E' troppo facile, e troppo spesso succede (con leggerezza), eleggere un maestro nel calcio in modo affrettato.
La parola “Maestro” dovrebbe indurre a riflessione, quindi capire quanto valida è la sapienza di chi dovrà ricevere questo titolo onorifico meritando una siffatta riconoscenza.

Lo scibile umano è immenso e in continua evoluzione, ma maestri non si nasce, lo si diventa!

Non più tardi di un paio di mesi or sono, a Marco Giampaolo, è stato affibbiato il simbolico titolo di “Maestro”, quasi una laurea ad honorem donata a un lavoratore onesto quanto modesto nel suo lavoro, il quale dopo aver allenato diverse squadre di calcio di indiscussa modestia, finora non ha mai vinto nulla! Arrivato al Milan nel mese di Luglio di quest'anno, Giampaolo è stato accolto dalla moltitudine del popolo rossonero come il “guru” necessario e indispensabile per far risorgere dalle ceneri un Milan arso dalle fiamme dei bagordi di mercato nella stagione precedente. Rossoneri capaci di peggiorare una situazione che era parsa compromessa già da prima, iniziando quel rovinoso declino a partire dall'ultimo quinquennio berlusconiano.

Pertanto il Milan reduce dai sontuosi successi era piombato nel caos più indescrivibile e imprevedibile. Un Milan che, di quel diavolo simboleggiato sempre nel passato, oggi ha ben poco da spartire con esso e ancora meno con quello di mefistofelica memoria in cui quell'essere dannato, promettendo ai viventi gloria e potere, chiede in cambio di impossessarsi della loro anima per tutta l'eternità.

Ma al Milan, ora, per tornare agli antichi fasti basterebbe davvero un “Maestro”, qualora di maestri ce ne fossero ancora disponibili, in modo da poter iniziare un nuovo ciclo di storia, un nuovo percorso di gloria. Un “Maestro” vero, sagace, sapiente e sicuro di trasmettere in toto la sua dottrina e Giampaolo, bontà sua, non è in grado di offrire tutto questo, quindi non può meritare il titolo di “Maestro”, semplicemente perché non lo è. “Maestri”, per esempio, lo sono tutti coloro i quali sono tali o lo sono stati in passato, ovvero Ancelotti, Capello, Sacchi, Liedholm, Rocco e Viani. “Maestri” capaci di dare ai rossoneri un gioco e delle caratteristiche particolari, magari anche inventando spesso un nuovo modo di giocare.

Ricordiamo le caratteristiche tecniche e umane di tutti loro partendo secondo un ordine cronologico:

- Gipo Viani, tecnico dalle grandi risorse dopo vari pellegrinaggi in squadre minori, giunse al Milan alla corte del presidente Rizzoli, il quale riconoscendo le sue doti non comuni, gli affidò la squadra nell'anno 1956 e Gipo Viani conquistò subito lo scudetto. Nell'anno successivo Viani sfiorò il grande colpo disputando la Coppa dei Campioni e affrontando in finale la fortissima squadra spagnola del Real Madrid, la squadra leggendaria, vittoriosa di ben 5 competizioni e tutte consecutivamente. Il Milan fu schierato da Viani con l'intento di strappare il titolo ai madrileni, sfiorando l'impresa e perdendo solo ai supplementari per 3 – 2, ma subendo discutibili decisioni arbitrali che si ripercossero negativamente nei confronti del Milan. Infatti i rossoneri seppero tenere testa eroicamente con grande onore allo strapotere tecnico e politico... del Real Madrid che dominò incontrastato in tutti i campi di gioco nel mondo.

Viani, convinto assertore del “catenaccio” all'italiana, una volta diventato Direttore sportivo della squadra meneghina, volle a tutti i costi il tecnico triestino Nereo Rocco, allora reduce da un ottimo campionato a Padova per affidargli la conduzione tecnica della squadra. Nella carriera di Direttore tecnico, Gipo Viani si tolse tante grosse soddisfazioni, tra le quali quella di portare al Milan il non ancora diciassettenne Gianni Rivera imponendolo all'allenatore Rocco. Il tecnico triestino fu inizialmente poco propenso a lanciare nella squadra titolare il giovane calciatore prelevato dall'Alessandria, ma poi si lasciò convincere riconoscendo al DS il grande intuito di talent-scout.
Un grande Maestro e un grande manager, eccelso intenditore di calcio dal carattere forte e deciso, che seppe lanciare successivamente come allenatore anche lo svedese Liedholm. La sua prematura scomparsa a 59 anni, per infarto, lasciò un gran vuoto in tutto il mondo del calcio.


