“Non voglio realismo. Voglio magia”

Così parlava Blanche DuBois, personaggio principale del dramma di Tennessee Williams “Un tram che si chiama desiderio”, che ottenne una lodevole trasposizione al cinema, con Vivien Leigh vincitrice dell’Oscar come miglior attrice protagonista.

Parto con questo pensiero perché è quello che impazza nella mente di molti appassionati di calcio, di quelli che non si fermano alla vittoria o sconfitta della propria squadra, che non si accontentano di leggere le statistiche a fine partita: vogliono andare oltre, per loro un tunnel, o un colpo di tacco valgono più di un gol, e un filtrante disegnato con il compasso più di mille arcobaleni.

Quante volte, tornando alla letteratura, abbiamo assistito a storie di uomini che abbandonano la sicurezza e la dolcezza della donna amorevole, per inseguire la cosiddetta “femme fatale, tentatrice e peccaminosa: questo mi ha richiamato, in più di un occasione, Mesut Ozil, per gli amici “Il mago di Oz”, per i più sagaci “Lo Zidane tedesco”, “il sosia di Enzo Ferrari” per i meno eruditi.

Mesut Ozil vive, come moltissimi altri calciatori professionisti, un’infanzia caratterizzata dalla povertà e dalla paura di non arrivare a fine mese. Mesut, come moltissimi altri calciatori professionisti, non ne vuole sapere di studiare…non è vero, Ozil è un ottimo studente, anche se poi la passione per il “Fußball” prenderà il sopravvento.

“Siamo e rimarremo poveri immigrati, Mesut: devi capirlo”.

La sua famiglia vive rassegnata alla propria condizione, quella degli immigrati, ma per Mesut le cose sono diverse: lui, turco di origine, si sente tedesco, ed è perfettamente integrato nel contesto scolastico, pur restando profondamente legato alle sue origini. Inoltre le sue ambizioni non si fermano al desiderio di sopravvivere, vanno ben oltre: crede e sa di poter diventare qualcuno.

Un primo sprazzo di magia si assiste al “Monkey Cage”, sì, la “Gabbia delle scimmie”, un campo di calcio finanziato dall’Adidas nell’ambito dell’integrazione per quanto riguarda gli immigrati. Poi la selezione per il torneo scolastico delle medie, quando fa le ancora le elementari.

“La sua passione per il calcio sta tra l’ossessivo-compulsivo e l’autistico. Ho sempre avuto la sensazione che si portasse la palla anche a letto.”

Questo il pensiero del suo primo allenatore, Joachem Herrmann, che ne intuisce da subito, oltre alle qualità palla al piede, anche la notevole perspicacia, croce e delizia di Mesut: perché se è da un lato è vero che l’intelligenza è una dote che ognuno di noi vorrebbe, che permette al calciatore di leggere e comprendere il gioco prima degli altri, sin da giovanissimo, dall’altro questo lo porterà costantemente a scontrarsi con l’allenatore, ogni qualvolta ci sia un dubbio o un’incertezza, finendo inoltre per chiudersi in se setesso ad ogni ostacolo che, anche in lontananza, si mostri sull’orizzonte del suo cammino.

Il suo cammino vero e proprio da calciatore comincia, ovviamente, nella sua Gelsenkirchen, nella cui primavera in quegli anni figuravano altri talenti come Manuel Never, Benedkit Howedes e Julian Draxler. Dopo diversi spostamenti giunge, all’età di 17, finalmente in prima squadra, dove l’impatto non è però devastante come ci si potrebbe aspettare.

L’apoteosi definitiva sarà con un’altra maglia, quella del Werder Brema, dove in una stagione e mezza totalizzerà la bellezza di 53 assist.

Il Real Madrid è stregato dal ragazzino di origini turche, lo è in particolare Josè Mourinho, che decide di renderlo, a soli 22 anni, titolare dei suoi “Galacticos”, e Mesut non delude: è qui che la magia inizia a pervadere ogni angolo del Santiago Bernabeu, con 80 assist nei suoi tre anni da madridista.

