La partecipazione degli azzurri
È stata la seconda edizione, dopo quella del 1930 tenutasi in Uruguay, e fu assegnata al nostro Paese, che vinse la concorrenza della Svezia. La Federazione italiana, organizzata in modo funzionale, aveva coronato il sogno, cullato dal regime fascista già quattro anni prima, di ospitare il mondiale per questioni di prestigio internazionale. Più o meno le stesse motivazioni (inclusa la propaganda) che avrebbero ispirato il partito nazista durante la celebrazione delle Olimpiadi del 1936.
Sotto il profilo logistico, furono otto le città scelte per la disputa delle gare: Genova,Torino, Bologna, Milano, Trieste, Firenze, la capitale Roma (in cui si svolse la finale) e Napoli. Le strutture calcistiche erano inferiori solo a quelle inglesi e gli impianti sportivi erano numerosi e moderni. 
Lo stadio in grado di contenere più persone, intitolato a Benito Mussolini, era quello di Torino, potendo ospitare 55.000 spettatori, quello meno capiente era, invece, lo Stadio Littorio di Trieste con soli 8.000 spettatori.
Particolare curioso, per la prima e unica volta il Paese organizzatore, in questo caso la nostra Nazionale, dovette partecipare alla fase di qualificazione, che si svolse tra l’11.06.33 e il 24.05.34.
I gruppi furono 12, per un totale di 27 squadre effettivamente partecipanti (rispetto alle 32 squadre iscritte) che disputarono almeno un incontro valido per le qualificazioni per contendersi i 16 posti disponibili.

Il secondo Mondiale si svolse interamente con il formato dell'eliminazione diretta: in caso di parità allo scadere dei tempi regolamentari, vi era il ricorso ai supplementari o eventualmente allo spareggio, cioè ad un’altra partita da giocarsi il giorno dopo.
Non esisteva ancora l’uso dei calci di rigore dopo i supplementari.
L’Inghilterra non si recò ai Mondiali del 1934, perpetuando ancora per qualche anno la politica di splendido isolazionismo nel calcio. Chi aveva inventato questo sport e obiettivamente aveva una compagine di alto livello, non sentiva allora il bisogno di confrontarsi con gli altri. E neppure l’Uruguay ci andò, boicottando la competizione per la mancata partecipazione ai Mondiali del 1930 di alcune squadre europee, le quali avevano addotto problemi di trasporto e spese per giustificare la loro mancata presenza. È stato l’unico caso in cui la squadra detentrice (l'Uruguay) non abbia voluto difendere il titolo.
La federazione italiana, invece, non comunicò mai ufficialmente i veri motivi della mancata partecipazione all'edizione del 1930, ma le polemiche sorte all’epoca (sopite con l'Uruguay solo dopo la seconda guerra mondiale) fanno ritenere tuttora che fu a causa dei pessimi rapporti esistenti con la federazione uruguaiana, la quale biasimava duramente la frequenza con cui gli italiani erano soliti convocare in Nazionale giocatori sudamericani – in prevalenza argentini e uruguaiani  – facendo affidamento sulle diffuse origini italiane nella popolazione di entrambi gli Stati.
Il Brasile, sempre per protesta verso le squadre europee assenti quattro anni prima, andò ai Mondiali con una squadra prevalentemente di seconde linee (tranne, per es., un campione come Leonidas) e così fece la nazionale albiceleste, anche per evitare di mettere in mostra i suoi migliori elementi, altrimenti le squadre europee li avrebbero adocchiati ed acquistati impoverendo il livello delle squadre di club argentine, come era avvenuto dopo le Olimpiadi di Amsterdam e il Mondiale a Montevideo.
Insomma, c'erano ripicche tra alcune squadre sudamericane ed europee, ma nulla in confronto alle lacerazioni e alle tensioni di carattere politico che regnavano nel nostro Continente.
L’Europa di allora era in fermento: in Italia il fascismo era al potere da quasi 12 anni in coabitazione con la Monarchia sabauda; in Germania Hitler, che a gennaio aveva firmato il patto di non aggressione con la Polonia, aveva assunto i pieni poteri dopo l’incendio del Reichstag e secondo la dottrina del Lebensraum (lo spazio vitale) nutriva varie mire espansionistiche che in quell’anno convergevano verso l’Anschluss (l’annessione) dell’Austria, cui si opposero sia Mussolini, inviando truppe al Brennero, sia il cancelliere austriaco Dolfuss, poi assassinato dai sicari nazisti. La crisi alla fine si mitigò e Hitler fu costretto dal Duce ad un passo indietro, dichiarando il rammarico per l’attentato.
Faide interne ai nazisti nella “Notte dei lunghi coltelli” determinarono l’uccisione proditoria del capo delle SA Röhm e di alcuni ufficiali di questo reparto paramilitare affiliato al partito nazionalsocialista; la Francia era scossa da una crisi parlamentare, da manifestazioni di piazza, e dal duplice omicidio a Marsiglia del ministro degli esteri Barthou e del re Alessandro di Jugoslavia. 
