Martedì pomeriggio, a Castrocaro, in provincia di Forlì, c'è stato l'ultimo saluto a Giancarlo Galdiolo, indimenticato ex difensore degli Anni Settanta della Fiorentina, che se n'è andato sabato 8 settembre, all'età di 69 anni, dopo una lunga malattia durata più di 8 anni. Galdiolo era affetto da SLA – la sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa che ha ucciso oltre 50 ex calciatori professionisti (troppi) – a cui si era associata una forma di demenza frontale temporale, come denunciarono anni fa i familiari, invocando un aiuto dal mondo dello sport per sostenere la ricerca sulla malattia.

Sulla bara è stata sistemata la maglia viola del difensore, quella stessa casacca che Giancarlo Galdiolo, bandiera e colonna della difesa gigliata, nel ruolo di terzino destro, ha vestito e onorato per oltre 10 anni, e con la quale ha vinto una Coppa Italia nel 1975. Indossava quella con il 2 dietro le spalle o il 5, quando veniva impiegato da stopper. Erano gli anni dei capelli lunghi e dei basettoni; lo Stadio Franchi si chiamava semplicemente Comunale, e gli undici titolari che scendevano in campo avevano sulle spalle i numeri (senza nomi) che andavano dall'1 all'11, in simbiosi con i ruoli.

Fu Bruno Pesaola a lanciarlo nel calcio che conta. Si accorse di lui durante un'amichevole della Nazionale di Valcareggi contro la Fiorentina Primavera. Era l'Italia che avrebbe partecipato al Mondiale di Messico '70, e per l'occasione Mario Mazzoni, mago del settore giovanile Viola di quegli anni, decise di buttare nella mischia quel ragazzone alto e muscoloso in marcatura su Pierino Prati, attaccante dall'illustre carriera. Prati non toccò palla, perché quel giovanissimo stopper era tosto e senza alcun timore riverenziale nei confronti del bomber rossonero. E in tribuna Pesaola, allora allenatore della prima squadra Viola, si segnò il suo nome e da quel momento Giancarlo Galdiolo cominciò la sua carriera da calciatore vero nella Fiorentina.

Era un pezzo d'uomo, bravo, onesto, simpatico, semplice e privo di malizia, che ha sempre vissuto con passione il suo lavoro. Per questo all'epoca fu soprannominato il 'Gigante buono'. Un difensore vecchio stampo, uno stopper roccioso e fisicamente presente; giocoso, grande e perbene, lo ricordano così alcuni compagni della Fiorentina. Un gigante buono, ma sempre corretto, comunque mai cattivo. A Firenze resta uno dei giocatori più amati, tanto che i Viola Club organizzano ancora oggi partite per lui.

Veniva chiamato dai compagni, anche, Pappa, perché era buono e perché all'epoca in tv era molto in voga un personaggio che si chimava Pappagone, che aveva i capelli lisci con un ciuffo sempre dritto, proprio come il suo. I tifosi lo soprannomirono, invece, Badile, per la sua corretta irruenza, e per via di due piedi non proprio educati. Si narra che al secondo allenamento in prima squadra fece volare il pallone oltre la Curva Fiesole, un'impresa mai più riuscita a nessun giocatore gigliato.

L'esordio con i viola avvenne nel dicembre del '70, ma è solo nell'anno successivo, in una Fiorentina che rischiava per la prima volta dal dopo guerra la retrocessione in serie B, che Oronzo Pugliese, appena subentrato a Pesaola, decise di puntare con decisione, in difesa, sul poco più che ventenne Galdiolo. Il mago di Turi rimase immediatamente colpito dal ragazzo, tanto da farne un titolare quasi inamovibile. La stagione si decise all'ultima drammatica partita, a Torino, contro la Juventus. Avvenne il miracolo, cioè la salvezza, e con essa il cambio in panchina e l'arrivo di Liedholm, che avrebbe portato un'altra concezione tecnica, ma 'Badile' rimase sempre nel cuore della difesa Viola, nonostante i suoi piedi poco portati alla costruzione del gioco.

