Ma il calcio è ancora di tutti...?

Se dal lungomare Colombo, prima di arrivare al Ponte del Mare, giri a sinistra su via Pepe, camminando per circa 300 metri ti troverai davanti alla recinzione e ai pini che nascondono lo stadio Adriatico, altri 100 metri scarsi e sarai sotto la curva Nord, il luogo che, finché la pandemia non ha trasformato il calcio in uno sport esclusivamente televisivo, ospitava la parte più accesa del tifo pescarese, i gruppi organizzati che oramai si limitano ai soli Rangers.

Sarà perché io a Pescara non ci ho mai vissuto o forse perché nello stadio che ospita le partite della mia squadra del cuore ci sono potuto andare complessivamente solo poche volte, ma ogni volta che vedo l’Adriatico mi emoziono. E succede già fuori, ancora prima di entrarci.

Pescara è una città abbastanza piccola, il Delfino però può contare su sostenitori da tutte le città d’Abruzzo, forse perché solo il Pescara in tutta la regione ha avuto il privilegio di giocare nella massima serie e ha, più o meno stabilmente, militato nella cosiddetta serie cadetta. Da un certo punto di vista, probabilmente, è stata motivo di vanto e di identificazione per molti abruzzesi appassionati di calcio. Io sono un caso a parte, non sono nemmeno abruzzese se non incidentalmente, ma non penso sia un requisito essenziale per innamorarsi perdutamente dei colori di una squadra o non si spiegherebbero le migliaia di tifosi pugliesi o siciliani che tifano la Juve o l’Inter, idem per tutti i veneti che tifano per il Milan, per dire.

Il tifo non segue regole, non ha limiti o confini, la tua passione nasce a volte per caso o perché qualcosa ti cattura da bambino, potrebbe anche essere quella di tuo papà, o di tuo zio. Non importa, quando arriva non puoi fermarla, ti resterà nel cuore e sarai sempre un tifoso della squadra che scegli da bambino quando questo tipo di decisioni sono meno ragionate che da grande.

Devo anche dire che negli anni ho realizzato che il tifoso delle squadre provinciali, come può essere appunto il Pescara, o è un integralista assoluto e non vede niente altro, oppure tifa sempre un’altra squadra, in genere la Juve, l’Inter, il Milan o la Roma.

A volte mi capita di chiedermi il perché di questa cosa... giuro, certe volte faccio fatica, ma poi mi rendo conto che in fondo le squadre come il Pescara, il Crotone, il Benevento, la Spal o la Cremonese (e potrei nominarne 200?) interessano veramente solo a noi che le amiamo, e a nessun altro.

Non ai giornali, ai giornalisti e nemmeno ai giornalai.

Questo perché il calcio, quello vero, si è perso insieme al suo spirito e ai suoi valori fondanti, in questi giorni leggo di “calcio dei poveri” a volte usato in maniera ironica, e sorrido. Ma dovrei piangere.

Quello che era identità di un posto, di una città e di una regione, è stato sacrificato (come tante altre cose in realtà, ma non è questo il luogo..) sull’altare dei diritti TV, degli interessi internazionali di grandi corporazioni che dagli USA o dall’Asia sono arrivate a far razzia delle squadre più importanti quelle famose e titolate il cui marchio si può spendere all’estero e presentare al tavolo delle ricchissime competizioni europee.

Da questo brutto e perverso declino è fuoriuscita, per esempio, l’Atalanta Bergamasca Calcio.

Quanto ammiro il lavoro dei signori Percassi, quanto invidio l’orgoglio dei tifosi bergamaschi, ma questo è ancora un altro discorso, è pertinente ma mi porterebbe fuori strada. Tuttavia, teniamolo sempre a mente, è importante per credere che, a volte, qualcosa può cambiare, qualcosa si può fare per rimettere le cose a posto e, vi prego, senza dietrologie o teorie del sospetto che nel nostro paese dilagano in qualsiasi ambito e contesto, che sia il calcio, la politica, i vaccini o qualunque altro argomento.

Dove eravamo arrivati? Ah, sì… la Juve, il Milan, l’Inter…poi la Roma e il Napoli. E a scendere per bacino d’utenza. Le possibilità di vincere ormai si restringono sempre di più, e dipendono esclusivamente dai soldi e dal potere economico di chi possiede la tua squadra del cuore.

Poi un giorno qualcuno si sveglia e comunica a tutti che non va più bene nemmeno così. Che qualcuno conta qualcosa più degli altri per diritto divino e non per merito e nemmeno per acclamazione ma perché così hanno deciso i denari che arrivano dagli Stati Uniti o dalla Cina, senza furore peraltro.

