Si sa, non è un periodo economicamente florido per il mondo del calcio; la pandemia si è violentemente abbattuta sui bilanci dei top club, tagliandone i ricavi e costringendoli a rivedere piani e manovre per il futuro. Non si "smiliona", si limitano i costi variabili, si fa mercato cercando l'affare a parametro zero, si tentano scambi bidirezionali, si lavora di parsimonia e pazienza. Lo sa bene soprattutto Fabio Paratici, che già prima della crisi, per sostenere e ammortizzare alcuni errori di mercato, aveva cominciato a collaudare il sistema delle plusvalenze. Imboccato agli esordi da un abile contabile quale Beppe Marotta, l'attuale CFO della Juventus è diventato un vero maestro di questa "tecnica" di instant revenue, che recita come un mantra ad ogni sessione di mercato. Per definizione, la plusvalenza indica un ricavo pulito ottenuto dalla cessione di un calciatore pagato X, venduto ad un valore superiore a quello sborsato per l'acquisto

Ma il giochino della plusvalenza non è una tecnica d'avanguardia, la utilizzava anche la triade Moggi-Giraudo-Bettega sul finire degli anni '90, quando si montava e smontava il giocattolo bianconero per autofinanziare il calciomercato: ad esempio, i tifosi ricorderanno benissimo le cessioni di Vieri e di Boksić (quest'ultimo acquistato dalla Lazio per 15 miliardi e poi clamorosamente rivenduto l'anno seguente ai biancocelesti per 25 miliardi di lire). All'apparenza sembra tutto molto logico e lineare, un sistema da usare in situazioni di necessità per ridare ossigeno ai bilanci fortemente in sofferenza. Tuttavia, come ogni cosa, se abusata può diventare nociva, soprattutto se applicata all'esasperazione senza un minimo di programmazione a lungo termine.

Facciamo due conti sulle plusvalenze
Sono tante le plusvalenze fatte registrare a bilancio da Paratici: ad esempio, per la stagione 2019-2020, durante la sessione estiva di calciomercato, la Juventus ha ottenuto dalla cessione di alcuni elementi del parco giocatori, un importo di plusvalenze pari a circa 61 milioni di euro. Una cifra importante, ricavata dalle partenze di prospetti come Kean, passato all'Everton (plusvalenza di 27 milioni netti) o Cancelo, ceduto al City nell'operazione che ha messo sulla strada per Torino il buon Danilo. Ma le plusvalenze non si registrano esclusivamente con i movimenti in uscita di pezzi della prima squadra, poiché anche l'under 23 può essere un ottimo serbatoio di ricavi e la cessione del giovane attaccante inglese Mavididi al Digione ne è la dimostrazione. Anche durante la seguente sessione invernale, prima dell'esplosione pandemica, Fabio Paratici era riuscito a far registrare circa 23 milioni di ricavi, ottenuti dalle plusvalenze generate dalle cessioni di alcuni giovani e dall'epurato Emre Can, spedito in quel di Dortmund da Sarri. 
Menzione speciale va poi ad una delle operazioni più recenti, condotta a braccetto col Barcellona per risanare i rispettivi bilanci: lo scambio Arthur - Pjanić, vero punto focale del dibattito sulla reale natura della plusvalenza. Come abbiamo visto, queste operazioni sono utili ed intelligenti se parliamo di cessioni allo stato puro, in quanto portano a bilancio dei ricavi netti, fondamentali per sopravvivere in periodi economicamente improduttivi. Strategicamente parlando non c'è una vera premeditazione, è pura sopravvivenza finanziaria, un sistema che serve per incamerare risorse nell'immediato e superare il periodo buio, senza avere una programmazione a medio-lungo termine.