Eppure, nonostante tutto, ciò non impedì a centinaia di migliaia di spettatori di seguire le partite dei mondiali o di ascoltare dalla EIAR la radiocronaca di Nicolò Carosio. Per altro, la competizione si rivelò per le finanze italiane, a consuntivo, anche un insperato successo.
Gli azzurri furono inseriti nel gruppo 3 insieme alla Grecia. La partita di andata fu disputata a Milano il 25.03.34 e venne vinta dall’Italia 4-0. I marcatori furono Guarisi (40’), Meazza (44’, 71’) e Ferrari (69’). Caso abbastanza singolare, la Grecia si ritirò dopo la partita di andata senza disputare quella di ritorno.  

Quindi l’Italia fu inclusa nelle 16 squadre qualificate alla fase finale. La nostra nazionale era allenata da Vittorio Pozzo, per la prima volta C.T. alle Olimpiadi del 1912, che l’assemblò con due blocchi: quello della Juventus e quello dell’Ambrosiana Inter, ma anche con alcuni giocatori di altre squadre, tra cui Schiavio del Bologna. Nella nazionale, disposta secondo lo schema tattico definito Metodo (per semplificare, un 2-3-2-3), militavano alcuni giocatori oriundi sudamericani, come Orsi, Guaita ed il forte mediano-centrometodista Monti, senza contare Guarisi, oriundo brasiliano, in rosa e sceso in campo contro gli U.S.A., stranieri naturalizzati velocemente per incrementare la competitività della nostra compagine, in linea con la politica del regime.  Con questi innesti, il commissario unico plasmò una squadra dotata di orgoglio e volontà, che riuscì a prevalere su formazioni tecnicamente più forti come l’Austria e la Cecoslovacchia, grandi squadre, così come l’Ungheria, del c.d. calcio danubiano.
Pozzo decise un ritiro prima dei Mondiali all’Alpino, frazione tra Stresa e Gignese e un paio di settimane dopo il gruppo scese a Roveta nei pressi di Firenze, prima dell’esordio che avvenne a Roma il 27.05.1934 contro gli U.S.A, battuti 7-1 nello stadio del P.N.F.:
Reti: Schiavio 18 ', Orsi 20 ', Schiavio 29 ', Donelli  (U.S.A.) 57 ', Ferrari G. 63 ', Schiavio 64 ', Orsi 69 '; Meazza 90 '.
Forse si trattò di poco più di un allenamento, vista la pochezza degli avversari.
L’Italia comunque era nei quarti di finale, dove il 31.05.1934 incontrò a Firenze la Spagna, che aveva sconfitto il Brasile 3-1.
La squadra iberica anche grazie a Zamora, che sventò cinque palle gol dell’Italia, per alcuni il più grande portiere di tutti i tempi, in difesa pareva invalicabile e resse benissimo agli assalti, anche improntati al gioco duro, degli Italiani.
L’incontro terminò 1-1 con gol di Regueiro L. (S) al 31 ' e di Ferrari G. al 45 ', e il risultato rimase invariato anche dopo i tempi supplementari.  In occasione del gol del pareggio italiano, gli spagnoli lamentarono un fallo di Meazza sul loro portiere, mentre gli azzurri protestarono per un fallo da rigore non concesso su Schiavio. Pertanto, le due squadre si incontrarono di nuovo il giorno seguente, per lo spareggio, sempre a Firenze, ma con alcune defezioni dovute al gioco alquanto falloso della partita precedente. L'incontro del 01.06.34 si concluse con la vittoria dell’Italia per 1-0,  ottenuta grazie al gol segnato da Meazza al 12 ',  ma gli iberici sollevarono delle polemiche per una rete che fu loro annullata dall’arbitro svizzero Mercet. Insomma, fu un quarto di finale incandescente e la squadra italiana, dopo il doppio confronto con la Spagna, non so fino a che punto sia riuscita a recuperare le energie per la successiva partita che l’attendeva solo due giorni dopo.
In semifinale il 03.06.1934 incontrammo a Milano nello stadio S. Siro l’Austria, il “Wunderteam”, la squadra considerata a quei tempi la più forte d’Europa insieme all’Inghilterra che, però, come si è detto, non aveva voluto partecipare. L'Austria aveva eliminato l'Ungheria 2-1.
La partita fu molto combattuta e il portiere italiano Gianpiero Combi fu protagonista in vari episodi, mentre gli azzurri si dedicarono con tenacia alla marcatura di Matthias Sindelar, il giocatore austriaco più rappresentativo, che giocava in attacco.
L’Italia prevalse per 1-0, con gol di Enrico Guaita al 19', convalidato tra le molte polemiche degli avversari per l’ostruzione di Meazza ai danni del loro portiere.
In finale per il 1° e 2° posto trovammo la Cecoslovacchia, che aveva eliminato la Germania 3-1.
Il 10.06.1934 a Roma nello stadio del P.N.F., di fronte ad oltre 50.000 spettatori esultanti,  l'Italia batté in rimonta l'ostica squadra cecoslovacca per 2-1, nonostante questa fosse accreditata come favorita dalla stampa internazionale. Tra i giocatori cechi più pericolosi c’era Oldřich Nejedlý, divenuto al termine della manifestazione capocannoniere con 5 reti.
