Per capire quanto sia strana e assai contrastante la situazione sportiva che stiamo vivendo negli ultimi giorni basta osservare attentamente il regolamento esposto nell'ultimo D.P.C.M firmato dal Premier Conte: i calciatori, se vorranno svolgere attività fisica dovranno correre per strada o allenarsi al parco più vicino alla loro abitazione, mentre gli atleti delle discipline individuali avranno il permesso di disputare le sedute nei loro centri sportivi. Una decisione che ha spiazzato tutti, e che così facendo rischia di aumentare le disparità di trattamento tra i vari protagonisti del mondo dello sport. Per quanto riguarda il calcio, tra le prime cinque aziende del Paese per fatturato e interesse, le posizioni avverse alla ripresa del Ministro Spadafora e quelle di alcuni presidenti, mirano di compromettere il regolare svolgimento di un gioco apprezzato da una fetta importante degli italiani. 

Per quanto le polemiche dei giorni scorsi abbiano riaperto ferite passate, a parlare adesso è arrivato anche Andrea Agnelli, il quale ha ribadito la volontà di riprendere a giocare nel più breve tempo possibile, magari a giugno, con il rispetto delle norme sanitarie e con un piano ben definito dalle varie parti in causa. Conosciamo benissimo il Presidente della Juventus, e sappiamo altrettanto bene che non ama esporsi pubblicamente o tramite i vari social network, come invece riesce bene ai vari politici e ministri in questi ultimi giorni; se Agnelli ha parlato vuol dire che qualcosa bolle in pentola, o meglio, che è necessario ristabilire chiarezza all'interno di un ambiente che nelle scorse settimane ha dato vita ad una vera e propria guerra civile di opinioni. 

LO STUDIO DANESE: Mentre in Italia il caos regna sovrano, con virologi e dottori che espongono tesi diverse sul nemico invisibile del Covid-19, in Danimarca è stato effettuato uno studio preciso sui rischi di contagio che potrebbero avvenire tra i giocatori durante il corso di una partita; dai risultati è emerso che il tempo minimo per essere a rischio è di 15 minuti. I ricercatori danesi, per arrivare a ciò, hanno utilizzato i dati della Super League locale per analizzare le varie fasi di gioco, ma soprattutto i movimenti che i calciatori compiono nell'arco dei novanta minuti. Un rischio che non sembra esserci, visto e considerato che durante l'arco di un'intera partita sono 11 i minuti di contatto tra i protagonisti in campo, e pertanto la possibilità di contagio anche in base ai ruoli ricoperti non è così elevata.

RIPARTIRE IN SICUREZZA: Ci aveva già pensato Ivan Rakitic a dichiarare la sua volontà di ripartire, ma adesso dopo circa due mesi di lockdown è necessario ricominciare a giocare in totale sicurezza, facendo leva anche sui numerosi controlli che vengono svolti ai giocatori, a differenza delle altre categorie di lavoratori che molto spesso devono pagare oro per ottenere un tampone. Nonostante le posizioni espresse da Spadafora e dal Presidente del Brescia Cellino, se aspettiamo il rischio zero di contagio il campionato di Serie A non solo non ripartirà a giugno, ma non lo farà neanche a settembre come tutti vorrebbero. La fase 2 è ormai alle porte, servono cautela, rispetto e senso del dovere, ma lo sport è uno dei meccanismi portanti della ripresa economica del Paese e come tale non deve essere accantonato.
I segnali positivi arrivano, basta saperli riconoscere e accogliere con un po' di buonsenso e di realtà.