Ricordo molto ben quel 5 maggio 2002. Ricordo con chiarezza le lacrime di Ronaldo al termine di quella partita maledetta, per lui, i suoi compagni e l’intero mondo nerazzurro. Ed essendo Milanista, lo dovrei fare con una punta di aroma agrodolce, di comprensbile gufismo, ma invece non è così. Non è così in quanto la mia storia è particolare. Infatti, per quanto la mia fede sia rossonera, il mio sangue proviene da ben altra sponda dei navigli. Madre, Padre, Fratello, zii, cugini, nonni e persino trisavoli sono, e sono stati, tutti fedelissimi al credo interista. Non uno che abbia mai osato uscire dallo schema. Non uno che abbia mai posto un dubbio, un’alternativa, una revisione della fede. Questo almeno, sino a quando il sottoscritto venne al mondo. Guarda caso, quando me lo vuole rugare come si dice dalle mie parti, mio padre scherza sempre con i suoi amici riferendosi a me come “quello che è stato sostituito al nido, il giorno della sua nascita”. Di tutta risposta, in simili occasioni io gli faccio presente che le teorie genetiche di Mendel non lasciano spazio al dubbio. Se sono milanista, significa che da qualche parte nel sangue famigliare vi erano dei geni recessivi tinti di rosso e di nero. Ma al di là di questi piccoli e simpatici sfottò, la nostra rivalità non si spinge oltre. Anzi, forse proprio per questa profonda diversità nel credo sportivo, ho avuto la fortuna di imparare che cosa significa riconoscere all’avversario l’onore delle armi. Perché per quanto sia bello gufare, per quanto sia simpatico sfotterci a vicenda il lunedì mattina, durante la pausa caffé, tutto ciò è bello proprio grazie al fatto che un avversario ci sia. E io, che gli avversari li ho avuti in casa sin dalla tenera età, lo so bene. 

Ricordo bene quel 5 maggio 2002. Come dicevo, lo ricordo bene perché, sebbene avessi dovuto gioire, un po’ mi dispiacque per l’Inter in quel concitato finale di stagione. Non mi dispiacque semplicemente per i miei famigliari, ma perché dentro di me sentivo che sarebbe stato giusto vederli gioire di quel titolo sportivo. L’Inter mancava l’appuntamento con lo scudetto da 13 anni. Nelle stagioni precedenti aveva fatto di tutto per mettersi in corsa, ma non sempre con ragion dei risultati. Quell’anno invece pareva che la musica fosse cambiata. I risultati arrivavano e il gioco, guidato dal fenomeno brasiliano, era bello da vedere.
La Serie A era ancora il campionato più bello del mondo e le squadre erano composte dai campioni più ricercati. Sarebbe bastato un ultimo risultato positivo e lo scudetto si sarebbe tinto, dopo più di un decennio, di nero e di azzurro. Una lunghissima rincorsa che, abbandonato per un istante il credo milanista, avrebbe disegnato una bella favola, se questa fosse finita come molti si aspettavano. Lo dico infatti a bassa voce, non sia mai che i miei commilitoni rossoneri mi odano, ma in quella tarda primavera tifai un pochino per le speranze nerazzurre. Lo feci per la mia famiglia ovviamente, ma lo feci perché ho imparato che lo sport non è solo agonismo, ma anche narrazione. Lo sport narra storie di vita, storie di imprese, storie di fatiche e anche di dolori se vogliamo, ma che ogni tanto ci donano qualche lieto fine. E anche se il lieto fine non ci è proprio, anche se questo spetta a una squadra che ci viene un attacco di orchite quando ne sentiamo solo il nome, poco conta. Anzi, è più bello. Perché è in quel momento che scopriamo quanto lo sport sia bello, sia amabile, sia addirittura educativo

Imparai molto in quel maggio 2002. Lo imparai guardando i volti tristi dei miei, nonché l’orgoglio nascosto dietro quelle espressioni. Imparai che l’avversario, se lotta con giustizia, merita sempre l’onore delle armi. Ma appresi soprattutto che anche lo sconfitto ha un orgoglio. Un sentimento che si prova solamente quando si perde, la cui forza emotiva è decisamente più forte di quella che si percepisce persino nelle vittorie più straordinarie. Anche la sconfitta ha un suo onore e non è detto che, prima o poi, i nostri fallimenti non ci conducano da qualche parte. Non mollare, non lasciarsi andare mai, questo è il succo dello sport, così come della vita. L’Inter lo sa bene, dato che qualche anno più tardi rispetto a quel 2002 avrebbe cominciato un filotto di trofei, il quale si sarebbe concluso con quello più ambito. Lo fece non solo grazie a investimenti importanti di una grande persona, un certo Massimo Moratti che dall’Inter non ci ha mai guadagnato un centesimo, ma che ha invece speso miliardi per vederlo vincere. Lo fece anche e soprattutto perché non mollò mai e perché, dietro la delusione di molte persone, c’era sempre un orgoglioso desiderio di rivalsa. Una cosa che voglio tenermi ben stretta, me la voglio scolpire nella mente come se fosse su pietra, soprattutto ora i ruoli si sono ribaltati. Dove un tempo c’ero io, l’eretico, l’apostata di famiglia, a fregiarmi di titoli e a vedere la mia squadra lottare sempre per qualcosa, ora ci sono loro. E dove loro erano un tempo, ovvero nell’anonimato, ora ci siamo noi. È il bello dello sport. Una ruota che gira, come ogni cosa gira in questo universo. 

Sportivamente parlando, mi ritengo dunque un fottuto privilegiato (spero che la redazione comprenda il francesismo del momento). Un privilegiato che ha avuto la fortuna di vedere la propria squadra vincere molto e, nel contempo, osservare come si dovrebbe sempre accogliere una sconfitta. Un privilegiato che ha imparato come la gufata è una chiacchiera da bar, che da lì non dovrebbe mai uscire. Un privilegiato che, così come un tempo sotto sotto si dispiaceva per le sconfitte dei propri avversarsi, ora ha avversari “dentro le mura” che lo consolano. E che sebbene non lo urlino ai quattro venti, sperano anche loro che, prima o poi, questo brutto momento del Milan passi. Per amore del proprio figlio o fratello o nipote, ma soprattutto per amore dello sport e della competizione. Uno sport che, non dobbiamo mai dimenticarlo, è fatto di vinti e vincitori, i quali però senza la loro reciproca controparte, non avrebbero senso di esistere. 

Per concludere, terminata la telefonata, insieme a mia moglie siamo corsi dai miei genitori. Insieme abbiamo visto sia il Milan che l’Inter, due partite inframezzate da una pizza al trancio niente male. E la cosa forse più bella è stata che, nonostante le differenze di classifica, sia a Milano che a Torino, i tifosi di entrambe le sponde del naviglio erano presenti a incitare i propri beniamini. Questo è lo sport, che onora i vincitori tanto quanto i vinti. Se fosse sempre così, il mondo forse sarebbe, anche solo leggermente, un posto migliore. 

“Il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro senza perdere il tuo entusiasmo” - Winston Churcill