Dopo il vantaggio della squadra avversaria, che aveva segnato con un rasoterra di Antonin Puč al 71', Raimondo Orsi pareggiò con un tiro a volo all’81', mentre Angelo Schiavio, dopo aver segnato nei supplementari al 95 ' il gol della vittoria con un potente diagonale di destro da circa 7-8 metri, svenne per l’emozione o per la stanchezza.
Nella classifica finale dei marcatori di questa competizione troviamo, tra gli italiani, Schiavio con quattro reti, Orsi con tre, Ferrari e Meazza con due, Guaita con una.
Poiché non è la sede, a mio giudizio, per tracciare un identikit di tutti i giocatori che componevano la nazionale italiana, segue un breve profilo almeno di questi cinque calciatori, tra i più in vista.
Angelo Schiavio, nato nel 1905, aveva esordito in nazionale nel 1925 a Padova contro la Jugoslavia, realizzando le due reti della vittoria dell’Italia per 2-1. Nonostante il Commissario tecnico gli preferisse prima Della Valle, poi Libonatti, e in seguito venisse emarginato per l’esplosione di Meazza, fu convocato per le Olimpiadi del 1928 ad Amsterdam, dove disputò, a quanto mi è stato dato di sapere dalle fonti consultate, una partita indimenticabile contro l’Uruguay.
In un video reperibile su Youtube relativo a quella competizione lo si nota in azione al 4° secondo mentre smista un pallone per un compagno - la partita è contro la Spagna -; al 13° secondo mentre ingaggia un duello in velocità con un difensore delle "Furie Rosse"; al 16° secondo mentre conclude a rete; e dal 23° secondo in splendida azione solitaria, con tanto di colpo di tacco smarcante in corsa per Adolfo Baloncieri, nel match contro l'Egitto. Era un centravanti di sfondamento, tenuto conto della sua forza fisica, ma per il suo eclettismo figurava bene anche come ala sinistra. Tra le sue peculiarità c’era lo scatto imperioso, l’ottimo palleggio, un eccellente attitudine al dribbling secco, un tiro potente e, in primo luogo, l’intuito a trovare la giusta posizione e a smarcarsi, anche colpendo palloni che a prima vista sembravano imprendibili.

Raimundo (Raimondo) Orsi, nato nel 1901, di ruolo attaccante, aveva esordito con una doppietta il 6 dicembre 1929 a Milano contro il Portogallo. Era un’ala sinistra molto veloce e, pur fisicamente non dotato, sopperiva a questa relativa gracilità con una tecnica sopraffina e capacità di dribbling preceduti da finte di corpo. Fu tra le prime ali a non limitarsi al cross per il centravanti, ma  accentrandosi  tentava il tiro, specialmente con il sinistro. Spettacolari alcune sue reti effettuate direttamente dal calcio d’angolo.
Giovanni Ferrari, nato nel 1907, fu considerato ai suoi tempi una delle mezzali più complete ed uno dei migliori, se non il migliore giocatore italiano degli ultimi dieci anni. Debuttò con l’Italia nel 1929 all’età di 22 anni contro la Svizzera e nella medesima partita esordì Giuseppe Meazza, i quali andarono a formare una coppia di mezzali definita nel 1938 “il duo più straordinario del mondo” (Carlo F. Chiesa, Il secolo azzurro, Bologna, Minerva, 2010).

Giuseppe Meazza, nato nel 1910, di ruolo centravanti e mezzala, è stato una leggenda del calcio, in nazionale vinse anche i mondiali del 1938.  Avendo giocato soprattutto nell’Ambrosiana Inter, ma qualche anno anche nel Milan, gli è stato intitolato lo stadio di Milano precedentemente dedicato a S. Siro.
Oltre ad esibire grandi doti tecniche, tra cui la rapidità, le qualità acrobatiche, le finte che eludevano spesso la marcatura dei difensori avversari, si dimostrò per un decennio dalla fine degli anni ’20 anche un goleador. Per alcuni addetti ai lavori (il vicepresidente Giuseppe Prisco dell’Inter) fu il giocatore italiano più forte di tutti i tempi.  Fermo restando che ogni epoca ha i suoi campioni, esistono altri calciatori italiani (in verità pochi, a mio giudizio) che possono ambire a questo titolo, per così dire virtuale (nello stesso ruolo, come abbiamo visto con Ferrari, o in altri ruoli) e tra costoro io non dimenticherei Valentino Mazzola, un po' più giovane, morto con i suoi compagni del Grande Torino nella tragedia di Superga.
Enrique (Enrico) Guaita, nato nel 1910, fu un attaccante molto versatile in grado di ricoprire anche il ruolo di centravanti, avendo uno spiccato fiuto del gol ed essendo dotato di opportunismo. Appartiene a lui uno straordinario record, 28 gol in 29 partite, quando fu capocannoniere nel 1934-35, giocando con la Roma, col primato tuttora imbattuto di gol nei campionati a sedici squadre (media: 0,965 a partita!)