In un’epoca assai remota il mondo del calcio si identificava in una battaglia senza confine, dominata dalle regole del campo e dall’appoggio dei tifosi, simbolo di gloria e perseveranza soprattutto quando la sfera non voleva entrare in porta. Partivano i cori, si alzavano alti in cielo e la magia del prato, dettata anche dalla casualità più estrema, decretava il verdetto. I protagonisti di quel periodo erano i team più affascinanti dell’intero globo terrestre, squadre capeggiate dall’amore presidenziale e dall’attaccamento alla maglia, prima regola che deve essere rispettata quando giochi a calcio; tra i nomi blasonati spiccavano quelli di Manchester United e Inter, eserciti che si scagliavano addosso pallonate e contrasti folli soprattutto in Champions, perché le stelle volevano questo e c’era da conquistare la gloria.

Era anche la sfida tra Old Trafford e San Siro, due strutture sacre che incarnavano la gioia dei tifosi e la brama di competizione, portatrice sana di vittorie e record imbattibili. Sulla poltrona dirigenziale dell’Inter sedeva un certo Moratti che, dall’amore provato per i suoi colori, non si perdeva mai una sfida, perché la famiglia conta più di qualunque altra cosa e non può essere abbandonata neanche per un millesimo di secondo; dall’altra parte, precisamente in panchina, si posizionava Sir Alex Ferguson, egregio scozzese che passava le sue giornate a programmare il futuro della sua squadra e a “vincere il presente”, perché senza i classici 3 punti il tasso di crescita dei ragazzi non aumenta neanche di un millimetro.

Il tempo recita la sua parte e spesso, come accade anche agli eroi, la nuvola nebbiosa della decadenza infrange i record passati e sembra non svanire più dal centro sportivo di allenamento. Brillano solo il blasone e la fiducia dei tifosi che capiscono il momento e cercano di pazientare un attimo, per dar tempo alla società di programmare il futuro, ma soprattutto per non acuire un sentimento di insofferenza che potrebbe essere percepito in campo nei momenti più delicati della partita. Quello che conta, però, è rialzarsi nel miglior modo possibile, perché come dice il famoso detto “con i se e con i ma non si va da nessuna parte”.

Manchester e Inter, le due squadre che fino a circa 10 anni fa dominavano la loro nazione, sono tenute a tornare in piedi nel nome dei tifosi e nella tradizione che non dimentica, per non essere a sua volta scordata. Per fare ciò però serve un progetto a lungo termine, un qualcosa che sia in grado di riportare serenità e voglia di fare perché il tempo stringe e rimanere danzanti nel Purgatorio della classifica non è un bene per nessuno.

I Red Devils sono riusciti a trovare il proprio dna nella figura di Ole Gunnar Solskjaer, tecnico norvegese che ha vestito proprio la casacca del Manchester nell’era di Ferguson, suo grande amico e ammiratore. Una scelta rischiosa che si identifica nella ricerca di un profilo in grado di riportare l’amore per il calcio e la normalità; forse l’aspetto più importante in un’epoca dove il portafoglio prevale sulla contentezza dei tifosi. E proprio i supporters dello United si stanno rendendo conto del valore del loro ex campione in virtù del fatto che quell’idea di traghettatore per la nuova era sta per essere accantonata del tutto. Il nuovo periodo, o meglio, il nuovo ciclo è nella sua fase embrionale, ma presenta stralci di gioco e mentalità che portano i ragazzi di Old Trafford a diventare la vera "outsider" della Champions, competizione che a Manchester non vedono da troppo tempo. Sono otto le vittorie consecutive e ciò che rende veramente infallibile l’addio di Mourinho è la vera professionalità del nuovo arrivato Solskjaer, istituita su un’onestà di fondo immensa e su un’impronta data ai calciatori, posizionati semplicemente nel ruolo di appartenenza. Insomma, una rinascita pura e capeggiata da chi ha fatto la storia di uno dei club più importanti dell’intero palcoscenico mondiale.

A diversi km di distanza, più precisamente nella Milano nerazzurra, regna il caos più assurdo. Un progetto, quello del biscione, che non spicca mai il volo a seguito di incertezze, cali di concentrazione e promesse gettate al vento, quasi a voler posticipare un malumore che sembra inevitabile a questo punto della stagione. La squadra guidata dal colosso cinese Suning, che stando alle dichiarazioni doveva portare nell’immediato campioni e diventare la vera anti-Juve, si ritrova a galleggiare tra il terzo e il quarto posto vista la ripresa delle squadre che risiedono dietro ai nerazzurri. Ciò che preoccupa vistosamente è la mancanza di mentalità e quanto visto a Torino testimonia una penuria offensiva e tattica degna di nota; fatta eccezione per portiere e difesa, la squadra di Spalletti non presenta un briciolo di gioco, ma continua ad ostinarsi su un centrocampo privo di fraseggio e incursioni. Il mercato di gennaio sta per concludersi e in Corso Vittorio Emanuele, con un Perisic concentrato sulla Premier e un Icardi attanagliato sempre più dalla sua signora, è arrivato il solo Cedric per cercare di confezionare il terzo posto in classifica. Decisamente troppo poco viste le parole di Zhang e il culto dei campioni racchiusi nei “sogni infranti” dei tifosi. Le parole vengono gettate via dal vento e le speranze dei tifosi nerazzurri si stringono attorno alla figura di Marotta, personaggio che dovrà rispondere con i fatti e scrollarsi di dosso chi afferma che l’Inter in breve tempo annienterà tutto e tutti. Un’impresa ardua che dovrà trovare il nome da cui partire senza azzardi surreali anche perché, se tra Conte e Simeone è arrivato Spalletti, ormai è lecito aspettarsi che tra Kroos e Modric arriverà De Paul. Il tempo svelerà i misteri di mercato e decreterà i vincitori, ma per tornare al passato e a ciò che viene richiesto dalla fiumana di tifosi che abbracciano San Siro ogni domenica c’è bisogno di lavorare a testa bassa e senza microfoni.

A Manchester hanno capito le regole del gioco, ma la grandezza della Premier rispetto alla Serie A si identifica anche nella capacità di lavorare a tutto tondo per poter agguantare il titolo. Una mentalità che in Italia ha solo la Juventus, capace di gestire e amministrare le proprie risorse senza raccontare storie assurde, ma provando a compiere miracoli che sembrano impossibili sulla carta, ma concrete possibilità dal punto di vista applicativo.