Nella Fiorentina ha totalizzato complessivamente 229 presenze, con tre reti, di cui una alla Juventus, e una decisiva per la vittoria contro il Napoli, al Franchi, in un'altra stagione maledetta e rimediata solo all'ultima giornata. Nell'estate dell'80 si trasferì alla Sampdoria, in serie B. Ci rimase due stagioni, contribuendo al ritorno in A dei blucerchiati, prima di concludere la carriera nel Forlì, in serie C. Esordì in nazionale con l'under 23, ed è stato anche allenatore al Rimini e a Castrocaro.

Giancarlo Galdiolo, sfortunatamente, è l'ennesimo ex calciatore vittima della SLA. Un morbo, quest'ultimo, che colpisce principalmente per un mix di fattori: la genetica, i pesticidi che venivano (vengono?) usati sui campi da gioco, l'abuso di antinfiammatori e i ripetuti traumi agli arti inferiori e alla testa. Sono tragicamente noti i numeri dell'incidenza della sclerosi laterale amiotrofica nel calcio – il dramma di Stefano Borgonovo è storia recente – però certezze scientifiche non ce ne sono, così come non è mai stata dimostrata alcuna correlazione tra questa malattia e l'uso di sostanze dopanti.

Nulla di certo, dunque, se non che Galdiolo è solo l'ultimo dei giocatori della Fiorentina anni '70 prematuramente scomparsi. Le chiamano "morti sospette": decessi improsvvisi oppure prolungati nel tempo, con immenso dolore per famiglie, e comunque tutti poco spiegabili. Prima di Galdiolo ci sono stati Bruno Beatrice, Nello Saltutti, Ugo Ferrante, Giuseppe Longoni, Massimo Mattolini... Ragazzi scomparsi troppo presto. Una lunga processione del dolore, una incredibile sequenza di lutti, un elenco troppo folto per non far sorgere qualche dubbio e aprire inquietanti ipotesi. C'è stata anche un'inchiesta da parte della Procura fiorentina, poi archiviata per prescizione, ma non si è mai giunti a nulla di concreto. Purtroppo non avremo mai una verità giudiziria, restano soltanto i mille interrogativi da brividi e nessuna risposta tangibile.

Casi troppo differenti tra loro, per cui è difficile trovare un unico filo conduttore. I dubbi su quel periodo, però, sono sempre rimasti sotto traccia, come pure i sospetti sulle terapie adottate a quei tempi. Erano gli Anni Sessanta e Settanta, quelli della pillola Micoren data prima delle partite per 'spezzare il fiato', dei 'caffè dopati' di Helenio Herrera, gli anni dell'uso di sostanze e trattamenti di cui spesso si ignoravano, e tuttora si ignorano per alcuni casi, gli effetti a breve e lungo periodo. Chissà se mai si saprà se tutti questi decessi sono il frutto del caso.

Tuttavia Galdiolo, dal suo letto di ospedale, non aveva mai spesso di difendere i colori violi, che considerava una seconda pelle, e finché è stato lucido, ripeteva a tutti come il pallone non avesse nulla a che fare con la sua patologia. Un grande cuore viola, dunque, ci lascia per sempre. Un altro pezzo di storia della Fiorentina se n'è andato.

La notizia della scomparsa di Galdiolo l'ha data uno dei figli, Alessandro, con un post su Facebook, accompagnata da una bella foto in bianco e nero, e dalla scritta: "fai buon viaggio papà". E allora buon viaggio Giancarlo, riposa in pace e riunisciti, lassù, ai tuoi vecchi compagni di un tempo. Ora che, ahimè, l'intera linea difensiva della Fiorentina dei primi Anni Settanta è ricomposta e dall'uno al cinque i numeri di maglia sono stati tutti assegnati. Erano già giunti, infatti, Mattolini, Longoni, Beatrice e Ferrante; mancava solo il 2 che da sabato è sulle spalle di Giancarlo Galdiolo, il Gigante buono.