Sono le ore 20 del 5 dicembre 2020. I giocatori del Torino non ne vogliono sapere di tornare negli spogliatoi, continuano ad abbracciarsi, radunarsi e disperdersi, e radunarsi ancora. Sono ancora increduli e devono confermarsi l'un l'altro che è proprio vero: hanno violato l'Allianz Stadium, sia pur in questa gelida versione dei tempi del Covid. Hanno vinto il derby proprio di fronte a chi li aveva giustiziati all'ultimo minuto di un derby di sei anni fa, hanno vendicato quel giorno imprimendo una macchia intollerabile sull'avvio della sua carriera da allenatore.

Un Ronaldo furioso ha appena ringhiato qualcosa scalciando una bottiglietta e infilandosi nel tunnel verso lo spogliatoio: qualcuno parla di un insulto in portoghese rivolto ai propri compagni. Andrea Agnelli si infila nel tunnel, quasi inseguendolo con ansia paterna, Nedved è al suo fianco con un'espressione adirata, i suoi occhi sembrano laser azzurri a tagliare la sera. Paratici, pochi metri indietro, ha un sorriso indecifrabile e le mani in tasca.
Pirlo indugia da solo, come se non volesse rientrare negli spogliatoi. Qualche passo avanti, qualche passo indietro. Pirlo notoriamente ha una sola espressione, sicché non è semplice descriverne la variante odierna. Ma lui sa bene cos'ha nella testa: è tutta una settimana che vi serpeggiava un pensiero inquietante: l'ultimo derby vinto dal Toro è stato anche il suo ultimo derby da giocatore juventino; potrebbe mai essere che il ritorno del Toro alla vittoria segni il suo ultimo derby da allenatore della Juve?

Un pensiero inquietante, che scacciava con la ragione: la fresca doppietta di Ronaldo e il gran gol di Dybala, da subentrato, in Champions lasciavano presagire una giornata tranquilla, nonostante la squalifica di Morata. E poi quel pensiero ritornava: non è che segnano oggi, che siamo già qualificati, e poi mi si inceppano proprio nel derby?
Maledetto il giorno in cui Agnelli l'aveva definito "predestinato"! Pre-destinato, destinato prima. Ma a cosa? A vincere, intendeva Agnelli. E lui aveva vinto mille volte. Ma col Toro qualcosa non quadrava; nulla quadra quando entri in quel cono d'ombra, quando entri in rapporto con quell'entità metafisica con la maglia granata. Pirlo ne sapeva abbastanza di storia del calcio per sapere che quella partita è in grado di scatenare l'assurdo, di liberarlo dalle cantine in cui la fisica e la ragione l'hanno rinchiuso: tre gol in otto minuti alla Juve più forte di sempre, un rigore volato in cielo per una buca scavata da un difensore maligno... 
"No, in fondo anch'io sono stato un giustiziere del Toro: se sono predestinato, lo sono a vincere, anche e soprattutto con loro". Ma poi il pensiero tornava: dall'ultimo suo derby da giocatore (in cui proprio lui aveva aperto le marcature, uscendo poi sconfitto), ricordava tanti derby insulsi: per la Juve, giusto una scocciatura tra una partita di cartello di Serie A e un turno di Champions; quelle partite, insomma, che pensi solo al rischio di infortuni e affronti col braccino corto (e la gambina ritratta...), che sembrano fatte apposta per dare al Toro una possibilità di vincere. Eppure niente, ogni volta veniva confermata la legge del più forte.

Cosa aspettava, allora, il destino per far vincere un derby al Toro? "Oddio, sarà mica che aspettava proprio me, per chiudere ancora una volta la mia carriera juventina?". E Pirlo scrollava i capelli con fastidio, e tornava a pensare alla formazione per sabato.

Sono le ore 20 di sabato 5 dicembre. Pirlo scende finalmente verso gli spogliatoi. E pensa a quell'insulto di Ronaldo, chissà a chi era rivolto. Pensa alla premura di Agnelli, talmente impegnato a correre per consolare il suo campione da non averlo degnato di uno sguardo o una parola di rassicurazione. Pensa a Sarri, confermato da Paratici la sera prima e licenziato da Agnelli il giorno dopo. Pensa a un mondo parallelo, dove tutti siamo destinati a qualcosa e si vedono le linee coi percorsi che dobbiamo compiere in questo mondo, ma nessuno ci ha mai dato la chiave né per conoscerli né per comprenderli.