Il Giorno Prima è invecchiato.

Piove. La giornata sarebbe di un buio autunnale se non ci fossero gli alberi ormai completamente vestiti di verde e i pochi prati pieni di colore. Provo un po' di malinconia... ma non è per la pioggia. Neppure per Tom Waits che graffia con la sua voce le sue melodie.

Forse perché il Giorno Prima è invecchiato e non so perché, anziché chiamarlo Giorno Prima sr., per distinguerlo da suo figlio, Giorno Prima jr., viene chiamato Giorno Dopo. Comunque, ho imparato da molto tempo a distinguerli e non mi confondo più come una volta, quando ero giovane e la linea dell'orizzonte era ben più lontana e la riconoscevi chiamandola Futuro e nessuno che ti mettesse in guardia dall'avvicinarti troppo. Quelli che ci erano stati avevano pagato per farlo e si erano impegnati a non rivelare il segreto.

Cazzate. Cazzate. Cazzate. Pioggia. Grigio.

Forse non è malinconia o forse è un cocktail composto da un pizzico di nostalgia.

Vengo da un paese a cui vorrei tornare. Quello da dove guardavo al Futuro con aspettative ancora acerbe. Quello dove c'era un Futuro da raggiungere, sempre. Sempre davanti. Non un immutabile Presente da consumare. Voglio davvero tornarci. Qualcuno in questi giorni aveva esposto un cartello per indicarne la direzione. Diceva “Restiamo umani” e io non ho fatto in tempo ad incamminarmi. Qualcuno ha chiamato la Digos e l'ha fatto portare via.

Però, venerdì, ho sentito un vociare allegro e giovane. Tante persone sorridenti e luminose. E giovanissime. Davvero tante. Portavano dei cartelli colorati e avanzavano sicure. Loro posseggono ancora la mappa per il Futuro.

Ho provato a seguirli, ma ogni tanto inciampavo negli errori della mia generazione. Così mi hanno distanziato. Ma voglio riprovarci. Cazzo se voglio riprovarci!

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L'ultima partita.

Non drammatizziamo. L'ultima partita per alcuni è pesante. In parte da incubo, in parte da follia. In parte da torto o ragione. La gioia del risultato, l'essere scampati al baratro a cui ci si era approssimati e quel terreno maledettamente scivoloso di nervosismo. Non si stava giocando male ma ogni minuto che scorreva pesava nella testa più che nelle gambe. Adesso è il dopo. Adesso è il futuro nato su un terreno tanto friabile e che bisogna bonificare e riadattare per ricostruire con altri mattoni ma anche con vecchie pietre, dimostratesi solide.

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Icardi...

Icardi, sempre più spinto verso l'uscio di casa. Ha una valigia pronta poggiata per terra e non l'ha preparata lui. In quella valigia c'è un'annata buia in cui gli si è chiesto di non essere Icardi e l'ha accettato solo in parte, mentre non ha accettato quello che ha sentito come un tradimento e questo l'ha fatto arrabbiare e ripiegare su se stesso. L'ha intristito e svuotato. Sentiva di più questa partita e l'ha sbagliata: gli hanno chiesto di non essere più lui e l'ha fatto. Ma l'ha fatto male.
Il freddo Maurito ha sbagliato banalmente un rigore che poteva rimanere appeso lì a ricordargli un incubo. Deve ringraziare Naingollan se non ricorderà questa partita con maggior dolore. È uscito sull'1-0 e qualcuno ha pensato bene di distrarsi e rimettere in campo un ulteriore errore per un 1-1 disastroso. Poi l'altalena delle emozioni in negativo. Quel destino che giocava a stuzzicare paure. Poi è finita come doveva. Per il meglio. Non credo immeritatamente. Non penso immeritatamente.

Adesso, nessun saluto di affetto. Nessuna gratitudine. Comunque grazie. Sei stato per anni il nostro migliore giocatore e te ne vai con le spalle un po' curve dal peso degli errori, tanti e non solo tuoi, di questa stagione.

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Spalletti...

Tradito da se stesso, tradito dalle sue scelte di inizio anno, quelle che dovevano farci fare un decisivo salto di qualità. Tradito dal suo orgoglio che, se non difetta in Maurito, anche in lui è gigantesco. Però le tante responsabilità sono lì e, se anche non sono tutte sue, se anche la sorte ci ha messo qualche carta tirata fuori dalla manica, per decidere il risultato, il conto se ne avvale per quando si tirano le somme e viene presentato.

