Io non perdo mai. A volte vinco, a volte imparo”. Nelson Mandela parlava così.
In questa massima esiste una saggezza assolutamente profonda tipica di una vita ricca di esperienze positive e negative. Il concetto che vuole esprimere il sudafricano è certamente comprensibile e palese. Non esiste la sconfitta. Quando un’attività porta un esito non desiderato, allora, è il momento di apprendere qualcosa di nuovo. La delusione è lecita e scontata, ma non vi dovrebbe essere perché, nel preciso istante in cui si vive, la nostra mente si è già attivata. Ha analizzato la situazione e, quando vi si ritroverà, certamente la gestirà in maniera più opportuna.

E’ assolutamente geniale. Questo concetto consente di affrontare alcune circostanze della quotidianità con maggiore coraggio. Non esistono perdenti o vincenti, ma soltanto differenti storie di vita ognuna delle quali ha le proprie difficoltà e soddisfazioni. Lo scorrere del tempo ribalta le situazioni e colui che risulta deluso, avrà successo. Chi pare infallibile, invece, affronterà il suo “periodo di magra”. Questo è il naturale ciclo degli eventi.

Tali concetti sono evidenti anche nel mondo del calcio. Con le assolute e dovute proporzioni, questo sistema è lo specchio della realtà. Sono molte le situazioni di quotidianità che si verificano nell’ambiente del pallone. D’altra parte, l’essenza di tale struttura è l’uomo e vi convoglia al suo interno tutta la propria natura.

Un’altra stagione volge al termine. Anche in questo caso coloro che possono risultare come sconfitti devono apprendere tutti quei concetti che li riporteranno alla ribalta. Per chi ha vinto, invece, è il momento di festeggiare e gioire con la consapevolezza che tale situazione non è assolutamente definitiva. I periodi di difficoltà arriveranno e allora bisognerà evitare di farsi prendere dallo sconforto, vero nemico della mente umana.

L’emblema della situazione descritta è assolutamente il Liverpool. Solo un anno fa, i Reds versavano lacrime amare per la sconfitta di Kiev che portò il Real Madrid sul trono d’Europa. Klopp veniva considerato perdente di lusso in quanto riusciva a mancare il successo nella sua terza finale continentale. Sono trascorsi poco più di 365 giorni, è il mondo pare capovolto. Salah e compagni hanno appreso da quella delusione e, ora, sono i detentori della Champions League. Jurgen, invece, ha finalmente centrato il suo successo internazionale che lo consacra ancor più all’interno del gotha del calcio mondiale.

Questa stagione è stata assolutamente dominata dal pallone inglese. Albione ha regnato sull’Europa rievocando i fasti del passato. In Champions League, hanno trionfato la corsa e la verticalità tipiche del pallone d’Oltremanica. Klopp è un magnifico rappresentante di tale dogma che rappresenta l’antitesi del tiki taka. L'aerobica, la tecnica e il coraggio hanno portato a questo successo. Chi ha visto la finale, non è certo rimasto troppo affascinato. E’ stata una gara lenta e ricca di errori, ma occorre analizzare tutto il percorso. Ciò consente di affermare con serenità che il Liverpool si è assolutamente meritato il trionfo.

Il successo dei Reds segna la fine della citata concezione di gioco che ha visto i suoi albori con il Barca stellare del 2009? Assolutamente no. Si tratta di periodi e situazioni. Come già affermato in parecchie occasioni, la Champions è un torneo particolare. Tutte le kermesse nelle quali si vivono tanti, decisivi scontri diretti si fondano sul dettaglio. La dea bendata gioca un ruolo determinante. Un episodio può variare le sorti di una stagione. Si pensi alla parata di Allison su Milik negli ultimi minuti della gara decisiva per la qualificazione agli ottavi della “Coppa” poi vinta dagli uomini di Klopp. Se il bomber polacco fosse stato un filino più freddo e il portiere brasiliano non risultasse attualmente il migliore del mondo, la massima competizione continentale per club avrebbe sicuramente avuto un altro esito. Questo episodio è la perfetta fotografia della Champions League. Per vincerla occorre essere assolutamente devastanti, ma anche molto fortunati. In quell’occasione, il fato ha voluto che a trionfare fosse tale struttura tattica di calcio. Magari, nella prossima stagione, si celebrerà il grande ritorno del tiki taka oppure si trionferà con “difesa e contropiede”. Non esiste un solo modo di vincere.

Non a caso, in Europa League ha regnato il Chelsea. La guida dei Blues è (o era?) Maurizio Sarri che è molto più vicino al concetto di calcio tipico di Guardiola rispetto a quello mostrato da Klopp. Nella finale di Baku, si è potuta ammirare una trama offensiva di Hazard e compagni che è il manifesto di gioco del mister di Figline Valdarno. E’ il suo bigliettino da visita e se fossi un dirigente della Juventus ne sarei rimasto davvero estasiato. Si tratta di un possesso di palla, partito dalla mediana con ritorno sino a Kepa, che ha visto 11 giocatori toccare il pallone per liberare al tiro proprio il fenomeno belga. E’ l’emblema del tiki taka. E’ l’apoteosi di questa struttura tattica. Risulta difficile, anzi quasi impossibile, che una simile situazione si verifichi in una compagine come il Liverpool attuale. Per caratteristiche intrinseche degli interpreti e concezione di calcio del suo tecnico, regna la verticalità. Con pochi passaggi e in pochi istanti, viene ribaltato il fronte e condotta la sfera verso la porta avversaria. Il possesso palla non è determinante, non è un’arma utilizzata per trionfare inebriando la fase difensiva opposta.

