Quarant'anni fa due grandi nazioni, l'Argentina e la Gran Bretagna, "vennero alle mani" per il possesso di alcuni scogli in capo al mondo, nell'Oceano Atlantico, abitati da una manciata di persone. Non lo fecero per le enormi ricchezze inesistenti (c'è il petrolio, ma allora non si sapeva), ma per principio. Le Isole Falkland appartengono alla Corona britannica dal 1833 e sono abitate da sudditi di Her Majesty, ma quelle stesse isole, col nome di Malvinas, furono rivendicate dagli argentini che in quella data le persero. Dagli anni Sessanta si protraevano i colloqui bilaterali alla ricerca di accordi ma, come si direbbe a casa mia, "a bocca chiusa non c'entra l'acqua...".

Il vizio di fondo era sulla questione della sovranità: gli argentini non demordevano; i britannici non ne volevano sapere. La grana scoppiò tra la fine del 1981 e la primavera dell'82. In Argentina il generale Galtieri (almeno la metà degli abitanti, tuttora, è di origine italiana), allora presidente, convocò Videla (a capo dell'esercito), Massera (a capo della Marina) e il ferocissimo Astiz, giustiziere di oppositori e giornalisti, reduce dall'uccisione di due suore francesi e di una cittadina svedese, dichiarando guerra agli inglesi; aveva bisogno di far dimenticare alla popolazione i soprusi e la drammatica situazione economica.

I desaparecidos erano persone sequestrate e detenute dalla forza di repressione sulla cui sorte le autorità si rifiutarono di fornire informazioni. Lo stato di detenzione clandestina permetteva, infatti, il più largo impiego di brutali, e in genere mortali, torture sui sequestrati, e assai spesso anche la loro eliminazione fisica senza formale condanna e senza pubblicità alcuna; al tempo stesso ingenerava un clima di diffuso terrore nella popolazione, volto a scoraggiare ogni possibile attività di resistenza.
Come nel "conto della serva" - pensarono, due più due quattro: invadiamo le Malvinas, la popolazione si gasa (c'era un altro mondiale alle porte, dopo la vittoria del 1978, e un certo Pibe de Oro...), gli Usa, potentissimo alleato, ci coprono, il mondo, Gran Bretagna compresa, "l'abbozza". 
Non faceva una grinza anche perché il Presidente Usa Ronald Reagan appoggiava Galtieri, i britannici erano a più di dodicimila chilometri di distanza e, "agli altri", come sovente accade, quella contesa non sarebbe certamente interessata.
"Non si fanno i conti senza l'oste", difatti i calcoli furono drammaticamente sbagliati. Il popolo, ingannato dai cinici generali, si riversò di nuovo in strada, questa volta non per festeggiare la conquista del mondiale, ma per brindare anticipatamente alla riconquista delle Malvinas, isole che, vale la pena sottolinearlo, valevano appena più di nulla. Una guerra che poteva nascere soltanto dalla follia di militari senza scrupoli e senza raziocinio. Una follia che li aveva indotti a pensare di poter vincere con facilità. Gli Stati Uniti cercarono di fare da intermediari, non potendo chiaramente avallare la violenza. Dettero per scontato che il governo di Margareth Thatcher (aveva anche lei grossi problemi interni, ma era, come fu soprannominata, "di ferro" e aveva dalla sua l'opinione pubblica del paese, anche questa elettrizzata dai rinnovati bagliori del tramontato retaggio imperiale), in quel momento impegnato contro un lungo sciopero dei minatori, non sarebbe sceso in campo per difendere 1.500 kelpers, la comunità di origine inglese e gallese che abitava le Falklands, rimasta fedele alle proprie tradizioni. 

