Quando ero bambino sognavo che ogni giorno fosse domenica, che la scuola fosse solo un risultato di quanto avessi per errore immaginato, e che avrei festeggiato animatamente ogni rintocco di orologio: nel momento in cui mi venne raccontata la storia di un certo burattino conosciuto al mondo come Pinocchio, pensai di voler vivere anch’io nel "paese dei balocchi", il luogo perfetto per chiunque voglia solo divertirsi. Nel corso della narrazione però cambiai presto idea, la paura di trasformarmi in un asinello mi costrinse a pensare che forse in realtà la scuola non era poi così male. Da piccoli non servono schemi complicati per comprendere la vita, a volte possono bastare semplici insegnamenti raccolti all’interno delle storie che ci raccontano prima di andare a dormire, un po' perché costituenti di un linguaggio diretto e capace di colpire l’ascoltatore, un po' perché in quel momento ci crediamo davvero. Quello che adesso mi chiedo, a distanza di anni passati in un modo o nell’altro a darmi da fare, è se per qualcuno questo fantomatico paese non sia soltanto una fantasia di Collodi, ma parte integrante dell’ordinario giornaliero: esempio che calza a pennello con quel che cerco di dimostrare è l’attaccante, nonché ex capitano dell’Inter, Mauro Icardi.

La carriera dell’argentino è decollata con l’arrivo in Italia alla Sampdoria nella stagione 2011-12, annata precedente a quella della prima vera stagione da protagonista in Serie A: da registrare con la formazione genovese, una doppietta ai danni della Juventus nello stadio di proprietà di quest’ultima, niente male per un ragazzo che poco prima era solo un canterano del Barcellona. Dall’esplosione alla corte dei blucerchiati è bastato poco a Maurito per vestire i colori di una big del calcio nostrano, trasferendosi nella Milano nerazzurra nel bel mezzo della ricostruzione indetta dal tecnico livornese Walter Mazzarri: giorno dopo giorno l’argentino dimostra sul campo di essere l’uomo giusto per trascinare l’Inter verso una nuova era, magari ricca di successi trionfali come quella del predecessore albiceleste Diego Milito. I tifosi iniziano a sognare di riveder le stelle, ma forse lo fanno troppo in fretta visto che il rendimento della squadra non cresce mai stabilmente, registrando alti e bassi come negli sbalzi di umore di un individuo affetto da bipolarismo: Icardi rispecchia il trand oscillante della sua compagine, senza mai imporsi come leader al di sopra delle parti, se non in quelle occasioni in cui sceglie di raccontarsi al mondo come fuoriclasse assoluto dell’area di rigore.

Vittima di un'evoluzione incompiuta soprattutto dal punto di vista comportamentale, Maurito non smette mai di essere protagonista, neanche in quei momenti in cui in forse sarebbe stato più opportuno mantenere un basso profilo: dalla sceneggiata mediatica e non solo innescata per la decisione del club di privarlo della fascia di capitano è storia recente conosciuta ormai in ogni dove, con una frattura tra il giocatore e la società destinata a trasformarsi in un addio, amaro oltre che spiacevole viste le circostanze che l’hanno generato. Ed è così che il mercato ha inghiottito ferocemente la sua figura, separandolo dal ritiro dei nerazzurri da cui è stato intenzionalmente allontanato, poiché a questo punto inequivocabilmente fuori dal progetto del nuovo allenatore Antonio Conte: come dimenticare la nostalgia del manto verde non è mai stato un problema per lui, il quale ha deciso di traslocare momentaneamente nel "paese dei balocchi". Nessuna fatica da allenamento, nessuna regola o limite impostogli da terzi, nella lunga vacanza estiva dell’argentino c’è spazio solo per divertimento sfrenato e relax, immerso tra le amorevoli attenzioni della moglie-agente Wanda Nara, che tra un cocktail e l’altro sta già trattando un suo possibile trasferimento alla corte di Juventus o Napoli.

Arrivati a questo punto dovremmo ringraziare Carlo Collodi per aver ispirato l’invidiabile estate di Mauro Icardi, trascorsa in quel luogo che per lo scrittore era solo una fantasia letteraria: ma se così fosse, anche Maurito dovrebbe prima o poi trasformarsi in un asinello come il povero Lucignolo, scoprendo la propria immagine inesorabilmente diversa nel riflesso di uno specchio. Come dice un proverbio della mia adorata Sicilia "niuru cu niuru non tingi", che tradotto sta a significare l’impossibilità da parte di un colore scuro di potersi notare su di un altro della stessa gradazione, rendendo così l’idea di un unica colorazione complessiva a dispetto di quanto in realtà è stato eseguito. L’emarginato che decide dunque di autoescludersi dal resto del gruppo, forse perché quando asinelli lo si è dentro non serve necessariamente recarsi presso il paese dei balocchi per trasformare le proprie sembianze.