Arthur - Pjanić gonfiati come due palloncini
Se analizzassimo questo scambio solo dal punto di vista tecnico e sportivo, diremmo che l'affare calza: la Juve cede un giocatore ormai trentenne e a fine ciclo e accoglie un giovane nel pieno della sua carriera e con ampi margini di miglioramento. Tuttavia il nostro focus attentivo verte sull'aspetto finanziario dell'operazione: per poter concretizzare l'affare, Juve e Barcellona hanno dovuto ipervalutare i cartellini dei rispettivi giocatori. Ma nel giochino degli scambi alla pari, se si ipervaluta il giocatore in uscita, è oggettivamente necessario ipervalutare anche il giocatore in entrata, con conseguente rigonfiamento dell'ingaggio, che deve seguire in proporzione l'ipervalutazione data al cartellino. Il risvolto di questa operazione sta nel rischio che la Juventus si è assunta per il domani: oggi registro uno straordinario ricavo, ma per il futuro devo mettere in conto l'allocazione di un giocatore dal costo annuo molto pesante se rapportato a stipendio e ammortamento, che potrebbe comportare anche delle difficoltà in caso di cessione, qualora il giocatore non si dimostri funzionale al progetto.

Le voci di uno scambio Romagnoli - Bernardeschi basato sullo stesso meccanismo
Gli ultimissimi rumours di mercato parlano di un possibile scambio che Paratici e Maldini stanno pensando di mettere in atto: ma attenzione, anche in questo caso bisogna ragionare bene sulle cifre e non solo sui possibili benefici tecnici. Per ottenere le prestazioni sportive di Bernardeschi, la Juventus ha dovuto sborsare alla Fiorentina ben 40 milioni, mentre il Milan ne scucì 25 per l'ingaggio di Romagnoli. In questo caso, qualora l'operazione dovesse decollare, il rossonero verrebbe ipervalutato per allinearsi alla quotazione del giocatore della Juvemtus; stesso discorso sul fronte ingaggi, col difensore rossonero che andrebbe a percepire più o meno lo stesso salario attualmente intascato da Bernardeschi (al Milan guadagna qualcosa in meno). Ma se nell'immediato la Juventus si sbarazza di un giocatore ormai quasi avulso dal progetto, non rinunciando al discorso plusvalenza, dall'altro rischia di ingolfare rosa e bilancio con un giocatore nuovamente ipervalutato (e pertanto costoso da registrare a bilancio) e tendenzialmente rischioso per una futura rivendita.

Non solo player trading, la plusvalenza danneggia l'asset sportivo
Le plusvalenze imbastite negli scambi sono un'arma a doppio taglio: nell'immediato registri ricavi importanti, ma nel medio-lungo termine rischi di accollarti costi enormi che continuano lo stillicidio sul bilancio, e non solo. Ma aldilà degli scambi, il meccanismo delle plusvalenze fagocita qualsiasi operazione in uscita, come visto nei casi di Cancelo e Kean, giocatori giovani e di talento, che oggi avrebbero fatto molto comodo alla causa bianconera. Per non parlare poi del progetto under 23, nato per essere di supporto alla prima squadra e culla per i futuri prospetti, oggi viene trattato come mero serbatoio da cui attingere per far registrare ricavi immediati, annullando così il bel discorso di crescita sportiva e di progetto giovanile. Ma cosa c'è all'origine di questo sistema, quando la Juventus si è fatta imprigionare dal suddetto circolo vizioso? L'origine delle cause può essere ricondotto all'opinabile gestione dei rinnovi di alcuni giocatori a fine ciclo, come Khedira, Matuidì, Mandzukić, elementi dai quali Paratici non è riuscito a ricavarci un euro a causa del loro status, oppure alla sfrenata ricerca del parametro zero con esperienza (vedi Ramsey, ormai 31enne, injury prone e in prospettiva difficilmente vendibile) o gli esagerati esborsi per giocatori si straordinari come Higuain, ma che all'epoca erano già leggermente avanti con l'anagrafe. L'uso della plusvalenza non va demonizzato, è un giusto strumento per le situazioni di crisi ed è un palliativo immediato, ma non deve essere la via maestra per il futuro, che deve invece essere rivolto ai giovani talenti e alla crescita sportiva tarata sulla continuità. Perseguire il sistema delle plusvalenze costringerà la Juventus a rinunciare allo sviluppo di un nuovo ciclo e porterà sempre più spesso all'ingaggio di giocatori non futuribili e dai costi pesanti, con conseguente ingolfamento della rosa e appesantimento dei bilanci futuri.