Roberto Mancini, nato a Jesi il 24 settembre 1964, è l’uomo del destino. E’ colui che può salvare la Patria in tutti i sensi. Non sarà forse un caso se proprio vicino alla cittadina anconetana cresceva un certo Giacomo Leopardi da Recanati. Le 2 frazioni distano una manciata di chilometri, ma è come se fossero un unicum per l’importanza delle personalità che hanno originato. Mai avrei pensato che un ex calciatore potesse vantare un ruolo così determinante all’interno della società civile. Commettevo un grave errore. D’altronde è sempre così. Il mondo si può modificare da qualsiasi posizione si occupi anche se è all’apparenza lontana anni luce dall’obiettivo. Si sperava che il marchigiano recuperasse una Nazionale ormai distrutta dalla precedente esperienza e da una mancata qualificazione Mondiale. Il nuovo c.t. ha persino fatto meglio lanciando messaggi importanti che evadono dal pallone.

Partirei proprio da tale secondo principio che, al momento e con il massimo rispetto per il calcio, mi sembra più urgente. Il vate marchigiano spedisce continui moniti e “chi ha orecchi intenda!”. Già durante il lockdown, il Mancio si era espresso in maniera dura: “Mi sono rotto di stare a casa, lo ammetto. E’ una cosa insopportabile, diciamolo francamente. Dopo 60 giorni chiuso c’è da impazzire” (La Gazzetta dello Sport). Erano gli ultimi giorni di aprile. Immaginate la reazione di molti italiani. Una marea di critiche incontrollata. Per cosa? Per il sostegno di una tesi che chiunque non avesse avuto diretta esperienza della malattia pensava dentro di sè. Forse si può discutere la terminologia, ma non il contenuto. Signori, mi conoscete, bando alla retorica. E’ l’arma per il controllo delle masse. Il c.t. aveva semplicemente detto la verità. Punto. Preferivate sentirvi raccontare la solita morale espressa ormai da tutti o è stato meglio udire la franca voce sincera di un uomo che ha manifestato ciò che percepiva veramente nella sua anima? Complimenti Mister! Ha avuto il coraggio di non nascondersi. Il giornalista Tiziano Terzani affermava che: “Il miglior modo per capire la realtà è attraverso i sentimenti”. Una democrazia necessita della libertà d’espressione. Non condivido chi afferma che occorre obbedire alle norme perché si comprende il loro valore. Una regola è da rispettarsi perché ha quel potere. E’ nella sua natura. E’ insindacabile. La morale, invece, è un’altra roba. Confonderle denota grande caos a livello giuridico. Non si può nutrire l’inutile pretesa che tutti siano concordi con una Legge, ma è assolutamente logico esigere che nessuno la violi. La differenza è grande. Il Popolo non è lobotomizzato. Soprattutto nell’era attuale in cui le persone vantano miriadi di strumenti utili per addivenire alla conoscenza, è assurdo pensare di creare un pensiero univoco e comune. Fortunatamente non sarà mai così e trovo ingombrante la continua richiesta di comprensione delle restrizioni da parte delle Autorità. Una simile ridondanza potrebbe anche condurre a pensare che chi domanda costanti conferme pratiche del suo operato si trovi nella condizione di non essere sicuro della bontà delle decisioni. Non è certamente così, ma il dubbio è lecito.

Mancini ha manifestato il peso del lockdown anche agli inizi dello scorso mese di giugno. Quando si tratta dell’emergenza legata al covid-19, si ha la tendenza a osservarla in maniera miope. E’ come essere sull’albero della nave e guardare con il cannocchiale verso una sola direzione non immaginando che il pericolo potrebbe giungere da qualsiasi altro lato. E’ dal mese di marzo che sostengo una simile tesi. Esiste un substrato socio-economico che merita enorme attenzione. Continuo a ribadire che mi pare tutt’ora poco curato. Si agisce sovente come se l’unico problema da risolvere fosse debellare il virus. Detto che, allo stato attuale, trattasi di missione ai limiti delle umane possibilità, credo che il segreto sia convivere con esso. Per mesi abbiamo udito questo vocabolo e ritengo sia l’unica soluzione plausibile, ma appena la situazione minaccia di uscire dai ranghi, ecco che si manifesta l’impressione di dimenticarsene.
Servono calma, sangue freddo e lucidità d’analisi. Quante persone hanno manifestato depressione a causa della nota quarantena primaverile? Sono più fragili di altre? No. Semplicemente hanno una sensibilità diversa e non ci si può nascondere dietro un’eventuale debolezza psicologica. Vivere una simile malattia non è certo più semplice che patire rilevanti danni alla salute fisica. Quante coppie sono “scoppiate” a causa delle restrizioni di quel periodo? In soldoni, quante famiglie sono saltate? Quante persone hanno perso il lavoro? Non pensate che gli ammortizzatori sociali siano la panacea di questo male perché è fuorviante. Quanti esseri umani hanno dovuto rinviare interventi chirurgici pure importanti? Il piatto della bilancia deve contenere tali situazioni altrimenti non si può parlare di salute. I complimenti dell’OMS sono francamente inutili se si risolve un problema per crearne altri cento. Siccome non si è ancora a questo punto, urge essere molto attenti in futuro.
Anche ultimamente Roberto Mancini da Jesi ha sottolineato come vi sia troppo pessimismo, ma è stato attaccato. Ha ragione. Convivere con l’emergenza, infatti, significa riuscire a svolgere le varie attività in sicurezza. In che modo? Con validi protocolli, attenzioni e prevenzione. Altrimenti il rischio è quello di apparire come quel bambino che pur di avere una data figurina cede anche l’album. Penso che le modifiche effettuate alla quarantena per chi risulta positivo al SarsCov2 rappresentino un passo importante verso la giusta direzione. Ora queste persone non rischiano più lunghe e inutili reclusioni. Ciò potrebbe tornare utile anche al calcio perché l’atleta che non riesce a negativizzarsi, dopo 21 giorni e da asintomatico, potrebbe tornare comunque a disposizione con il rischio di contagio altrui assolutamente ridotto. Comprendo un “freno” alla movida eccessiva che crea forzatamente assembramenti. Sono, invece, meno concorde con l’eventuale chiusura degli sport di contatto amatoriali che rappresentano spesso un sano sfogo fisico a una routine malsana soprattutto dal punto di vista alimentare. Se i protocolli dei vari organi che li gestiscono possono essere sufficientemente adeguati, non li bloccherei. Non tratto degli impedimenti alle “feste private” perché non riesco a capire ancora i termini della norma.

