Il calcio e la vita… oppure il calcio è la vita? Sottile distinzione che conduce a un ulteriore quesito: in che modo il calcio influenza la vita di un paese? O, ancora, in che modo la vita di un paese influenza il calcio?
Agli inizi degli anni ’90 Simon Kuper, giornalista del Financial Times, appassionato di calcio, scrisse un libro -Calcio e potere- allo scopo di  capire perché questo meraviglioso sport, che avevamo conosciuto da ragazzini, sia stato così importante da aver rivestito un ruolo fondamentale nella formazione delle identità collettive in giro per il mondo. Va precisato, però, un aspetto. Al tempo in cui Kuper scrisse il suo libro i big matches calcistici in Europa riflettevano passioni religiose, di classe o regionali. “Così come il Barcellona – ha scritto Kuper – rappresentava il nazionalismo catalano, così il derby Milan-Inter opponeva le classi lavoratrici, frutto delle immigrazioni, alla classe media locale.
Nel 1988 gli olandesi si portavano ancora dietro ferite non sanate della guerra contro la Germania”. Ricordi dolorosi che riemersero, in maniera imprevedibile, dopo la vittoria dei tulipani nella semifinale disputata ad Amburgo degli europei di quell’anno. Oggi, ovviamente, le cose sono cambiate, queste passioni sono più deboli. Anche se, a mio modo di vedere, queste attenuazioni identitarie non riguardano assolutamente il Barcellona. La fiamma dell’indipendenza, come sappiamo, brucia ancora. Un sentimento compendiato nel motto dei blaugrana Mès que un club. Ovvero, Più che un club. Non è solo un motto. E’ qualcosa che assume connotazioni simboliche: una città, un Paese, che è la Catalogna, con la propria lingua, la propria identità, le proprie idee. Un patrimonio storico e culturale ben definito. Un forte legame intuito anni fa da Michel Platini, che nel corso di un’intervista a L’Equipe dichiarò: ”Una squadra di calcio rappresenta un modo di essere, una cultura”.

CALCIO E FAMIGLIA
Sul calcio che interagisce con le vicende familiari, Fernando Aramburu – autore del bestseller Patria – ce ne offre un eloquente esempio nel suo ultimo romanzo I rondoni.
Il protagonista, fresco di divorzio, ha un figlio sedicenne e non vuole che la dissoluzione della famiglia interferisca, in maniera traumatica, con la vita del ragazzo... La sentenza di divorzio ha stabilito i giorni in cui il giovane deve stare con il padre, perché l’affidamento del minore è stato assegnato alla madre. “Era sabato – scrive Aramburu – Nikita arrivò a casa mia all’ora stabilita. Con la sua approvazione avevo preso due biglietti per la partita della sera allo Stadio Vicente Calderon. “Pensai che se fossi riuscito a trasmettere a Nikita la passione per l’Atletico Madrid, nel mio caso simulata, avrei creato un vincolo tra noi due al riparo dall’influenza della madre e lo avrei stimolato a passare più tempo con me. Avremmo potuto seguire la squadra anche in trasferta”.
Un altro esempio, legato al rapporto calcio e famiglia, lo riporta, nel suo bel saggio, Simon  Kuper. Racconta del tifoso del Celtic, incontrato a Glasgow, che gli spiega le sfumature religiose e sociali della rivalità – acerrima – con i Rangers. Cattolici quelli del Celtic e protestanti i Rangers.
Il tifoso aveva battezzato il suo secondo figlio con il nome di ogni giocatore della formazione del Celtic che aveva vinto la Coppa dei Campioni del 1967. Si rammaricava  del fatto che, sul certificato di nascita, non ci stavano tutti. L’aspetto comico della vicenda è che il tifoso era sposato con una protestante. La moglie era ancora in ospedale, per la convalescenza post-parto e lui ne approfittò per recarsi all’anagrafe e registrare i nomi del figlio. Quando la signora, ovviamente tifosa dei Rangers, scoprì il fattaccio pare abbia demolito una porta a calci.

IL CALCIO E’ GUERRA
Il calcio è guerra! Non è un suggestivo titolo che ci siamo permessi di estrapolare dalle pagine di un giornale sportivo in vena di enfatizzazioni estreme. No, i ‘diritti d’autore’ sono di Rinus Michels, allenatore della nazionale olandese, che pronunciò la frase, ad Amburgo, al termine della semifinale del Campionato Europeo 1988, quando i ‘tulipani’ batterono (1-2) la Germania Ovest. Qualcuno definì, allora, il match la più grande partita del rancore nel  calcio europeo. Michels, ancora, nel corso della conferenza stampa, ammise di aver provato “una soddisfazione extra” che ”in questo momento preferisco non commentare”.
Ma, cosa accadde quella notte d’estate del 21 giugno 1988? Al fischio finale, in tutta l’Olanda, paese notoriamente poco incline alle esibizioni  emotive, 9 milioni di persone si riversarono nelle strade per festeggiare la vittoria. Tanta rabbiosa esultanza trovò una sua spiegazione ‘storica’ nell’affermazione, in televisione, di un ex-combattente della Resistenza: ”Ci si sente come se finalmente avessimo vinto la guerra”. L’Olanda, nel corso della 2°guerra mondiale, fu occupata dai tedeschi e, naturalmente, certe ferite non guariscono nemmeno a distanza di tanti anni. La vittoria olandese, giusto sottolinearlo, fu accolta con un certo spirito di rivincita in gran parte d’Europa. Come spiegare altrimenti l’ovazione che i 150 giornalisti stranieri riservarono a Michel quando si presentò alla conferenza-stampa dopo la partita?
L’Olanda vittoriosa era quella di Van Basten, Rijkaard e Gullit, il trio delle meraviglie che tante soddisfazioni regalerà negli anni ai tifosi rossoneri.

LA PARTITA DEL RANCORE
Si gioca al Volksparkstadion di Amburgo. martedì 21 giugno ore 20,15. E’ una splendida serata estiva. Arbitra il rumeno Ioan Igna. L’allenatore dei tedeschi è Franz Beckenbauer, nome che non ha bisogno di eccessive presentazioni.
L’Olanda, per tutto il primo tempo, sale in cattedra e impartisce lezioni di calcio senza però riuscire a segnare. Nella ripresa i tedeschi entrano in campo con forte determinazione e il match diventa più teso. Ci sono parecchie mischie in area e in una di queste Junger Klinsmann, viene atterrato in area da Frank Rijkard. Tira il penalty Matthaus e la Germania passa in vantaggio.
I tulipani reagiscono e riprendono l’assedio, Poi Kohler commette fallo in area su Van Basten e l’arbitro fischia il rigore. Lo batte Koeman, libero del PSV Eindhoven, e pareggia: partita riaperta.
Mentre la gara sembra destinata ai supplementari ad avere l'ultima parola è l'Olanda.
Jan Wouters trova spazio ed effettua l'ennesimo passaggio in profondità per Van Basten, che supera Kohler in velocità e, in allungo, batte Eike Immel sul secondo palo.
Siamo all’87°... L'Olanda supera la Germania Ovest per la prima volta in 32 anni!
Una giornata memorabile per gli olandesi, talmente speciale che in suo onore viene pubblicato un libro di poesie.
La finale tra URSS e Olanda si giocherà a Monaco. Vincerà l’Olanda 2 a 0 con goals di Gullit e Van Basten.