Ma io allora? Io che mio malgrado non tifo nessun’altra squadra che non sia il piccolo Pescara, io non conto davvero nulla? Devo rassegnarmi al fatto che non succederà mai che un giorno lontano inizi un ciclo incredibile come quello che stanno vivendo i tifosi bergamaschi? E adesso mi verrete a dire anche che non posso più nemmeno vedere la mia squadra in Coppa Italia?

Qualcuno che il calcio lo ama davvero, i tifosi inglesi su tutti, hanno gridato a gran voce che questo non doveva e poteva succedere e quantomeno lo scempio della Superlega è stato evitato. La Coppa Italia invece la perderemo, anziché farla diventare come la FA Cup, che è un vero gioiello, la trasformiamo in una schifezza per pochi. Soldi, interessi, TV.

Merito sportivo e sogni? Un’altra volta magari.

Però, se guardate con attenzione ai fatti, anche senza il circolo ristretto dei super club elitari europei, il calcio è solo appannaggio dei ricchi. Con o senza superlega, non pensate?

Riavvolgo il nastro di quello che è successo sabato scorso, di quello che io ho visto sabato scorso.

Sabato pomeriggio il mio Pescara è andato in Calabria a giocarsi con il Cosenza una delle pochissime speranze residue di restare in serie B, qualche ora dopo a poco più di un’ora da li, a Crotone, l’Inter cercava l’ennesima vittoria di un travolgente girone di ritorno, lanciato verso uno scudetto che ha messo fine alla lunga egemonia Juventina.

Pochi chilometri, due stadi di provincia, due storie totalmente diverse.

E vite, persone, passioni.

A Cosenza Gianluca Grassadonia, ultimo allenatore di questa ennesima stagione di sofferenza del Pescara, a fine partita ha detto ai due, forse tre, giornalisti che lo hanno intervistato, che adesso è davvero finita. Che il suo Pescara giocherà le 3 partite che restano per onorare campionato e maglia ma che le speranze di restare in serie B sono definitivamente tramontate.

A Crotone, Antonio Conte, si è lasciato andare all’entusiasmo di chi vede davanti a sé il nastro del traguardo ed è stato immortalato mentre con la sua squadra saltava e cantava nello spogliatoio agitando le braccia come un ossesso, tanto nel suo destino c’era un rigore tirato centralmente che Muriel si è prima fatto respingere e poi non è riuscito a ribadire in rete scivolando goffamente. Ma non è colpa sua, è il destino.

La gioia di milioni di tifosi nerazzurri, la disperazione, sportiva, di poche decine di migliaia di tifosi biancazzurri. E due uomini, ex calciatori professionisti, uno famoso, ricco, sicuramente molto capace. Uno poco noto e ricordato probabilmente solo per un arresto cardiaco in campo dopo un violento scontro con il proprio portiere allo stadio Friuli di Udine.

Quindi, dicevo… vite, persone, passioni.

Antonio ha messo in bacheca l’ennesimo trofeo e si prepara ad un’altra stagione di alto livello. Nella prossima, se resterà sulla panchina dell’Inter, lo aspetteranno al varco perché non gli verrà perdonata la terza eliminazione consecutiva ai gironi di Champions, anche lui sa che il calcio non ha memoria, anche lui sa che vincere un campionato minore, come ormai è considerata la serie A, va bene quest’anno, causa il lungo digiuno pregresso, potrebbe essere apprezzato anche nella prossima, ma solo se farà meglio in Europa. Roba d’alto livello insomma.

Gianluca invece sta per chiudere quella valigia che, forse, nel piccolo appartamento o nel residence che ha occupato questo inverno sulla riviera adriatica abruzzese ha appoggiato su una sedia e non ha mai nemmeno completamente disfatto.

È lo stesso sport, lo stesso gioco, quello che Antonio e Gianluca hanno visto praticare alle loro squadre sabato scorso? Sì, il gioco è lo stesso certo, quello che piace a tutti noi, quello che ci fa sognare, sperare, esultare, gioire o soffrire. Una palla, due porte, un prato verde.

Fuori dal campo però non è lo stesso gioco, non quello delle identità che citavo prima.

Antonio lo paga un signore cinese anzi, forse non lo paga da qualche tempo ma non importa, lui non ha problemi ad arrivare a fine mese magari nemmeno un mutuo da onorare. E come non paga lui non paga nemmeno gli altri, almeno per ora, ma nemmeno loro hanno problemi di mutuo o di bollette da pagare. Tanto il calcio è un grande, grandissimo debito sovvenzionato da soldi che oggi ci sono e domani non ci sono più. Da soldi che arrivano dalle TV, se qualcuno le guarda.

