Il rinnovo, o meglio il non-rinnovo, di Gianluigi Donnarumma con il Milan è sempre più nebuloso ed è sempre al centro di aspre polemiche: da un lato la coppia formata dall'atleta e dal suo ingombrante procuratore Mino Raiola, dall'altra l'intero universo rossonero che, a vari livelli, si pronuncia sull'argomento con l'aria sempre più indispettita.
Domenica è stata una giornata di dichiarazioni gelide sulla spinosa questione da parte di due bandiere del club, che da posizioni molto diverse hanno rimarcato un concetto ormai chiaro a tutti: l'ambiente Milan, globalmente e genericamente inteso, inizia ad essere stanco ed irritato rispetto al tira-e-molla riguardante la firma del Numero 99 rossonero. 

IL GELO DEL DIRETTORE. Paolo Maldini, oltre ad essere lo storico capitano del Milan più vincente della storia, è l'attuale responsabile dell'area tecnica del club: le sue invettive quindi, circondate dall'aurea di ufficialità dirigenziale, meritano di essere sottolineate in rosso più e più volte sui taccuini della cronaca sportiva.  A margine del match vinto contro il Parma, un Maldini evidentemente indispettito dal protarsi della vicenda, dopo aver aver dichiarato che per il rinnovo di Zlatan Ibrahimovic "mancano solamente piccoli dettagli" ha aggiunto: "Non legarsi eternamente ad una squadra è una scelta che uno fa e porta avanti nel tempo, a volte dà soddisfazioni e a volte no. So cos'ho a disposizione dal club, per fare un affare bisogna essere felici in due".
La perentorietà delle parole del sempre diplomatico Paolo Maldini, nella doppia veste di leggenda rossonera e massimo dirigente dell'area sportiva del club, non lascia indifferenti: il Milan è irritato da questa annosa (ed ormai penosa) faccenda, ha fatto un'offerta ritenuta congrua (otto milioni di euro netti a stagione) che non può essere ulteriormente migliorata. Donnarumma, o chi per lui, deve fare la propria scelta: prendere o lasciare. 

IL FUOCO INCROCIATO DI BILLY.  A pochi minuti di distanza, sempre in diretta televisiva satellitare, rimbombano le parole di un altro mostro sacro della storia milanista, Alessandro "Billy" Costacurta, compagno di reparto e di infiniti trionfi proprio di Paolo Maldini. Costacurta, da mero opinionista libero dai lacci delle formalità dirigenziali, è ancora più tranciante nel giudizio sul giovane portiere e sul suo agente: "Non posso dire cosa farei al posto di Donnarumma perchè siamo molto diversi. Anche noi abbiamo avuto procuratori forti, bravi. E noi abbiamo deciso di rimanere al Milan senza troppi fronzoli: abbiamo guadagnato meno di quanto potevamo guadagnare, ma siamo rimasti. A me sembra tutto molto chiaro. Non mi sta piacendo il comportamento di Raiola. Ma poi è il comportamento di Raiola o di Donnarumma?" Ed aggiunge, impietoso: "Io sono di vecchie tradizioni: perchè bacia la maglia? Forse perchè in quel periodo tu sei innamorato, ma poi bacerai quella dopo? Non riesco ad arrivarci, forse non sono abbastanza intelligente, ma io preferirei meno baci e più dimostrazioni". 

EPOCHE DIVERSE, MILAN DIFFERENTI. L'ex numero Tre e l'ex numero Cinque del Milan degli Invincibili di Sacchi, degli Immortali di Capello ed anche dei Meravigliosi di Ancelotti, non le mandano a dire e ci tengono ad evidenziare un concetto ben preciso: noi siamo diventati bandiere del club perchè abbiamo sempre rinnovato senza tirarla troppo per le lunghe, facendo una scelta ben precisa a prescindere da quanto avremmo potuto guadagnare di più. 
E' vero, indiscutibile. Ma c'è un grosso grosso "ma" che i due storici difensori rossoneri non prendono in considerazione, sicuramente in buona fede. 
I loro rinnovi plurimi (25 anni in prima squadra per Maldini, 21 per Costacurta, oltre alla trafila delle giovanili) e quasi automatici erano controfirmati dai signori Adriano Galliani e Silvio Berlusconi, massimi artefici della storia di uno dei club più vincenti della storia del calcio mondiale. Onestamente, che senso aveva per un professionista facente parte di quel ciclo irripetibile, trasferirsi in un altro club? Durante la loro carriera, lunga e gloriosa, esistevano club più forti del Milan sulla scena del calcio? Esistevano squadre più vincenti di quelle dei già citati Sacchi, Capello ed Ancelotti? 
Ed esistevano, alla fin fine, società più ricche, solide e meglio strutturate di quella presieduta da Silvio Berlusconi?
La risposta è sempre la stessa, per tutti i quesiti appena posti: no.
E' innegabile che loro abbiano deciso di diventare bandiere del Milan, ma di un Milan che era il non plus ultra del calcio mondiale e del business calcistico mondiale. Ed oggi, com'è evidente a tutti, la situazione è molto diversa. Terminata la grandeur berlusconiana, c'è un club che sta lottando per ricostruire se stesso sul piano tecnico e sopratutto economico-finanziario. C'è una squadra giovane, di buona prosepettiva ma molto lontana dalle schiere di fuoriclasse assoluti che calcavano i campi di Milanello tra la fine degli Anni Ottanta e la prima metà degli Anni Duemila. Il Milan, fatto impensabile in passato, non gioca la Champions League da sette anni e non si vede come possa giocare per vincerla a breve-medio termine: fuori di metafora, il club non fa più parte dell'èlite del pallone europeo.

QUEL MONDO ANTICO CHE NON C'E' PIU'. Queste distinzioni, amare ma inconfutabili, possono far breccia nella testa di un giovane prospetto di fuoriclasse? La volontà di raggiungere immediatamente il top della propria professione, può incidere nelle scelte contrattuali relative al proprio lavoro? Certo. Se poi aggiungiamo il carico dei consigli di un procuratore-squalo come Mino Raiola, il piatto è servito. E non perdiamo tempo neanche a spiegare che esiste una differenza sostanziale, per chi si è dichiarato "un super-capitalista", tra uno stipendio da otto ed uno da dodici milioni di euro. Non perdiamo tempo, ovviamente, neanche a tirare in mezzo al discorso le questioni etiche, morali, sociali: ci sono, ma per comodità fingiamo che non ci siano.
Magari, per essere davvero perfetti nella costruzione di questa "critica morale" alla reticenza di Donnarumma, si potrebbe citare l'esempio emblematico ed ancor più pregnante di Franco Baresi, il quale non lasciò il club rossonero neanche in Serie B (due volte) e neanche sull'orlo del fallimento: già difensore di chiara fama, rifiutò la Grande Juventus degli Anni Ottanta per restare col suo Piccolo Milan, salvo diventarne capitano di tanti successi di lì a breve. Scelta azzeccatissima a posteriori, ma solo a posteriori.
Oppure, per uscire dai confini rossoneri, potremmo citare l'unicum di Francesco Totti, che non ha mai tradito la squadra del suo cuore e della sua città, rifiutando offerte ben più corpose sia a livello che tecnico che a livello economico: ma anche lui "aveva fatto una scelta", come dice Maldini, quella di essere una bandiera della Roma. A prescindere dai soldi, dai titoli, dalle gioie e dai dolori. 
Ecco, forse si potrebbe imputare a Gigio Donnarumma di non essere Baresi e di non essere Totti: ma oggi, in questo calcio, esistono ancora i Totti ed i Baresi? La risposta, purtroppo, la conosciamo tutti.