Nessuno tocchi San Siro. Ammodernatelo (ma senza esagerare), rendetelo più attraente, modellatene struttura e pertinenze alle esigenze del business, ma non strappategli l’anima, non fate inginocchiare il Gigante degli anelli alla visionarie elucubrazioni dei progettisti, non incatenatelo al palo del marketing a tutti i costi, non mettetelo dietro le sbarre dorate del modernismo di maniera.
E non fatene un museo.
No.
Mi rivolgo al sindaco di Milano, ai potenti del calcio e alle proprietà. Recedete da ogni disegno strambo, non cancellate il tratto migliore che gli artisti del pallone hanno impresso proprio su quella tela.
San Siro non si tocca.
E chissenefrega degli altri.
Facciano ciò che vogliono, si mettano pure al passo coi tempi e con gli affari, trasformino gli stadi storici in cimeli o li diano in pasto alle ruspe (in nome di un calcio che corre veloce e deve far soldi), sacrifichino pure i propri monumenti e facciano stadi di proprietà; vincano pure scudetti e trofei continentali.
Ma San Siro no. San Siro non è uno stadio, è un tempio. Sacro, inviolabile.
Su quel prato la storia ha messo le radici con le sue pagine migliori. Divinità del pallone han compiuto strabilianti prodigi. Cantori e menestrelli han composto indimenticate ballate. Milano e i milanesi in quello stadio hanno condiviso battiti, respiri, pulsioni, vite.

Milano è il Duomo, Milano è la Scala, Milano è il Meazza. Qualcuno potrebbe mai azzardarsi di erigere un Duomo nuovo, con le guglie panoramiche e la Madonnina in 3D? Qualcuno potrebbe mai pensare di costruire un teatro enorme e all’avanguardia, chiamarlo La Nuova Scala e trasferirvi le prime più importanti al mondo? 

Il Meazza non è un’arena su cui mettere il nome di un’assicurazione o di un sigillante, bensì la quintessenza di Milan e Inter, inscindibile perciò da squadre e calciatori, tifosi e presidenti, trofei e sconfitte, cori e colori.
Il Meazza scolpisce le partite nella pietra della memoria, incastona momenti e minuti tra le linee del tempo, incornicia sudore e fatiche in quella dimensione identitaria che per un tifoso è fede, è senso d’appartenenza, è tutto.

Già troppe volte gli affaristi del pallone ne hanno profanato i templi e costretto i fedeli a recarsi in pellegrinaggio da un’altra parte: Wembley, De Meer, il Filadelfia...
Perché c’è un Dio che è più forte di tutti e di tutto (e non serve dire di chi si tratta).
Non lasciamo che ciò accada anche a Milano.
Basta scambiare gli stadi di calcio per meri contenitori di uno spettacolo che più luci ha e meglio è.
Basta scambiare il calcio per un semplice spettacolo.

Perché non è così. Il calcio è passione, è amore, è fede, è idea, speranza, ricordi, nostalgia, poesia.
Le sue luci migliori sono quelle che accendono il cuore dei tifosi e se luci a San Siro non ne accenderanno più, milioni di cuori si spegneranno per sempre.