2 partite giocate: 7 gol fatti, 7 sette subiti. No, non sto parlando delle ultime due partite che ho giocato su Fifa con gli amici, ma di calcio vero, del Leeds United di Marcelo Bielsa, "El loco" per gli intenditori di calcio, che, dopo aver dominato la cadetteria inglese, si presenta in Premier League e, spesso si dice dispregiativamente "con una faccia di bronzo", ma in questo caso è da intendersi con un significato totalmente positivo, andando ad affrontare a viso aperto nientemeno che i campioni in carica del Liverpool, forti dei 99 punti dello scorso anno, in uno degli stadi storicamente più difficili in cui giocare (ovviamente in questo caso l'assenza di tifosi si è fatta sentire), ed uscendo sconfitto solo al minuto 88, dopo aver segnato tre gol, per un rigore causato dal neoacquisto Rodrigo Moreno. Senza alcun rimorso, esattamente una settimana dopo, il Leeds torna in campo con lo stesso atteggiamento, e stavolta, nonostante i soliti errori difensivi, il punteggio si ribalta, con un 4-3 che premia gli uomini comandati dall'argentino ai danni del Fulham, anch’esso neopromosso.
Il Leeds, però, non è alla sua prima apparizione in Premier, ed è inoltre da annoverare fra le nobili decadute del calcio inglese; di contro lo stesso "loco" ha avuto un passato di tutto rispetto da allenatore, che lo ha reso una delle figure più affascinanti ed enigmatiche del calcio moderno.
Andiamo a conoscere meglio queste due figure, per meglio comprendere come nasca questo connubio che, dopo aver riportato il Leeds nella massima serie, promette di stupire a suon di gran calcio.

IL MALEDETTO UNITED
"È la migliore squadra del paese il Leeds! Migliori giocatori, miglior stadio, miglior staff. Sono i migliori in tutto."
Emblematica la frase pronunciata da Brian Clough, interpretato da Michael Sheen, nel film del 2009 "Il maledetto United”, adattamento dell'omonimo romanzo scritto nel 2006 da David Peace e, a mio modesto avviso, una delle migliori trasposizioni di questo sport sul grande schermo. La storia, basata ovviamente su fatti realmente accaduti, è quella dell’allenatore inglese, figura decisamente controversa e piena di sé, che, prima di ottenere successi importantissimi, come la doppietta in Coppa Campioni, sulla panchina di un’altra nobile decaduta, il Nottingham Forrest, venne designato come erede di Don Revie, protagonista, per poco più di un decennio, del periodo più roseo mai vissuto dal club con sede nella contea del West Yorkshire. Il Leeds United nasce nel 1919, sulle ceneri del Leeds City, che venne radiato a soli 15 anni dalla sua fondazione per alcuni pagamenti illegali nell’acquisto di calciatori durante la prima guerra mondiale. La storia dei “Whites” è, fino al 1961, quella di un club modesto, che “sale e scende” fra First e Second Division, con la nota di merito di avere lanciato John Charles, il “gigante buono” che avrebbe fatto la storia della Juventus in coppia con Omar Sivori, ma questa è un’altra storia…
Dicevamo che nel 1961 la dirigenza decide di affidare la panchina al trentaquattrenne Don Revie, che sta terminando la propria carriera da calciatore proprio ad Elland Road. Dopo qualche anno di rodaggio il Leeds raggiunge la promozione nella stagione ‘63-64. In questa prima annata i “Peacocks” raggiungono la finale di F.A. Cup, perdendo però contro il Liverpool, e terminano il campionato al secondo posto. Questa stagione sarà alla base di un decennio tanto magico quanto maledetto per gli uomini di Revie, che, a fronte dei 6 trofei vinti, due campionati, una F.A. Cup, una League Cup, e due Coppe delle fiere, metterà a referto 5 secondi posti in campionato e 6 finali perse. L’arrivo di Clough non venne visto di buon occhio soprattutto dai calciatori del Leeds che, quasi tutti giovanissimi all’inizio del “ciclo”, vedevano Don come un padre, e non aiutò di certo l’atteggiamento, come già abbiamo accennato, estremamente supponente ed altezzoso dell’allenatore inglese. La sua esperienza ad Elland Road durò solo 44 giorni. In seguito lo United raggiunse l’apice della propria storia con la finale della Coppa Campioni 1975, persa, al Parco dei principi, contro il Bayern Monaco, fra diverse polemiche, con gli incidenti che portarono all’esclusione dei “Whites”dalle competizioni UEFA per 4 stagioni. Da qui il declino.