Purtroppo il calcio talvolta è beffardo, e nell’estate 2013, anche con l’addio del suo mentore, lo “Special One”, il mago è costretto a lasciare il regno di Oz, o meglio, a spostarlo in quel di Londra, sponda Arsenal, la stessa Londra dalla quale Florentino Perez ha scelto il suo sostituto: Gareth Bale, Mr. 100 milioni, e , dati alla mano, forse ha scelto bene, visto che con il gallese e Carlo Ancelotti è arrivata la tanto agognata “Decima”.

Come detto, però, in questo articolo daremo voce a chi il calcio lo guarda per esaltarsi, per gioire, ma non per una Champions o uno scudetto in più, bensì per una giocata che riempie l’animo, sollevandoti magari da un momento no, e possiamo scommettere che il mago in questo è uno dei migliori.

"La vendita di Ozil è una brutta notizia per me. Era il giocatore che conosceva meglio le mie caratteristiche in campo, sono arrabbiato per la sua partenza, non doveva capitare"

Se poi anche uno come Cristiano Ronaldo avvalla questa tesi, allora probabilmente stiamo andando nella giusta direzione.

Il fatto è che, forse, Mesut non accetterà mai di essere stato messo da parte, sostituito dai Blancos, dove però, lo sappiamo, non c’è posto per i sentimenti, per l’amore, ma soltanto per le vittorie: all’Arsenal sembra aver smarrito la bacchetta, ritrovata soltanto nella sua terza stagione, quando trascina i “Gunners” al secondo posto in Premier League, nell’anno del miracolo Leicester, con i suoi 19 assist.

Arsene Wenger, un po’ come Mourinho prima, era la sua ancora di salvezza, la spalla su cui sfogare le sue insicurezze e le sue perplessità: l’addio, nella stagione successiva, dopo ventidue stagioni, del francese, getta ancor più nel baratro Ozil, con Emery prima e Arteta poi, che non si fanno ascoltatori pazienti dei suoi “capricci”.

A questo vanno aggiunti continui problemi mediatici che lo hanno visto entrare, suo malgrado nel mirino della critica.

Dal suo passaggio all’Arsenal il suo procuratore non è più il padre, la cui società lo aveva seguito dal 2011 al 2013, ma il fratello: da qui nascerà una causa legale, vinta dai due fratelli, che metterà però fine al loro rapporto con il padre, che finirà anche per allontanarsi dalla madre, schierata dalla parte dei figli.

“Mio padre non è un uomo facile da affrontare. È sempre stato molto concentrato su di me: sapeva che avevo talento. Veniva a tutti i miei allenamenti, oltre che a ogni partita. Ero il centro della sua vita, e questo non è molto naturale: si realizzava attraverso di me, mettendomi addosso pressioni incredibili”.

Dopo la debacle tedesca durante i mondiali del 2018, Ozil decide di lasciare la nazionale, per i numerosi insulti che lo vedevano coinvolto a causa delle sue origini turche. Un anno dopo Mesut si sposerà, scegliendo proprio l’attuale presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, andando ad alimentare la diatriba.

In un tweet dello scorso anno, poi, si è espresso contro la persecuzione della Cina nei confronti della popolazione uigura, ovvero la minoranza islamica, religione cui il fantasista è devoto. Anche in questo caso non sono mancate le polemiche.

L’ultima disputa riguarda però il periodo post-Covid, con Mesut che ha rifiutato di tagliare il suo, fra l’altro molto lauto, stipendio da 20 milioni di euro a stagione: una scelta in antitesi con il grande impegno nei confronti dei più bisognosi che ha mostrato negli anni.

Da allora Ozil non è più sceso in campo con la squadra che nel frattempo ha portato a casa una FA Cup ed una Community Shield, rispettivamente contro Chelsea e Liverpool.

Da molti ormai annoverato nel cerchio dei “potrei ma non voglio” del calcio, tuttavia mi rifiuto di considerare che un calciatore con un passato da titolare al Real Madrid, campione del mondo con la maglia della Germania, venga definito un incompiuto o, peggio ancora, uno di quelli che non è decisivo nelle partite che contano. Non parliamo neppure del classico “genio e sregolatezza”: difficile dire quale sia davvero il problema di questo calciatore che, a quasi 32 anni, sembra ormai già arrivato al canto del cigno, eppure c’è qualcuno che ancora spera, illudendosi che quegli sprazzi di talento non fossero solo il frutto un inebriante sogno.