L’incubo: abolito il calcio in Italia!

Provate ad immaginare se da domani l’Italia si svegliasse e apprendesse che lo sport del calcio in Italia è stato abolito per decretazione d’urgenza del Governo.

Le motivazioni del provvedimento, disposto dal Governo su proposta di una Commissione di Saggi all’uopo designata, sarebbero le seguenti: “Tenuto conto che - non solo sul terreno di gioco, ma in ogni ambito della vita quotidiana - lo sport del calcio (I) è fenomeno di istanze divisive tra la popolazione; (II) fomenta odio razziale; (III) determina, stante le interminabili discussioni a commento degli eventi, un decremento del PIL in misura significativa, soprattutto nella giornata di lunedì; (IV) è profondamente diseducativo nei confronti della popolazione giovanile, in quanto la stessa cresce e matura con un senso di appartenenza ad una squadra, che resterà immutato per tutta la vita, omettendo così di impegnarsi con lo stesso zelo ad altre attività di grande impatto sociale, come la politica; si decreta, con effetto immediato:

(I) l’abolizione dello sport del calcio su tutto il territorio nazionale;
(II) l’assegnazione dell’ultimo titolo di Campione d’Italia 2019/2020 all’Internazionale F.C., essendo l’unica società, che ha fondato il proprio credo sui valori morali e la lealtà sportiva e non avendo la stessa problemi a fregiarsi di titoli non vinti sul campo”.


Già soffriamo, durante la pausa estiva o anche solo in occasione delle partite della Nazionale, della mancanza del campionato, figuriamoci cosa significherebbe una cosa del genere. Panico totale!

Ma al di là dei paradossi, volevo condividere con tutti gli amanti del calcio, che cosa in realtà significhi la passione per questo sport, che è veramente qualcosa di straordinario e di magico, descrivendo alcune di quelle caratteristiche, che lo rendono speciale.

È vero, noi tutti cresciamo con un senso di appartenenza ad una squadra di calcio, che resterà immutato per tutta la nostra esistenza.
A differenza di altri ambiti della vita sociale (ad es.: sono pronto a scommettere che nessuno sia rimasto fedele alle proprie scelte politiche. Anche perché sarebbe stato impossibile!), restiamo comunque vicini alla nostra squadra sempre, soprattutto nelle sconfitte e nei momenti bui e, anche se le delusioni possono essere cocenti, non abbiamo mai smesso e non smetteremo mai di sostenere i nostri colori.
Le nostre scelte di tifo non nascono solo da fattori “ereditari” (sebbene alcuni padri avvolgano già i neonati con completini riportanti il logo della squadra), in quanto ci sono numerose famiglie in cui convivono sentimenti di tifo contrapposti, talvolta imbarazzanti (es.: juventini e interisti…).
Ad un certo punto della nostra infanzia, veniamo attratti da una compagine e ciò può avvenire per i motivi più svariati (perché vince sempre e ci fa sentire forti, ma anche perché perde spesso e ci fa tenerezza; perché ha una casacca che ci colpisce; perché il mio compagno di banco a scuola fa il tifo per quella stessa squadra; per aver sentito le gesta che in passato hanno reso immortali certe compagini: es.:il Grande Torino o per svariati altri motivi). Mai il nostro affetto nasce per motivi scontati. Nasce e basta: è veramente qualcosa di unico, perché ci accompagnerà tutta la vita.