Il 2 aprile 1982 le truppe argentine decisero di invadere; verso la fine del mese arrivò anche la flotta britannica, con una poderosa forza da sbarco. A poche centinaia di chilometri dall'Antartide, gli inglesi infersero al nemico una dura lezione.
L'epilogo avvenne il 14 giugno, quando diecimila argentini si arresero contando 649 morti e 1.000 feriti contro i 255 morti e 800 feriti tra gli inglesi. Il 20 giugno era già tutto finito e la Union Jack, la bandiera del Regno Unito, riprese a sventolare nella capitale, a Port Stanley. La Thatcher, riconfermata Primo Ministro sino al 1990, attuò una serie di innovazioni che influirono non poco sulla storia politica ed economica mondiale.
Il sanguinario regime, nato con un golpe militare il 24 marzo del 1976, cadde definitivamente nell'ottobre del 1983, quando le prime elezioni libere portarono alla presidenza della Repubblica il radicale Raul Alfonsin.

Bisogna necessariamente ricordare che l'impulso della "junta militar", conquistato il potere, fu quello di prendersi in carico l'impresa, per rinforzare la popolarità, di organizzare, anche grazie alla Fifa, il Mundial del 1978 che, volente o nolente, sarà ricordato come il "Mundial di Videla" e non di tutto un popolo che volle dare al mondo la migliore immagine di sé.
Al di là del fatto meramente sportivo, non possiamo non sottolineare i due fatti che sono rimasti impressi, non sono negli annali di qualsiasi almanacco storico, ma soprattutto nella mente di coloro che hanno vissuto quei tragici anni di dominio militare.

La "Marmelada Peruana" fu la vittoria per 6-0 sul Perù che consentì agli uomini di Cesar Menotti ("Non vinciamo per quei figli di puttana, vinciamo per alleviare il dolore del popolo") di accedere alla finale (serviva infatti una vittoria con molti gol di scarto per superare il Brasile nella differenza reti). Il Perù schierò in porta Ramon Quiroga, "el loco", argentino appena naturalizzato peruviano, che incassò sei gol da comiche e anni dopo ammetterà la combine. Prima di quella partita lo spogliatoio peruviano ricevette una visita di Videla con il Segretario di Stato americano Henry Kissinger. Il governo argentino aveva appena regalato un milione di tonnellate di grano al Perù aprendo, inoltre, una linea di credito di cinquanta milioni di dollari. Sulla corruzione della squadra peruviana ci fu anche un coinvolgimento, mai chiarito, del narcotraffico colombiano. Era il mio primo mondiale da spettatore e ricordo nitidamente che vedendo la partita mio padre esclamò: "ci vorrà il pallottoliere...".

Nella finale contro l'Olanda, dove anche il fato giocò la sua parte (il forte attaccante Rensenbrinck, già autore di 5 gol nella manifestazione tra cui il numero mille della storia, ricevette una palla da Krol, si coordinò e da posizione defilata lasciò partire un tiro sul quale il portiere Fillol apparve immediatamente fuori causa. Dopo un attimo di sospensione universale, la palla si stampò sul palo...), si venne a sapere che accanto allo stadio Monumental di Buenos Aires, dove si stava disputando la gara del secolo, c'era la "Escuela de Mecanica de la Armada", uno dei luoghi di detenzione più sanguinari, e in quei 120 minuti si fermarono anche le torture. Lì, come nel Garage Olimpo. All'interno, in mezzo a un paese in delirio, c'erano migliaia di prigionieri che si stavano facendo lentamente ammazzare. Avrebbero voluto essere là fuori, a ubriacarsi e far festa con gli amici per il primo titolo mondiale. Ma non avevano vinto loro, avevano vinto quelli che li stavano ammazzando...
L'Argentina, dopo un mondiale spagnolo totalmente negativo, tornò a gioire nel 1986, quando un maestoso Maradona portò il suo popolo sul gradino più alto. Una gioia che non fece dimenticare i migliaia di morti che l'Argentina si porterà sulle proprie spalle, come un fardello, in eterno.

Che fortuna hanno i dittatori: metà della gente non pensa e l'altra metà non sente; in fondo il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista o il comunista convinto, ma colui per il quale la distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso non esiste più.
Ieri come oggi.