Proprio gli uomini che l'hanno tradito nelle aspettative, simbolicamente dicono, con quei goal pesantissimi che spingono la porta della Champions, che non si era sbagliato nel puntare su di loro, che non sono merce avariata consegnata per dolo a intossicare una stagione. La voglia di riscossa di entrambi ha picchiato forte contro gli spigoli degli infortuni e di riprese mai complete. “Ci spiace, ci saremmo stati, anzi, ci avrebbe fatto piacere esserci durante la stagione ma non ci è stato possibile. Accetta questi due regali, non per l'Inter che li ha pagati ben cari, e portali con te, per quando ti chiederanno “perché proprio quei due?” Così, da spendere come attenuante. È poca cosa, lo sappiamo, ma accettali”.

L'altro assente, per gran parte della stagione, è quello che aveva fatto sognare noi nerazzurri durante i mondiali con la sua nazionale, per le sue sgroppate poderose ed efficaci. Lo immaginavamo sulla fascia sinistra andare come un treno instancabile e puntuale. Ma l'anno del mondiale può rivelarsi subdolo quando le luci si spengono e si riaccendono quelle del campionato. A volte, al posto dei giocatori in carne ed ossa rimangono proiettate solo le loro ombre e quelle ti vengono restituite. E quelle devi farti bastare. E sono loro a scendere in campo e, se non li avessi visti davvero giocare, sarebbero queste copie sbiadite a restarti nella mente.

Quest'anno è valso per Ivan ma io ricordo sparizioni più dolorose. Nel mondiale del 2010, sì, sì, proprio quello del mitico triplete, ricordate?, partirono per non tornare più Milito e Sneijder.

Milito, con i suoi guai muscolari (e, forse, anche un po' la maledizione che qualcuno gli aveva lanciato per quelle dichiarazioni che mi avevano avvelenato il post vittoria della Champion, quel “non so se rimango” che mi aveva accompagnato mentre tornavo a casa), si rivide solo sporadicamente. In qualche partita, davvero di tanto in tanto.
Sneijder invece sparì. Anche lui, come Ivan con la Croazia, incoronato vice campione con la sua Olanda. In quella estate si sposò e, forse, raggiunse quasi il massimo della felicità immaginata. Poi, come tanti, investì su quella. Si preoccupò di mantenerla viva e uguale a se stessa. Si fermò ad ammirarla e a lucidarla. Invece, avrebbe dovuto viverla e rinnovarla, anziché vedersela invecchiare inutilmente. La sua ombra cercò di sostituirlo con un po' di dignità, non riuscendovi sempre.

Ivan era considerato un altro suo pupillo. Uno di quelli più amati. In effetti non ha mai dato spunto per chiacchiere oltre i confini della sua professione. Ma è mancato in quella, nelle aspettative. I suoi numeri hanno pesato in modo leggero su quei conti di fine anno. Su quei bilanci immaginati diversi.

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Così siamo ai saluti, Luciano da Certaldo. Altri arriveranno. Magari ti saranno grati del lascito champions, ma anche per aver loro facilitato il compito per un'annata non memorabile con cui confrontarsi.

Ti rimprovero la gestione di quel caso Icardi che ha cambiato equilibri e umori. Perché intempestivo e quasi letale. Forse sei stato tu l'artefice o forse sei stato solo pedina di altri malumori. Forse si voleva mettere qualche bastone fra le ruote a Marotta arrivato ed incoronato inaspettatamente al posto di altri? Non lo so. Tra le mie letture vi sono anche i thriller e, magari, ipotizzo eventi basati sul nulla. Le supposizioni sono un nulla se non emergono dei fatti a sostenerli. E fatti non ne ho. Così gli errori devi tenerteli tu in tasca.

Mi piace, invece, quel tuo tornare alla tua terra. Quell'amorevole trafficare in campagna. Quel volersi tenere quel promemoria su quel che realmente siamo, in fondo. Siamo esseri semplici vestiti di complicazioni. Denudati torniamo semplici, basilari, essenziali, perfetti. Il mondo del calcio è complicato nelle sue narrazioni. È semplice nel suo essere. Si vince o si perde. Si gioca bene o si gioca male. Si segna o si sbaglia. Non sempre queste cose sono consequenziali e dosate al meglio. Poi va narrato. Vieni da Certaldo e l'aria di quei luoghi, da raggiungere tra serpentine di asfalto rubate alla terra buona, che ti fa bere e mangiare bene, ti avrà influenzato anche in quello. Il tuo narrare ai giornalisti la cosa calcio lo ricorderò. Come ricordo quello di Liedholm, secoli fa. Anche lui con la sua terra da curare e da cui farsi curare, per potersi rinfrancare da quel suo darsi al piacere del calcio, così costoso emotivamente.

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Un caro saluto e, comunque, grazie per essere stati con noi.