenzio della FIGC che non solo non ha difeso una delle sue più importanti affiliate, ma con questo silenzio ha finito per danneggiare anche e soprattutto se stessa; dovesse l’ UEFA  squalificare il Milan dalle competizioni europee per assenza dei necessari requisiti, come può la stessa società essere già iscritta al Campionato di serie A?

Ma accantoniamo questo argomento, peraltro giustamente stigmatizzato da altri osservatori e cerchiamo di analizzare in profondità l’accaduto.

Anche se non disponiamo della motivazione al deliberato UEFA , a detta di Fassone dodici pagine all’esame di un pool di tecnici incaricati della memoria difensiva, dallo stesso AD milanista abbiamo avuto conferma che essa sarebbe imperniata nella mancanza di garanzie sulla continuità del club e quindi sulle incertezze legate alla sconosciuta capacità patrimoniale dell’attuale proprietà.

Posto che dubitiamo l’UEFA conosca la capacità patrimoniale di tutti i club affiliati che ogni anno partecipano alle competizioni europee, ci appare molto singolare come questa organizzazione possa entrare nel merito della consistenza patrimoniale di privati, legittimi proprietari di società per azioni.

Ma ancor di più ci appare improbabile che la UEFA conosca il grado di continuità che le proprietà dei club affiliati siano capaci di garantire agli stessi. Domande: se una proprietà decidere di vendere, fino al closing, inizia un periodo di “fine della continuità”? E quando finalmente trova un acquirente bisogna chiedere alla UEFA il gradimento?E se una solida proprietà subisse una importante perdita, insorge il dubbio sulla capacità patrimoniale e incertezza sulla continuità del club?

Ovviamente sono domande provocatorie, perché in assenza di una normativa adeguata neanche i coloni dell’UEFA possono applicare tali criteri di valutazione.

Da qui discende la convinzione che le decisioni assunte sulla istanza Milan siano inconcepibili; d’altra parte è pur vero che è la prima volta che viene rifiutato dall’UEFA il “patteggiamento”.

Eclatante e calzante la disparità di trattamento riservata dall’UEFA l’altra società milanese; anche l’Inter quando passò dalle mani di Moratti a quelle di Tohir, passò da una proprietà che dava assolute garanzie, ad un altra quantomeno sconosciuta e nel 2015 concordò a Nyon il patteggiamento; ebbene circa un anno dopo Tohir cedette la proprietà a Suning.

Forte di questi precedenti e sicuramente rappresentato al meglio, il Milan si presenterà alla Camera di arbitrato della UEFA, pare il 7 giugno e attenderà le sanzioni deliberate che potranno essere oggetto di ulteriore ricorso al Tas di Losanna.

Non ci sorprenderemmo se la società rossonera se la cavasse con una semplice multa, magari in parte oggetto di condono in quanto condizionata al rispetto di determinate condizioni che verranno stabilite, come successo nella maggior parte di queste delibere.

In ogni caso, la cosa peggiore che potrebbe accadere l’esclusione dalle coppe europee per uno o più anni, non frenerebbe, né economicamente né sul campo di calcio, la voglia di crescita del Milan cinese.

Lo ha fatto capire bene l’esito del CDA: la proprietà ha deliberato un nuovo aumento di capitale: Yongong Li non lascia, raddoppia e Fassone ha annunciato che non verrà modificata la campagna acquisti.

Coloro che hanno già profetizzato il blocco del mercato, il fuggi fuggi dei calciatori sotto contratto, la cessione della proprietà, eccetera eccetera eccetera, sono serviti!