Partiamo da un presupposto: tutto questo non era previsto.
Non era previsto dopo una cavalcata verso la salvezza che aveva preso sempre di più i tratti di una impresa titanica contro un destino avverso.
Non era prevista dopo la rissa sfiorata fuori dall'Olimpico, con un tifoso della Lazio che, in maniera un po' ingenerosa (e soprattutto abbastanza vergognosa) lo aveva insultato. Lui aveva reagito in maniera energica, come era suo uso. 
Non era previsto che succedesse dopo che il suo nome era stato accostato a panchine prestigiose, persino a quella della Roma, squadra dove non è mai stato troppo amato. 
Non era previsto che succedesse mentre il Bologna stava facendo una campagna acquisti faraonica per gli standard degli ultimi anni, che aveva reso la rosa più competitiva e che sembrava presagire un riscatto dopo parecchi passaggi a vuoto (Fiorentina, Catania, Milan).

Invece, contro ogni previsione, Sinisa Mihajlovic ha la leucemia.

L'allenatore non è un personaggio da rotocalchi o da riviste di gossip (letteratura a cui persino il mite Allegri ha dovuto cedere negli ultimi anni): Miha non è stato mai paparazzato, da quel che ricordo; è una persona schietta (anche troppo talvolta, e questa non è per forza una qualità). Di lui, però, possiamo dire che difficilmente fa uscire il proprio privato, sia nelle interviste che nelle conferenze stampa. Questa volta, invece, accade qualcos'altro che non avevamo previsto.

La conferenza- "Ho passato due giorni chiuso in camera, con la vita che mi scorreva davanti ed ho pianto". Colpo di scena. Chi pensava che Mihajlovic piangesse? Ce lo potevamo immaginare, di fronte ad una notizia come questa, a prendere a pugni un sacco da pugile, facendosi beffe della morte e ridendo di fronte a un pericolo come questo. Invece, come una persona qualunque, come noi al suo posto, Mihajlovic si è messo a piangere. Come dargli torto?

"Martedì andrò in ospedale, vincerò questa battaglia per tutti coloro che mi vogliono bene e per la mia famiglia". Parole belle e piene di speranza di un uomo a cui la vita ha dato un bel cazzotto, proprio nel momento sbagliato. 

Forza Miha -  Naturalmente, di fronte a questo discorso, si è attivata una macchina di solidarietà mediatica che è doveroso mettere in moto: tweet di calciatori, dirigenti, squadre di calcio con auguri di pronta guarigione. Una cosa doverosa, sarebbe spiacevole se anche solo una personalità o una squadra nel nostro campionato si dimenticasse di esso. 

Se però i tweet di calciatori ed allenatori si tengono tutti su una certa forma che ripete i concetti "Sappiamo la tua forza, sei un guerriero, non mollare", noi giornalisti (uso questo noi per semplificare) stiamo cadendo in un errore, a mio parere.

Un errore marchiano - In parecchi editoriali, commenti, articoli abbiamo titoli del genere "Grazie Sinisa" oppure "Mihajlovic e i suoi insegnamenti" o ancora "Cosa abbiamo imparato da Miha". Quasi come se fossero articoli di commiato.
In ognuno di essi non sono mai omesse le due frasi che ho citato più in alto sul pianto e sulla lotta per la famiglia. Non ho un filo diretto con l'allenatore del Bologna, ma ho impressione che questo atteggiamento sia il contrario della reazione che lui si aspettava. 

L'uomo Mihajlovic - Il serbo non sembra, dall'esterno, una persona che abbia fatto questa confessione per farsi "canonizzare". Prima di tutto perché sta ancora bene. La seconda motivazione per non fare ciò la troviamo in una frase omessa in diversi articoli, per ragioni di sintesi "Le mie lacrime non sono di paura, sono sicuro che vincerò questa battaglia. Martedì entrerò in ospedale: prima lo farò, prima uscirò". Ecco, Mihajlovic non è l'orso che alcuni articoli pre malattia avevano descritto. Però non è nemmeno una principessa da salvare o un cucciolo ferito: è comunque un uomo di 50 anni, una persona forte e spaventata dalla malattia, ma che non si fa assolutamente travolgere dalla paura.

Alcuni, non si sa per quale ragione, indicano nella sua origine serba l'origine del suo carattere forte di fronte alle avversità. Quasi come se essere serbo significhi essere coraggioso ed essere italiano, britannico o francese essere un codardo. Sgombriamo il campo da equivoci: l'uomo che affronta questa malattia è Sinisa Mihajlovic, non un serbo che sta sulla panchina del Bologna. E non reagisce come farebbe un vero serbo, reagisce come farebbe Sinisa Mihajlovic. Che è ciò che conta di più.

Non piangiamo - İntanto, però, chiariamo una cosa: nello scrivere questi articoli un po' "agiografici" non si fa giustizia all'uomo Sinisa. È anche per questo che, crediamo, abbia voluto restare in sella con tutte le sue forze sulla panchina del Bologna. Per dimostrare che si può fare. Per dimostrare che, finché la testa non cede, si può allenare in Serie A anche con una tragedia del genere nel cuore.

Se c'è qualcosa che a mio parere possiamo affermare sul carattere del serbo è che non è una persona che vuole inspirare pietà nei suoi interlocutori con questa conferenza. Se gli si vuole fare del male l'anno prossimo la maniera è semplice: aprire un post partita, poco importa se dopo una vittoria o una sconfitta, parlando della sua situazione di salute, con frasi come "Malgrado la lotta contro la malattia, Mihajlovic sta facendo un buon campionato". Non ho mai avuto la possibilità di conoscerlo, ma essere inserito in una storia edificante con una cornice moraleggiante non sembra faccia per lui. 

Paradossi - Il calcio è il mondo giovane quasi per antonomasia nella nostra società. Una persona che segue questo sport lo fa anche per avere a che fare con preoccupazioni abbastanza futili: aumenti di stipendio, trasferimenti controversi, contratti miliardari di giovani che fanno una vita ovattata, lontana anni luce dalle nostre preoccupazioni. Non c'è praticamente mai spazio nella morte in questo teatro: quando un giocatore o un allenatore muoiono, di solito, si sono già ritirati da un pezzo. Ma è proprio per questo che quando la malattia o la morte si affacciano su questo circo i tifosi, gli addetti ai lavori e i giocatori non sanno come trattarla. Proprio la lontananza della morte dagli orizzonti di un'atleta ci porta a ricordare con commozione ad anni di distanza la tragedia di Tito Villanova, quelle di Stefano Borgonovo e Davide Astori o, per i più "vecchi" quella di Di Bartolomei. Qualcosa che ancora oggi ci colpisce e ci unisce anche quando tifiamo squadre diverse da quelle in cui hanno militato questo giocatori

İndicazioni per il futuro - Con questa conferenza Mihajlovic sembra aver messo le cose in chiaro: non sta bene, ma lotterà per ristabilirsi. Nel frattempo, non vuole essere giudicato nel suo lavoro dalla propria cartella clinica, ma dai risultati che porterà a casa. Che potranno essere buoni, meno buoni, ma avranno sempre un punto in comune: saranno frutto del lavoro di un allenatore nato il 20 febbraio 1969 a Vukovar, e non del vincitore "contro tutti i pronostici e la malattia".
Una frase, questa, che sicuramente aiuta a vendere copie, ma suona quasi come una riduzione. Siamo in molti ad essere sicuri che, al prossimo allenamento, l'unica cosa che interesserà ai giocatori e all'allenatore del Bologna sarà di lavorare a testa bassa. Com'è giusto che sia.