Eppure, nella stessa stagione, hanno vinto entrambe le scuole. Il tanto vituperato “catenaccio”, del quale sovente viene tacciato il calcio nostrano, ha condotto a tanti successi. L’Italia ha conquistato 4 Mondiali al pari della Germania. Davanti a loro, vi è solo il Brasile pentacampione. E’ matematico, i casi sono 2: il citato meccanismo di gioco è soltanto uno dei tanti classici stereotipi del pallone del Belpaese oppure la vittoria non è preclusa a colui che lo pratica. Come sovente accade, la verità non è totalmente bianca o esclusivamente nera. Esistono varie sfumature di grigio e anche in tale situazione, “la realtà è nel mezzo”. Il celebre schema “difesa e contropiede” è un tantino demodé, ma consente anch’esso di centrare successi. L’Inter del triplete è assolutamente l’apoteosi di tale dogma. Si pensi alla doppia sfida di semifinale in Champions con il Barcellona per avere la fotografia perfetta di quella situazione. La nostra nazionale così come le squadre di serie A, però, non hanno solo trionfato utilizzando quel concetto. Basti osservare il Milan di Sacchi.

Non vi è nulla di svilente nel ritenere che il “catenaccio” possa essere tutt’ora un’arma fondamentale per le vittorie. Non concordo con il guro di Fusignano quando afferma che per vincere certe competizioni è assolutamente necessario essere prettamente offensivi. Mi trovo più in linea con il pensiero di Allegri. Il toscano sostiene che ogni realtà ha il suo Dna e che, per trionfare, sia necessario non provare a snaturarla. Con questo non si intende affermare che un tecnico non possa apportare delle migliorie nella compagine che deve guidare. Semplicemente si vuole sostenere che se una squadra ha determinati geni diventa scientificamente impossibile il tentativo di modifica totale del sistema. Così vale anche per gli esseri umani. “Non provare a cambiarmi”. E’ un’espressione tipica delle commedie romantiche. Chiunque abbia guardato questo genere di film, almeno una volta, avrà udito queste 4 parole. Paiono una banalità, invece, non esiste verità più dogmatica. Il carattere di una persona è modificabile, ma solo entro certi limiti. Alcune caratteristiche intrinseche non cambieranno mai. Sono l’essenza di quell’individuo. Il tentativo di aggiornamento è assolutamente una vana perdita di tempo che potrebbe risultare persino operazione pericolosa. Lo stesso vale per il calcio.

Così si torna nuovamente a Maurizio Sarri. Nell’ultima stagione, questo allenatore è cambiato. Pare innegabile. Il tecnico visto a Napoli è diverso da quello osservato a Londra. Proprio per Dna, la città partenopea ha necessità di un tipo di calcio esteticamente esaltante. Vedere gli azzurri guidati dal toscano assomigliava tanto a un’esperienza mistica. Risultato ottenuto: zero titoli. Ai piedi del Vesuvio, però, Sarri è (almeno finché non dovesse legarsi alla Juve) un’autentica istituzione. Viene definito il “Comandante”. E’ una guida e un mentore perché Napoli aveva bisogno delle emozioni fornite dal sarrismo. Si crogiola in tal genere di sensazione. L’uomo è un essere che vive di sentimento. Senza di esso non potrebbe esistere. Le percezioni che garantiva il gioco del toscano nelle passate stagioni erano quelle di cui necessitava il Capoluogo Campano e non vi è nulla di svilente o di esaltante. E’ semplicemente così. Con gli azzurri, Benitez ha raccolto due trofei, ma la città ama Sarri. Il Chelsea, invece, necessita di altro. A Londra, se non conduce all’ottenimento del risultato, il gioco esaltante non è gradito. Così, Maurizio ha dovuto rivedere il suo calcio. Non lo ha snaturato. Semplicemente lo ha adattato a una nuova situazione. Risultato? Terzo posto in Premier e vittoria dell’Europa League. Il massimo a cui si potesse ambire. Una stagione magnifica. Come 2 innamorati, il tecnico e i Blues hanno raggiunto dei compromessi. Non è negativo. Non è da codardi. E’ la vita che obbliga coloro che hanno le capacità per farlo a comprendere reciproci pregi e difetti trovando così un punto di incontro senza volersi trasformare vicendevolmente.

Sono certo che se il toscano dovesse approdare alla Juventus si verificherebbe la medesima situazione. Non sempre, però, i matrimoni funzionano e talvolta i caratteri delle persone sono talmente diversi che il descritto equilibrio risulta impossibile da trovarsi. A quel punto, la separazione è pressoché inevitabile. Così potrebbe accadere pure tra il tecnico di Figline e la Vecchia Signora.

Vorrei, poi, dedicare un pensiero che vuole essere anche un ringraziamento a tutti i media che consentono di vedere, avere notizie e conoscere la Champions. Questo torneo, ormai, è l’essenza del calcio. Coloro che vincono tale competizione entrano nel gotha di tale sport. La “Coppa” è divenuta l’ago della bilancia per essere leggende. Proprio per la grande importanza e il fascino che emana, urge un cambiamento al format di questa competizione che attualmente vede il concreto rischio di perdere squadre ricche di tifosi già all’inizio del torneo. Serve un sistema che si fondi meno sullo scontro diretto e nel quale la fortuna risulti componente di minor valore rispetto all’attualità.