Come hanno ampiamente spiegato Osvaldo Soriano, Eduardo Galeano e Nick Hornby, il calcio è una filosofia e come tale va trattato. Se il calcio è filosofia, inoltre, il derby ne rappresenta la quintessenza, come scontro fra squadre della stessa città o area geografica.

Ci sono derby in tutto il mondo e quello c.d. della Madonnina, non è poi il più sentito. A Roma e a Genova, tanto per fare esempi, lo so vive in maniera decisamente più viscerale, se non violenta. Nesta e Totti, per riferirci al derby capitolino, erano amici, ma non si sono mai potuti frequentare nella loro carriera, per non destare le ire dei rispettivi tifosi, mentre le amicizie fra i giocatori delle squadre milanesi non hanno mai scandalizzato nessuno. E per parlare di un derby regionale, arrivando in treno da Bari a Lecce, una volta ci si ritrovava davanti una scritta: "Dio stramaledica i Baresi".

In alcune città, una delle squadre rivali veste colori caldi, comunque più vivaci, che colpiscono maggiormente lo sguardo e l'immaginazione. Oltre ai Rossoneri di Milano, ci sono i Reds di Liverpool, i Red Devils di Manchester, i giallorossi della Roma e lo stesso Celtic di Glasgow, con le strisce verdi orizzontali che rimandano ai prati della verde Irlanda. A Milano l'Inter è di un azzurro gelido che ricorda gli inverni brumosi della Lombardia, così come i Toffees dell'Everton sono blu, il Manchester City e la Lazio sono azzurri, mentre anche i Rangers si danno un tono da austeri calvinisti indossando a loro volta il blu. E' come se in queste città, alla gioia di vivere nel rigoglio della tarda primavera o nello splendore dell'estate all'aperto, si voglia contrapporre una contro-anima della città trincerata nella tristezza e nel rigore delle lunghe notti di inverno. Sì, il calcio è filosofia neanche tanto spicciola, ma scava nell'anima profonda delle comunità e nelle sue contraddizioni. A Genova prevale il blu, perché entrambe le squadre, Doria e Genoa, guardano al mare su cui si affaccia la Superba.

Domani a Milano si affronteranno due delle anime cittadine: quella allegra, popolare, rappresentata dal Milan, con la sua storia fatta di alti e bassi, e quella più sussiegosa e aristocratica del biscione, che fa finta di snobbare i concittadini belli e solari del Milan, per ostentare un odio più acceso con la terza anima di Milano, quella dei meteci juventini. Ricordiamo, infatti, che nell'antica Atene i meteci erano gli stranieri residenti, ormai ateniesi a tutti gli effetti, tranne che nella cittadinanza. La comunità juventina di Milano è stata alimentata nel tempo da tutti coloro che venivano da fuori e nascondevano il senso di inferiorità verso i milanesi veri, ostentando il tifo per la Juventus. Quella verso la Juventus, però, è una rivalità solo ostentata dai nerazzurri, perché anche i torinesi sono una squadra grigia, triste, senza slanci come il bianco che impera sulle loro magliette. I rivali veri sono i milanisti, con le tinte solari delle loro casacche e delle loro bandiere.

Calcisticamente, Milano nasce milanista, per opera di un tecnico tessile stabilitosi a Milano, Herbert Kilpin, primo capitano e anima dei rossoneri. Dopo pochi anni, però, alcuni soci tristanzuoli decisero che la società era troppo allegra per il loro umore funereo e fondarono una società chiamata Internazionale, termine che già denota uno snobismo di fondo, un atteggiarsi a gente di mondo. E' in quel momento che questi poveri depressi, intristiti dai colori della loro stessa maglia, hanno iniziato la rincorsa per dimostrare che "Milàn l'è una gran Inter". E poiché la lingua batte dove il dente duole, si comprende come questi signori, non cattivi in fondo, ma decisamente spocchiosi, abbiano un complesso di inferiorità grande come una casa verso i casciavìt, poveri, ma belli del Milan.

Le statistiche, peraltro, dicono che l'Inter ha vinto più derby e che vince in campionato da quattro partite essendo comunque imbattuta da otto. Il Milan, tuttavia, ha un'assoluta prevalenza in 5 derby fra Champions League e Supercoppa Italiana e ha vinto l'ultimo incontro in Coppa Italia, con un gol nei supplementari di Cutrone. Non so se questo abbia un significato. Forse vuol dire che, quando il gioco si fa duro i duri, cominciano a giocare (riprendendo Bluto Blutarski, interpretato da John Belushi, in Animal House). Magari non vuol dire niente, perché la stessa supremazia dell'Inter in campionato è di poche vittorie su più di 200 incontri.

In termini puramente razionali, il derby è una partita che vale quanto le altre, nel senso che assegna 3 punti, a meno che non sia in palio una coppa o il passaggio di un turno. In termini emotivi, questa gara vale molto di più, anche se a Milano non si attende la sua disputa come l'evento epocale della stagione, vedi derby capitolino. Il derby di domani, in realtà, ha una peculiarità che non capita di frequente. Innanzitutto, come fatto notare da tutti gli esperti, il Milan è la squadra meno forte, alla luce di quanto accaduto nelle ultime stagioni e della campagna acquisti rossonera, interessante, ma molto orientata ai giovani. L'Inter, aggiungo, ha un allenatore pluridecorato, mentre Pioli, non ha alcuna medaglia appuntata sul petto e questo potrebbe pesare dal punto di vista psicologico. La peculiarità di cui parlavo è che la squadra meno forte è in testa alla classifica e nelle ultime 6 partite ha vinto 5 incontri, ne ha pareggiato uno (Rio Ave), facendo centro in tutti gli obiettivi e inanellando quattro clean-sheet. Ciò, comunque, caricherà ancora di più i nerazzurri, la squadra, più forte, che vorranno dimostrare la superiorità sugli usurpatori.

Le persone allegre e solari tiferanno Milan, ma non avranno molte chance di gioire, perché gli esperti, quelli che ne capiscono, hanno già spiegato che il Milan è meno forte e ha sbagliato campagna acquisti. E se lo dicono loro, potete crederci. La scelta della foto non è casuale. Si tratta del gol in cui il rossonero Hateley anticipò di netto il campione del mondo Fulvio Collovati, cresciuto e affermatosi nel Milan, prima di passare all'Inter. Milano è il Milan, questa è la verità che nessun interista potrà mai cancellare, anche affannandosi una vita intera.