Ciao cari lettori, vorrei parlare di uno dei giornalisti sportivi più apprezzati della televisione scomparso da poco, ma che rimarrà sempre presente nel cuore di tutti noi.

Giampiero Galeazzi nato a Roma il 18 maggio del 1946, grande giornalista che vantava una brillante carriera nel canottaggio: negli anni Sessanta è stato campione mondiale juniores, campione italiano e partecipò alle selezioni per le Olimpiadi del 1968 a Città del Messico.
La sua carriera inizia in Rai intorno agli anni Settanta, negli anni Novanta diventa un volto molto popolare grazie a 90 ° minuto, rivoluzionando il modo di raccontare gli eventi televisivi.

Il 12 novembre, giorno della sua scomparsa, sui social e sui vari canali televisivi ho avuto la possibilità di vedere alcuni frammenti delle sue telecronache e mi è sorta la curiosità di capire chi fosse e perché quel soprannome “Bisteccone".
Fu Gilberto Evangelisti (figura di spicco del giornalismo sportivo) a chiamarlo così. Si dice infatti che trovandosi Galeazzi davanti, la cui mole era notevole, chiese ad un collega: 'Ma chi è sto Bisteccone?'.

Galeazzi il gigante buono, ha raccontato e portato lo sport nella vita degli italiani. Questo l’ho constatato vedendo vari video nei quali traspariva la passione autentica che lo infervorava nelle sue telecronache, era come se fosse il 12 giocatore in campo, anzi, forse con la sua squadra del cuore la Lazio lo era. Infatti, in quel famoso 14 maggio 2000 mentre stava seguendo gli Internazionali di tennis al Foro italico lasciò la postazione e corse con tutta la sua troupe verso lo stadio Olimpico, mise il microfono vicino alla sua radiolina facendo ascoltare in diretta: “la Lazio è campione d’Italia e si diresse anche lui in curva Nord per festeggiare.

Tra le tantissime telecronache l’altra che voglio ricordare, in oltre trent’anni di carriera, è quella che forse spicca sopra ogni altra, così celebre da essere ormai entrata nella storia del giornalismo sportivo italiano: la medaglia d’oro nel canottaggio di Giuseppe e Carmine Abbagnale alle Olimpiadi di Seoul 1988.
Questa telecronaca è diventata una pietra miliare, soprattutto perché Galeazzi a mio avviso seppe raccontare la gara con un trasporto debordante, professionalità e chiarezza, era come se tutti gli italiani fossero in quella canoa, l’Italia intera pagaiava con loro, raggiungendo tutti, anche chi aveva meno dimestichezza con questo sport. Ha lasciato il segno nella memoria di generazioni di italiani e non solo degli appassionati di canottaggio.
Nelle tante testimonianze è stato commemorato con affetto e stima e come un professionista molto preparato e che nelle sue telecronache erano sempre presenti brio, sagacia e soprattutto la sua romanità.
Panatta, uno dei più grandi tennisti italiani, suo carissimo amico lo ricorda come un professionista pazzesco, “sapeva tutto e veniva a fare le telecronache preparatissimo”, mentre Giovanni Malagò presidente del Coni scrive: “Le tue telecronache erano poesia, superavano le immagini “.

Alla luce di tutto quello che ho visto e ascoltato mi sono accorta che queste telecronache, pur se datate nel tempo, ogni volta che le senti ti avvincono e ti lasciano sempre un brivido, le riconosci hanno un suo marchio di fabbrica, una “forza suggestiva”.
Oggi quello che manca è proprio questo.
A mio parere è importante, in primis la professionalità, la passione e la spontaneità per creare quelle emozioni e rendere tutto più magico.
In cuor mio, spero che i nuovi aspiranti telecronisti possano seguire anche in parte le sue orme con professionalità e dedizione come lui sapeva fare, entusiasmando non solo gli appassionati, ma anche tutte le altre persone che non seguono gli eventi sportivi.