Se vedo alle ultime annate che ho vissuto "calcisticamente parlando", mi reputo un ragazzo piuttosto fortunato. Trasmessa la passione per "via ereditaria", ho iniziato a seguire la Juventus quando Antonio Conte è approdato in panchina. Nato nel 2000 (io dico, mica l'altro Antonio), mi viene raccontato ancora oggi, dai miei genitori, di quanto odiassi il calcio quando ero piccolo. C'era mio padre (anche lui tifosissimo bianconero) che cercava, senza riuscirci, di farmi vedere una partita della Juventus tenendomi sulle sue gambe. Ma niente, a me interessava poco e nulla di quei ventidue che rincorrevano quello stupido pallone. Avevo altri interessi: amavo Valentino Rossi e il mondo del motociclismo. Vedevo ogni sua gara letteralmente incollato alla televisione (quando la MotoGP andava in onda su Italia Uno, bei tempi!). Come se dietro di lui che sfrecciava a velocità impressionanti, lungo i rettilinei e i "cavatappi" di Laguna Seca, ci fossi anch'io. Bellissimo!

Tuttavia, quando Conte è arrivato alla Juventus, dicevo, qualcosa è cambiato. Non ho cominciato ad "alimentare" la mia passione verso la "fede bianconera" quando la Juve di Conte era già decollata e allora si percepiva che il vento a Torino, dopo anni di macerie, era cambiato. Per farla breve: non sono salito sul carro! Ma, già nella gara che ha inaugurato quello che un tempo era lo Juventus Stadium (Juventus – Parma 4-1), ho iniziato a vedere il calcio con occhi diversi. E, questo, soprattutto grazie ad Antonio Conte. Vederlo così irrequieto, così "vivo" nel gioco, così appassionato a quel rettangolo verde, ha acceso qualcosa in me. Il suo addio non l'ho mai digerito. E, malgrado il mio rapporto personale con Allegri non sia mai stato roseo (ma lui non lo sa), quest'anno ho "cambiato sponda". Tutti gli attacchi indecenti e indecorosi che ha ricevuto, e che ancora si porta dietro, hanno cancellato in me tutta l'indignazione che provavo nei suoi confronti. Perché, mi sono detto, "io non sono come loro!" Come quelle persone che si spacciano per "juventine" ma che poi dimostrano di non esserlo fatto. Perché, gente che in ogni luogo e in ogni modo "si mette" a crocifiggere un allenatore che continua a far parlare il campo, nonostante tutto, non può essere catalogata (questa gente) nella categoria di "juventini". Sì, insomma, se vedo alla Juventus che negli ultimi anni ha vinto, e poi vinto, e poi vinto, e poi vinto ancora, da tifoso mi reputo, ribadisco, un ragazzo piuttosto fortunato.

Ma, se con gli stessi occhi, e allo stesso modo, vedo non al tifo, ma a tutto il resto, a tutto quello che mi sono perso, al contrario, mi reputo un ragazzo piuttosto sfortunato. Nato nel 2000 (sempre di me sto parlando eh!), ho avuto la grande sfortuna di non poter ammirare i grandi campioni del passato. Mi riferisco a Del Piero (in una sola stagione ho potuto godere del suo valore calcistico e umano: l'ultima), a Platini, a Zidane eccetera. Ma anche le altre grandi squadre magari. Penso al Milan ad esempio. Sento spesso dire "Il Grande Milan". Poi, vado a leggere e nei confronti di campioni quali Van Basten, Gullit, Baresi, Maldini, Gattuso, Pirlo, Inzaghi (perdonate se dimentico qualcuno), ci sono solamente elogi. Leggo di quanto fosse stato grande il Milan in quegli anni. Dell'immenso rilievo che portavano con sé questi fuoriclasse di livello assoluto. In campo e (credo) anche fuori dal campo. Perché un Campione si definisce tale solo se lo è quando calca il manto verde con gli scarpini e quando va dritto negli spogliatoi a farsi la doccia ripensando alle dinamiche della partita disputata, non portando, però, alcun tipo di rancore.

Ieri, a mio avviso, non abbiamo toccato il fondo. Ma è stato sgominato il primo livello per cercarne un altro e toccare anche questo. Inutile, in Italia siamo dei fenomeni! E dispiace (e tanto!) che lo abbiano fatto dei calciatori con addosso una delle maglie più gloriose non del calcio italiano, ma del calcio europeo. Kessié e Bakayoko, che con orgoglio e sfrontatezza hanno mostrato vantandosene la maglia di Francesco Acerbi ai tifosi, avrebbero dovuto prima fare il gesto più importante che, spesso, noi umani dimentichiamo: pensare. Perché decidere di amalgamare le polemiche sui social verificatesi in settimana con il campo è da esseri, direbbe Pasolini, che comportandosi da stupidi pensano di aver raggiunto il Paradiso e invece sono all'Inferno, ma non se ne accorgono. E questo è esattamente quello che è accaduto nella giornata di ieri. Kessié e Bakayoko che credono di aver fatto una cosa "buona e giusta" si sono ridicolizzati ed umiliati da soli. Perché quando l'arbitro fischia, la partita finisce e le ostilità terminano tutte. Sarebbe stato meglio uscirsene con una battutina (perché il calcio unisce e non divide!) con i due diretti interessati, Acerbi e Bakayoko, con il secondo che poteva tranquillamente andargli a dire: "La prossima volta parla dopo, altrimenti va a finire come oggi... Ahahaha!" Il primo (Acerbi) avrebbe sorriso amaro, ma comunque avrebbe sorriso.

Invece no. In Italia siamo bravissimi a mettere in scena delle "tragicommedie", siamo bravissimi a "smanettare" sui social, siamo bravissimi a deridere l'avversario, siamo bravissimi nell'anti-sportività. In tutto questo, nulla da eccepire. Eppure, lo chiamavamo una volta davvero così: "Grande Milan"...