Diversamente da quanto opinano alcuni pseudo soloni intellettuali, il calcio è uno degli sport più educativi che esistano. Riflettiamo: noi tutti abbiamo tirato calci ad un pallone e abbiamo creato una squadra e ciò è avvenuto sempre, a prescindere dalle nostre “carriere” calcistiche. Per i non più giovani, come lo scrivente, la pratica del calcio è iniziata verso i 10 anni e occupava sostanzialmente tutti i pomeriggi della settimana (ovvero le mezze giornate libere dalla scuola). Si recuperava un pallone, si cercava un campetto (prima un prato e dopo anche sul cemento con due panchine contrapposte come porte) e si formavano le squadre, con ragazzini recuperati sul momento.
Si diventava compagni di squadra, ancor prima di diventare amici. Incredibile, se paragonato ai giorni nostri.
Crescendo, la voglia di calcio e di aggregarsi non è mai venuta meno (tornei scolastici; aziendali; dopolavoristici; dilettantistici…pensionistici). Si sono solo accorciate le dimensioni del campo: il calcio è diventato calcetto, ma si tratta sempre di “giocare a pallone”. E se quando eravamo piccoli, le pause culinarie erano rappresentate dalla merenda, costituita da enormi panini con salumi e/o formaggio; diventando adulti, dopo la partita, si va a cena e si parla ovviamente di calcio, si disquisisce di tecnica ma, soprattutto, ci si sfotte tra le diverse fedi calcistiche e si sorride… sempre. Insomma il calcio insegna a stare insieme, a relazionarti con il tuo prossimo, a rivaleggiare con un avversario. E’, in sintesi, lo specchio della nostra vita sociale, altro che diseducativo!

Per quanto riguarda la circostanza che gli stadi stanno diventando il palcoscenico per esercitare l’odio razziale, mi permetto di dissentire alla radice, cercando di non banalizzare un fenomeno, di per sé grave. Premesso che, ovunque, si possono trovare soggetti, che incitano all’odio razziale (nelle piazze come negli stadi e per finire sui social), vorrei ragionare sul fatto che, almeno per quanto riguarda l’ambito calcistico, c’è un elemento che non torna.
Ma se io sono veramente razzista perché mi metto a fischiare contro il nero della squadra avversaria e non lo faccio contro i neri che giocano nella mia squadra? In termini di razzismo quale sarebbe la differenza?
Secondo me, molti di coloro che fischiano non sono veramente razzisti, ma, fortunatamente, sono semplicemente stupidi, che in questo caso è un’attenuante.

Nel calcio non esistono differenze basate sulla classe sociale di appartenenza. E’ l’espressione più democratica ed aggregante che esista. Il tifo accomuna chiunque ed è forse per questo che il calcio è lo sport che ci ha consentito e ci consente di mitigare le difficoltà che incontriamo nella nostra vita, in quanto si è sempre posto come elemento di disinnesco rispetto ai fenomeni negativi che hanno caratterizzato la società (in tal senso, anche il ciclismo con la vittoria di Gino Bartali al Tour del Luglio 1948 permise di allentare la fortissima tensione nazionale, causata dall’attentato a Palmiro Togliatti).
Qualcuno potrebbe eccepire che il calcio non è altro che l’aggiornamento ad oggi di una parte della locuzione latina di Giovenale “Panem et circenses” (il popolo solo due cose desidera: pane e giochi circensi) dove appunto il termine “circences” sta attualmente per il gioco del calcio. Premesso che, al limite, oggi toglierei sicuramente il “panem” (stante la circostanza della mancanza di lavoro che riguarda, in particolare, ma non solo, i nostri giovani), lo sport del calcio – anche per i motivi che ho delineato sopra – ha ben poco di “circences” (perché non ci è stato dato ma lo abbiamo sempre avuto dentro).

Per finire un’ultima riflessione. A parte le gioie individuali che, auspicabilmente ciascuno di noi ha provato, almeno una volta, nel corso della propria vita, quali sono stati - nei tempi moderni - i momenti veramente indimenticabili, in cui è esplosa una vera goduria a livello collettivo? Ovviamente la vittoria della nostra Nazionale ai Mondiali di Calcio. Ho avuto la fortuna di vivere, da ragazzo, quelli del 1982 e da adulto quelli del 2006. Ebbene ancora oggi, le emozioni provate, in mezzo alla gente, mettono i brividi.


L’auspicio è quindi che il calcio ci accompagni costantemente e che ci consenta, come di consueto, di alleviare i pesi della vita quotidiana, permettendoci di guardare sempre avanti, settimana dopo settimana, ovvero giornata dopo giornata di campionato, nella speranza che alla sconfitta segua una vittoria, ma con la certezza che, di calcio, sempre ne potremo godere.