- Nereo Rocco, lo ricordiamo tutti come l'inventore del “catenaccio” nel calcio italiano.
La sua tattica consisteva nel creare l'uomo in più nella difesa della propria squadra ponendolo dietro l'ultima linea dello schieramento. In altri termini, quell'ultimo uomo davanti al portiere fu chiamato “libero” ed ebbe tanta credibilità e rinomanza tanto da creare la scuola difensivistica italiana, fondata sulla teoria del “non prendere goal” e ancora oggi ritenuta una teoria valida dai convinti assertori del difensivismo, sia pure nell'ambito delle trasformazioni evolutive che hanno contraddistinto le tattiche moderne del calcio internazionale.

Nereo Rocco formatosi alla guida di squadre italiane tradizionalmente forti come lo erano Triestina e Padova, giunse a Milanello alla corte rossonera portando con sé un valido giocatore difensivo ovvero Cesare Maldini, autentico libero di gran classe in quel tempo che poi, sarebbe diventato il suo migliore allievo tra gli allenatori dell'epoca calcistica successiva.

Rocco giunse al Milan voluto fortemente da Gipo Viani e si mise subito all'opera conquistando lo scudetto nel 1961/62. Ma il capolavoro di tattica lo compì l'anno successivo conquistando a maggio del 1963 la Coppa dei Campioni nel mitico stadio di Wembley, battendo i campioni in carica del Benfica e portando in Italia la prima delle sue due coppe dalle grandi orecchie. La prerogativa essenziale di Rocco fu quella di saper trasmettere la carica necessaria negli spogliatoi infondendo ai giocatori il giusto“animus pugnandi” che poi essi trasferirono in campo lottando su tutti i palloni senza alcun timore nei confronti di qualunque avversario.

Un grande Maestro, sicuramente il più grande di tutti, l'unico ad essere ancora oggi presente a Milanello per mezzo di una statua situata al centro del vialetto che porta al campo centrale, situata in bella mostra a imperitura memoria per i posteri, i quali potranno e dovranno ricordare il più grande allenatore, tuttora detentore del singolare record di un tecnico per il numero delle presenze nella panchina di una squadra di calcio italiana.

 

- Nils Liedholm, grande estimatore di calcio e grande uomo dallo stile dotato di garbo e signorilità, tanto da essere soprannominato “barone”, si contraddistinse per la sua eccelsa vocazione di allenare i rossoneri, ottenendo la conquista dello scudetto nel 1979, che valse la conquista della stella. Per l'occasione si avvalse dell'apporto di Gianni Rivera, l'indiscusso grande giocatore, giunto ormai a fine carriera coronata dal pallone d'oro conquistato nel 1969.

Liedholm fu uno dei primi ad applicare il calcio a zona nel nostro campionato, tanto da essere osteggiato all'inizio dalla gran parte dei convinti sostenitori del gioco all'italiana, contrari alla larga marcatura degli attaccanti da parte dei difensori. Poi dando spettacolo e conquistando lo scudetto con la Roma, riuscì a convincere anche i più recalcitranti oppositori di questa tecnica di gioco, tra i quali uno dei suoi più grandi estimatori, il compianto Gianni Brera.

A Liedholm si deve la scoperta di due grandi calciatori: Carlo Ancelotti e Bruno Conti che lo svedese seppe valorizzare lanciandoli nella squadra giallorossa della Roma in età giovanile.

Un grande Maestro che ha amato e fatto amare da tutti il suo lavoro, per mezzo del suo carisma e della grande calma, una virtù che ha saputo sempre trasmettere ai suoi giocatori.

 

- Arrigo Sacchi quando arrivò al Milan, scelto personalmente dal neo presidente Berlusconi, fu prelevato dal Parma, squadra che aveva dato spettacolo nel campionato di serie B, approdando con successo ed entusiasmo alla serie A.
Considerato da parecchi come l'allenatore moderno, capace di interpretare al meglio la dottrina del calcio olandese, Sacchi coadiuvato dal preparatore atletico Pincolini, creò “l'invincibile armata” rossonera che vinse tutto ciò che c'era da vincere. Sacchi applicò le teorie del suo calcio estrinsecandolo nel dispendioso modulo del 4-4-2 che fece epoca tra la fine degli anni 80 e l'inizio degli anni 90 nel nostro campionato italiano.

