Dopo il naufragio della spedizione Azzurra in terra brasiliana, con le conseguenti dimissioni del CT Cesare Prandelli (e di Giancarlo Abete, di cui ora non ci si occuperà) ed il naufragio del suo progetto tecnico, che aveva comunque fruttato la finale nel Campionato Europeo del 2012, l'Italia calcistica si lecca le ferite. E pensa a ripartire. Una ridda di nomi ha cominciato a turbinare intorno alla scomoda panchina della Nazionale, immediatamente dopo la sconfitta contro l'Uruguay che ci ha escluso dal Mondiale. Ridda da cui, alla fine, sono emerse le tre candidature più autorevoli (almeno agli occhi degli addetti ai lavori). Allegri, Mancini, Spalletti. Una filastrocca che si sentirà recitare spesso, nei prossimi mesi, quantomeno fino alla rielezione dei vertici federali. Dei tre nomi già citati, uno dei più suggestivi è sicuramente quello di Luciano Spalletti da Certaldo, il tecnico che ha fatto sognare Udinese e Roma, e che è poi andato a vincere in Russia, alla guida dello Zenit. Ma è proprio a Roma, almeno a detta dei romanisti, che l'allenatore toscano ha toccato l'apice. Dal 2005 al 2009, infatti, la Roma di Spalletti è stata una delle formazioni più spettacolari e divertenti d'Italia. L'impianto di gioco su cui era stata costruita, quel 4-2-31 che i tifosi giallorossi hanno imparato ad amare, ha permesso alla squadra capitolina di togliersi più di qualche soddisfazione, tanto in Italia quanto in Europa. La spiccata propensione offensiva del modulo escogitato dal toscano, frutto di trame di gioco avvolgenti e precise, che sfociavano in improvvise accelerazioni nelle zone nevralgiche del campo, era il marchio di fabbrica di quella Roma e del suo tecnico. Ma tornando all'attualità ed immaginando che sia proprio il tecnico di Certaldo ad accomodarsi sulla panchina Azzurra, la domanda sorge spontanea: sarebbe possibile trapiantare il cuore della concezione tecnico-tattica di Spalletti nel corpo martoriato dell'Italia post-delusione Mondiale? Chi, dei reduci del Brasile, potrebbe meglio adattarsi al 4-2-3-1? Vediamo. Partiamo, ovviamente, dalla difesa. Tra i pali, scontata la presenza di Gigi Buffon. La coppia di centrali resta quella del blocco-Juve, che piaccia o no. Barzagli-Chiellini, con Bonucci pronto ad assortirsi, garantiscono ancora l'affidabilità che manca a quelli che saranno i loro sostituti (Ranocchia in primis). Sulle fasce, De Sciglio e Darmian rappresentano sicuramente il futuro. Con un po' di esperienza in più, magari. Ma i ragazzi si faranno. Se per la difesa non ci sono stati particolari problemi, per mancanza di alternative reali ai titolari suddetti, anche; ancora meno grattacapi dovrebbe riservare la cerniera di centrocampo. Dopo il ritiro di Andrea Pirlo, Marco Verratti è in rampa di lancio. Con l'abbruzzese a "fare il Pizarro" e De Rossi nel suo consueto ruolo di frangiflutti, la linea mediana assicura esperienza, gioventù, fisico e fantasia ben assortiti. La questione più spinosa, arriva proprio in fondo: trequarti e attacco, infatti, sono la chiave di volta del sistema di gioco del tecnico toscano. Devono essere due reparti in uno, un blocco che si muove insieme, gioca di squadra e per il resto della squadra, si sacrifica in copertura per poi riproporsi immediatamente in attacco, diventando letale negli ultimi venti-trenta metri. Se sulle fasce c'è abbondanza di scelta e varietà, la stessa cosa non si può dire per quanto riguarda il trequartista centrale, l'incursore e il vero perno del reparto. Cerci-Insigne-Candreva-Florenzi (escluso dalla lista dei 23 partiti per il Brasile), sono gli esterni che più fanno al caso del modulo. Che si voglia puntare sulla velocità, sull'uno contro uno puro, oppure sull'equilibrio e la copertura, questi calciatori garantiscono il meglio, almeno ad oggi. Anche loro, con un briciolo di esperienza internazionale accumulata, al pari dei terzini, potrebbero avere prospettive di rendimento più che rosee. Per il ruolo di trequartista centrale, invece, un'ottima candidatura è quella di Claudio Marchisio, le cui qualità di interdizione e capacità di inserimento con i tempi giusti, ne fanno un buon clone (anche dai piedi buoni, e non ce ne voglia il più avanti chiamato in causa) di quel Perrotta che alla Roma ha vissuto i suoi anni migliori, quelli che l'hanno portato a diventare titolare della Nazionale Campione del Mondo nel 2006. Per il ruolo di punta centrale, infine, non si può che parlare di Giuseppe Rossi. Piccolo ed agile, in grado tanto di andare a bersaglio in modo più che efficace, quanto di servire i propri compagni di reparto per mandarli in porta, è sicuramente il calciatore più adatto a vestire la maglia del terminale offensivo di questa Nazionale. Più di Balotelli, le cui importanti doti fisiche ne fanno un centravanti più classico, profilo di cui Luciano Spalletti ha dimostrato, nel corso degli anni, di poter fare a meno. Potrebbe essere un ottimo rincalzo nel momento in cui si debba sgonfiare la palla, o cercare di recuperare un risultato negativo. Così come potrebbero essere adatti allo scopo anche Immobile e Destro (anche quest'ultimo, come il suo collega in giallorosso Florenzi, lasciato a guardarsi la Coppa del Mondo in TV), profili altrettanto diversi tra di loro, nonchè rispetto ai primi due nomi. Come sarà facile intuire, questa non vuole essere un'analisi approfondita. Questa, semplicemente, potrebbe essere l'Italia di Luciano Spalletti. Un'idea e niente più, uno spunto di riflessione che si aggiunge ai molteplici già portati all'attenzione dell'Italia che discute, e discuterà ancora, delle macerie che sono oggi le certezze con cui si era partiti per andare a giocarsi le proprie chance in terra carioca. Se non si realizzerà, poco male. Intanto, aspettiamo. E speriamo bene.