ELOGIO DELLA FOLLIA
“Credete che la follia sia contagiosa?”
La risposta a questa domanda potrebbe forse darvela un certo Pep Guardiola, definito da molti come un visionario e il miglior allenatore del pianeta. Il catalano si potrebbe definire una sorta di allievo di Marcelo Bielsa, per il quale non ha mai nascosto l’enorme ammirazione, in ultimo in occasione del suo approdo in Premier League. Marcelo Bielsa è uno degli allenatori più geniali ed innovativi che il calcio abbia mai visto, pur non avendo il palmarès di altri colleghi, come appunto Guardiola, Arrigo Sacchi, o Johan Cruyff.
Inizia ad allenare a soli 25 anni, non essendo particolarmente dotato come calciatore, e a 35 assume la direzione tecnica della prima squadra del Newell's Old Boys, con cui vincerà il torneo di Apertura 1990 e quello di Clausura 1992, sfiorando la Copa Libertadores nello stesso anno. Vince inoltre il Clausura del 1998, stavolta alla guida del Vélez Sársfield.
“Sono a favore di un calcio più aggressivo e meno paziente. Perché? Perché sono ansioso di natura e perché sono argentino.”
Il calcio di Bielsa è stato analizzato da moltissimi, per la sua peculiarità: il suo 3-3-1-3 consta di 3 centrali, 3 marcatori ed uno abile ad impostare, un mediano con compiti prettamente di contenimento, 2 esterni di centrocampo che creano ampiezza e ripiegano, e il tridente, deputato ad un movimento continuo e ad un pressing forsennato, innescato dal marchio di fabbrica di Bielsa, un trequartista, fra le linee, che si muove liberamente disegnando gioco. L’obiettivo è quello di dominare la partita, andare per vie verticali, con repentini ribaltamenti di fronte, aggredendo l’avversario, come si può dedurre dall’affermazione dello stesso tecnico
“Perché dovrei concedere un’intervista a una persona importante e negarla al piccolo giornalista di provincia? Quali sono i criteri per fare una cosa del genere? Il mio interesse? Questo è opportunismo.”
Questa frase, pronunciata dal tecnico argentino, riflette pienamente la sua visione della vita: “El loco” non è interessato ai grandi traguardi, alle grandi squadre, vuole fare calcio, insegnarlo, divertirsi e far divertire, talvolta cascando in qualche situazione alquanto scomoda. Già, perché nel settembre del 1998, dopo soli tre mesi da allenatore dell’Espanyol, lascia il club spagnolo, per assumere il ruolo di commissario tecnico della sua nazionale, l’Argentina. Con “l’albiceleste” dà spettacolo, portando a casa un oro olimpico nel 2004, pur fallendo la spedizione mondiale in Asia, per poi dimettersi e tornare nei radar nel 2007 ad allenare il Cile. Anche questa esperienza durerà qualche anno, con “la roja“ che si distinguerà per il bel calcio offerto ai mondiali in Sudafrica, venendo eliminata solo dal Brasile.

