Marco Pantani nasce a Cesena il 13 Gennaio del 1970 e muore a Rimini alla giovanissima età di 34 anni nel 2004.

Appassionato sin da piccolo di ciclismo, quando riceve una bicicletta in regalo dal nonno Sotero decide che quello rappresenterà il suo mondo per sempre.
Si tessera nel G.C. Fausto Coppi di Cesenatico e inizia da subito a vincere molte gare, soprattutto quelle in salita nelle quali è uno specialista straordinario.
Nel 1986 iniziano i primi infortuni che costelleranno tutta la sua vita sportiva. Nel 1993 partecipa come professionista al primo Giro d'Italia dove si ritira a causa di una tendinite a poche tappe dal termine quando era diciottesimo nella graduatoria generale.
Nel 1994 si traferisce alla Carrera e arriva l'exploit a livello mondiale: termina secondo al Giro d'Italia e terzo al Tour de France. Per gli italiani inizia l'amore per questo grande ciclista e per le sue scalate uniche al mondo. L'anno seguente purtroppo arriva un grave infortunio per Pantani che lo tiene fuori da gare importanti. Nel 1997, passato alla Mercatone Uno, si infortuna di nuovo ma riesce a recuperare velocemente ed arriva terzo al Tour. Nel 1998 arriva un trionfo straordinario con le vittorie al Giro d'Italia e al Tour. Nel 1999 arriva la sospensione per ematocrito alto. Marco cade ancora per l'ennesima volta ma si riesce ad alzare. Ancora una volta, più forte di prima.

Negli anni successivi continua a gareggiare, ma con scarsi risultati a causa della condizione psicologica fragile. Purtroppo arriva il male del secolo anche per il campione romagnolo, la depressione.
Con la Nazionale italiana Marco gareggia dal 1994 al 2000. Il soprannome del grande corridore romagnolo era "Il Pirata" per via della sua immancabile bandana e del suo cuore da guerriero, mai domo.

Il 14 Febbraio del 2004 Pantani viene trovato morto nella stanza D5 del residence "Le Rose" nella città di Rimini. L'autopsia svela che la morte era stata causata da un edema polmonare e cerebrale, in seguito ad una overdose di cocaina. La mamma di Pantani, Tonina, ha sempre affermato che sarebbe impossibile morire poichè sarebbe morto prima di ingerire tutta quella dose letale. Secondo la signora Tonina il figlio non aveva nessuna intenzione di suicidarsi e la morte per overdose sarebbe stata simulata per evitare che Marco rendesse pubblica qualche scomoda verità.

Il 14 Marzo del 2016 arriva una intercettazione in cui emerge che il sangue di Marco sarebbe stato deplasmato dalla camorra per un giro d'affari legato alle scommesse. Nel corso del tempo sono emersi altri dettagli inquietanti tanto che la Procura della Repubblica di Forlì, che indagava sul caso, concluse che "un clan camorristico minacciò un medico per costringerlo ad alterare il test e far risultare Pantani fuori norma". Purtroppo venne richiesta l'archiviazione delle indagini a causa della prescrizione dei reati. La verità giudiziaria è stata prescritta per i tempi ma la verità rimane ancora con tanti punti interrogativi e risulta molto difficile credere che il grande scalatore italiano volesse suicidarsi.

Tra le sue affermazioni vi è una che racchiude la sua idea del ciclismo: "Il ciclismo a me piace perché non è uno sport qualunque. Nel ciclismo non perde mai nessuno, tutti vincono nel loro piccolo, chi si migliora, chi ha scoperto di poter scalare una vetta in meno tempo dell’anno precedente, chi piange per essere arrivato in cima, chi ride per una battuta del suo compagno di allenamento, chi non è mai stanco, chi stringe i denti, chi non molla, chi non si perde d’animo, chi non si sente mai solo. Tutti siamo una famiglia, nessuno verrà mai dimenticato. Chi, scalando una vetta, ti saluta, anche se ti ha visto per la prima volta, ti incita, ti dice che “è finita”, di non mollare".