Mancini, però, non è riuscito soltanto a fornire lo spunto per tali determinanti riflessioni. Il c.t. sta conducendo egregiamente il compito che gli era stato affidato: la risurrezione della nostra nazionale. L’Italia gioca come una squadra di club. Questo è l’aspetto che impressiona in maniera maggiore. Gli azzurri sono fantastici perché hanno un’anima e un’essenza tipica. E’ come se avessero il marchio di fabbrica. Una simile concezione diventa fondamentale se considerata all’interno di un gruppo che non vanta campioni. Per comprenderci ritorno a Sarri e alla Juventus. Il toscano stava impiegando parecchio tempo a inserire i suoi meccanismi all’interno del sistema bianconero anche perché la compagine era talmente nutrita di importanti personalità che risultava molto arduo bloccarle in schemi tattici ben precisi. Così occorre mediare. Questa è una prassi della vita, ma è chiaro che raggiungere un equilibrio partendo da poli più vicini necessita di minor tempo. Se le distanze sono abissali, serve un periodo assolutamente lungo. Roberto ha centrato la retta via e la persegue con una perfetta meticolosità. Senza il lampo del genio che risolve la gara, l’imprinting collettivo marca la differenza. Una simile concezione di calcio, poi, ha un altro enorme vantaggio. Il c.t. non dipende da alcun giocatore.Modificando l’ordine degli addendi, la somma non cambia”. La massima è forzata, ma utile a rendere l’idea. Se manca Verratti, c’è Locatelli. In assenza di Chiellini, ecco Acerbi. Con Immobile e Belotti out è pronto Caputo. La sostanza, però, è la medesima. L’avversario non può godere o rilassarsi pensando che dovrà sfidare atleti più semplici da superare perché il vero nemico è invisibile. Si tratta del sistema. Il Mancio, poi, ha avuto il coraggio e la fortuna di poter avviare un nuovo ciclo. Buffon, Barzagli e De Rossi hanno detto addio al gruppo azzurro e il marchigiano ha potuto ricreare una mentalità senza l’ingombrante presenza di certi campioni affermati. E’ chiaro che incidere su ragazzi giovani o debuttanti è più semplice che convincere chi già ha scritto la storia. Questa, però, può essere un’arma a doppio taglio perché i citati campioni avrebbero sicuramente vantato la forza di coadiuvare il c.t. nel suo compito. Lo jesino ha svolto un ottimo lavoro con la sola presenza del suo staff. L’Italia non è più quella squadra molle, impaurita, confusa e senza un grande leader che era prima della mancata qualificazione al Mondiale. In molti ricorderanno l’apice più basso di tale avventura: De Rossi si rifiutò di entrare in campo nella sfida di ritorno dello spareggio con la Svezia perché credeva che fosse più utile inserire un altro profilo di atleta. Non voglio colpevolizzare la gestione targata Ventura, ma è lampante che simili situazioni non si possano verificare in una compagine professionistica.

Roberto ha avuto pure il vantaggio di trovarsi di fronte a una generazione molto promettente mixata con calciatori più esperti e forti. Si vada con ordine: Donnarumma, Sirigu, Meret, Gollini e Cragno rappresentano un’ampia e importante varietà di portieri. Non penso di esagerare se affermo che Emerson e Spinazzola siano tra i terzini sinistri migliori d’Europa. A destra, Florenzi è una garanzia. Di Lorenzo e Lazzari crescono bene. Chiellini, Bonucci, Acerbi, Romagnoli e Mancini non necessitano di ulteriori plausi. Auguri di pronta guarigione a Bastoni e Caldara che sono sicuramente preziose risorse per il futuro e hanno tutte le carte in regola per far parte della spedizione europea estiva. Verratti, Jorginho e Barella compongono una mediana super consolidata, ma far accomodare in panchina Locatelli assomiglia tanto a uno spreco. Lorenzo Pellegrini è la duttilità formata a persona. Castrovilli e Sensi spingono forte dalle retrovie. Jack Bonaventura è la chioccia, l’usato sicuro. Non si può, poi, dimenticarsi dei romanisti Cristante e Zaniolo con il secondo pronto a un grande ritorno. Sono certo che sarà più forte di prima che quel maledetto crociato si frantumasse. L’attacco è pura magia. Insigne, Bernardeschi, Chiesa e Berardi sono ottimi esterni. Immobile, Belotti e Caputo rappresentano centravanti utili e malleabili. Davvero tanta grazia.

Mancini, il vate vincente del momento. L’uomo che segna la via anche senza volerlo.