Quando decide di tornare sulla panchina di un club torna in Spagna, in uno dei club più affascinanti del paese: l’Athletic Bilbao, noto per la sua attitudine ad acquistare soltanto calciatori provenienti dalla regione dei Paesi Baschi. Qui, ancora una volta, è spettacolo, con Bielsa che conduce “los leones” in finale di Europa League e Copa del Rey, pur perdendo entrambi gli ultimi atti. L’anno successivo sarà già l’ultimo sulla panchina dei baschi, complice una stagione sottotono rispetto alla prima.
Il lido successivo è Marsiglia, dove la storia d’amore con i francesi è travagliata: nonostante gli ottimi risultati sportivi, i dissidi con la società, in particolare sul mercato, lo portano a dimettersi alla vigilia della seconda stagione.
Le due esperienze successive sono sicuramente le più tribolate: nel 2016 viene annunciato come nuovo allenatore della Lazio, rinunciando all’incarico dopo soli due giorni, roba da fare invidia al sopracitato Brian Clough, sempre causa incomprensioni riguardo al mercato.
Ancor più controversa l’esperienza al Lille, in Francia, cominciata nel febbraio 2017, e conclusasi nel dicembre dello stesso anno, sembrerebbe per la visita di Marcelo ad un suo amico malato terminale, senza però l’autorizzazione da parte del club.
Le polemiche travolgono “El loco”, che però non sembra accusare particolari preoccupazioni, e decide di rimettersi in gioco in Inghilterra, in Championship, in una nobile decaduta del calcio britannico, ed è qui, scusate l’introduzione non esattamente concisa, che comincia la nostra storia.

UN LEEDS DI ORDINARIA FOLLIA
Dopo un calvario durato oltre quarant’anni, che ha visto il Leeds United fare la spola fra la massima serie e le serie inferiori, con qualche sporadica apparizione europea, la svolta avviene nel 2017 quando Massimo Cellino, che noi italiani conosciamo bene per i suoi trascorsi al Cagliari e per essere l’attuale proprietario del Brescia, cede il club ad un altro uomo d’affari italiano, Andrea Radrizzani.
Il progetto dell’imprenditore è ambizioso: è arrivato il momento per i Peacocks di tornare in pianta stabile nel calcio che conta e per farlo decide, a partire dalla stagione 2018-19, di affidarsi a Don Marcelo Bielsa, anch’egli desideroso, come abbiamo visto, di rivalsa dopo le precedenti esperienze.
La prima stagione inizia con i migliori auspici: il Leeds è tra le favorite per la promozione e non disattende, passando più della metà del campionato ai vertici; tuttavia crolla nel finale, finendo solo terzo e venendo eliminato ai play-off dal Derby County di Frank Lampard, che si impone ad Elland Road per 2-4, dopo lo 0-1 dell’andata a favore dei Whites.

Il fallimento al primo colpo non scalfisce nessuno: Bielsa rimane al suo posto, la fiducia è dalla sua, e al secondo anno arriva la vittoria del campionato, con 93 punti, frutto di 28 vittorie, 9 pareggi e 9 sconfitte, coadiuvati da 77 gol fatti e 35 subiti, con un vantaggio di 10 punti sul West Bromwich, secondo. Da notare, sempre in questa stagione la partita giocata all’Emirates Stadium fra l’Arsenal e lo United, in cui, seppur chiaramente sfavorita, la squadra del West Yorkshire mette tremendamente in difficoltà i Gunners, che si sarebbero laureati campioni, uscendo alla fine sconfitta soltanto per 1-0 e fornendo un’anticipazione di quello che avrebbe mostrato quest’anno.
Quello che si appresta ad affrontare la Premier, dopo una lunga e per nulla imperturbabile attesa, è un Leeds che conferma quanto di buono ostentato in cadetteria, esaltando i principi cardine che abbiamo visto riguardo al calcio di Bielsa: aggressività, pressing, calcio offensivo, ricerca della verticalità. I capisaldi del Leeds “bielsano” sono: Luke Ayling, centrale di struttura capace di giocare anche da terzino e abile nel gioco aereo, Kalvin Philips, mediano proveniente dal vivaio, centrale nello schermare il gioco avversario, Pablo Hernandez, fantasista con diversi trascorsi ad alti livelli, ma con qualche problema fisico relativo all’età, Helder Costa, esterno funambolico e rampante e Patrick Bamford, autore di 16 gol in Championship, e già a segno per due volte in Premier.
Il calcio di Don Marcelo sembra essersi già fatto conoscere dalla Premier, con i risultati di cui ho già parlato all’inizio di questo articolo, e mettere in difficoltà uno come “il mago” Klopp mostra tutta la bontà e l’efficacia delle scelte e della proposta di calcio confezionata da questa squadra, che vuole continuare a stupire, puntando verso lidi decisamente ambiziosi, sempre che l’imprevedibilità del “loco” lo permetta.

“Alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre.”
Charles Bukowski