Gianluca invece lo paga molto, ma molto meno, una società presieduta da un signore che non ha soldi suoi per portare avanti la società, uno che negli ultimi anni ha tirato avanti a prestiti delle grandi, senza un progetto, senza una programmazione, senza soldi insomma.

Sia chiaro che qui non c’è nulla contro l’Inter, anzi il sottoscritto non è dispiaciuto che sia finito un campionato a senso unico altrimenti che gusto ci sarebbe? Sarei stato contento di veder trionfare il Milan, l’Inter, la Roma, il Napoli, chiunque. Davvero.

Purtroppo, le passioni di noi tifosi però contano proprio poco, la mia sembrerebbe anche meno se è vero che negli anni mi son sentito dire dai tifosi di serie A, quelli che tifano per “le strisciate” cosa potevo capire io che tifavo per il Pescara.

Beh. Io mi preparo a sostenere la mia piccola e adorata maglia biancoazzurra anche nella prossima stagione che altri sostenitori del Delfino hanno già identificato con “l’inferno della serie C”.

Mi chiedo, è l’inferno quello? Sicuro non è il mondo dorato dei diritti TV, dei capitali esteri e delle grandi sponsorizzazioni, non il mondo del calcio che vedono e seguono tutti. È il mondo di tanti calciatori che, magari, fanno anche un altro lavoro, gente che gioca per passione prima di qualunque altra cosa, forse.  So che anche li gli interessi sono ancora piuttosto alti, che non tutti seguono le regole alla lettera e che ci sono cose più o meno…pulite, diciamo?

Ci siamo persi la bellezza di questo gioco, veramente però. Siamo qui a puntare il dito su tutto e su tutti, forse lo sto facendo anche io, ora, adesso. Ma veramente, mi piacerebbe vedere di nuovo un calcio seguito da sportivi e non da tifosi, quantomeno non da tifosi a senso unico. Seguito da gente che non pensa sempre che l’arbitro giochi con gli avversari, che non creda sempre che chi vince lo fa barando, che chi crea un vero miracolo sportivo non abbia come segreto le pozioni del preparatore atletico danese. Ci vuole gente che gioisce nel vedere la propria squadra vincere ma che quando perde sappia riconoscere che l’avversario ha giocato meglio e meritava quella vittoria.

E allora torno all’Atalanta.

Qualunque tifoso italiano dovrebbe guardare con ammirazione a questo miracolo sportivo e sperare che prima o poi ce ne siano altri, come può essere anche il Sassuolo ma non, ad esempio, il Chievo che per diversi anni di serie A è entrato nel gioco dei debiti e delle famose plusvalenze incontrollate.

Abbiamo perso tutti in questo gioco, che non è il gioco del calcio, è il gioco dei capitali che hanno mangiato tutto, il calcio come tantissime altre cose.

E allora, all’inizio della prossima settimana Gianluca Grassadonia chiuderà la valigia e tornerà a casa sua, in Campania credo, aspettando la prossima chiamata di una piccola società che vorrà affidargli una squadra di serie B o di serie C, gli darà il giusto per poter vivere e per poter fare quello che alimenta la sua passione di amante del calcio.

Antonio Conte invece, nella sua bellissima casa di Milano valuterà se firmare un altro contratto miliardario e affrontare una nuova sfida o se restare all’Inter e giocarsi il credito acquisito quest’anno, magari a questo giro avrà più di dieci euro per sedersi al ristorante di lusso della Champions anche, se stando al signore che “lo paga”, ad oggi potrebbe sembrare di no.

E noi?

A noi hanno rubato il sogno e nemmeno ce ne siamo accorti, o forse sì e ci andava bene così, guardiamo partite quasi tutte uguali alla TV e siamo più interessati a chi, e soprattutto come, le trasmetterà. Qualcuno si è accorto che il calcio rotola verso l’abisso ma è paralizzato sul divano con il telecomando che pende verso terra e lo sguardo spento. A me il destino ha riservato un futuro senza partite in TV pertanto, se e quando vorrò vedere la mia squadra, potrò solo pensare di imboccare via Pepe e camminare fino a quando non appariranno i pini.

Forza mio amato Pescara, in qualunque stadio e su qualunque campo non in Coppa Italia però, lì almeno per ora, non ci vogliono.