Il suo calcio fece scalpore poichè rivoluzionò la mentalità di tutto il calcio italiano, abituato ai difensivismi del “meglio non prenderle” e palesando il grave ritardo di adeguamento tecnico-tattico di tutto il calcio nostrano. Sacchi pretese allenamenti pesanti ma che permisero ai giocatori rossoneri di dominare atleticamente e tecnicamente in tutti i palcoscenici europei e mondiali, suscitando stupore in ogni gara disputata. Bisogna anche ammettere che l'alchimia di tutto il complesso fu favorita dalla presenza dei grandi campioni presenti allora tra i titolari come pure tra le riserve in panchina, giocatori che Sacchi ebbe la fortuna di saper ben guidare al successo.

Un grande Maestro, per il quale il lavoro in campo non prescisse dalla tecnica di gioco e la cui esigenza interpretativa del collettivo trovò la giusta dimensione nel suo modo di giocare.

 

- Fabio Capello rilevò il Milan di Sacchi composto da grandi campioni, per dare un maggiore assetto all'aspetto difensivo. Capello, optando per un gioco più compassato e meno spettacolare, ma nel contempo assai efficace, badò sempre a dare una compattezza ben organizzata al reparto della difesa, avvalendosi di quel grande giocatore che era Marcel Desailly intuendo le doti tecniche particolari e le caratteristiche di gioco del francese. Il transalpino era capace di interrompere con puntuale continuità le trame offensive avversarie, appoggiando la manovra costruttiva del gioco che, in origine, partiva sempre dalla linea più arretrata dello schieramento per proseguire poi nel contesto del centrocampo, la cui manovra finale si completava con l'inventiva dei rifinitori dalla grande levatura tecnica messi a disposizione del tecnico friulano. La sua metodologia trovò il successo successivamente anche nella Roma del presidente Sensi, avvalendosi di Emerson, un giocatore brasiliano impiegato nello stesso ruolo che fu del francese Desailly con le identiche dinamiche. Una metodologia infallibile che poi applicò con lo stesso Emerson anche alla Juventus.

Un grande Maestro per il quale l'organizzazione in campo si manifestò sempre come un concetto essenziale, da seguire con attenzione per tutta la durata di ogni gara.

 

- Carlo Ancelotti ad esempio, con il suo particolare modo di manovrare il gioco, inventò il ruolo di Pirlo schierandolo davanti alla difesa, determinando le fortune del Milan prima e della Juventus dopo. Grande fautore del gioco Sacchiano, quindi del calcio totale e a zona, Ancelotti ha saputo sempre adattarsi alle novità tecniche che il progresso ha imposto, sfruttando le affinità innovative del calcio moderno. Così, estimatore del modulo classico del 4-4-2, il Carletto nazionale è poi approdato al modulo più completo e più offensivo, quello del 4-2-3-1 non disdegnando ad adattarsi, a seconda l'esigenza dei casi diversi, al più funzionale 4-3-3 in cui sincronismo e intelligenza tattica sono le prerogative indispensabili per ben interpretare questa variante di schema. Ad Ancelotti poi, bisogna riconoscere l'acume tattico delle giuste sostituzioni in corso partita, determinando spesso la svolta decisiva per destinare l'incontro sui binari della vittoria finale.

Un grande Maestro per il quale l'esperienza e la strategia di gioco ne fanno oggi, tra gli artefici più adatti per “leggere” una gara con grande acume e rilevanza tecnico-tattica.

 

E' doveroso aggiungere un commento personale riguardo le sensazioni sentimentali che scaturivano nel mio animo e pure, penso, in quello degli appassionati di calcio quando, ammirando le esibizioni del mio Milan, mi sono sempre immerso anima e corpo nello svolgimento della partita, sapendo che la strategia di gioco applicata da ognuno di questi Maestri avrebbe fatto breccia nel mio cuore. Ebbene ciò provocava in me la stessa emozione provocata dall'aumento delle palpitazioni del cuore in attesa dell'appuntamento con una ragazza, oppure l'emozione del primo bacio dato a una ragazza che da giovinetto contribuiva a farmi sentire ancora più bello il cinguettio di un pettirosso, oppure il profumo di un fiore e la gioia di amare. Tutte queste sono state le sensazioni che mi hanno provocato i grandi ”Maestri” del calcio. Tutto questo invece non l'ho mai provato assistendo alle partite del Milan attuale.

Quindi, fino a quando Giampaolo non provocherà in me, sia pure una piccola parte di queste emozioni, per favore Vi prego, non chiamatelo “Maestro”.

Non sarebbe opportuno e nemmeno giusto!

 

Il censore