In occasione del recente weekend, abbiamo assistito ad una escalation di inquietanti notizie relative al diffondersi del Coronavirus nel Nord Italia, alle misure draconiane riguardanti il tentativo (per me assolutamente vano) di delimitare i focolai di infezione, attualmente riconosciuti presenti in alcune zone della Lombardia e del Veneto.

Posso solo immaginare la preoccupazione ed il disagio, che stanno vivendo i nostri connazionali residenti nelle c.d. “zone rosse”, costretti, loro malgrado, ad un’esistenza coatta presso le rispettive residenze, con uscite limitate al procacciamento di generi di conforto in paesi, che appaiono desertificati. Ciò che appare ancora più avvilente è addirittura ipotizzare il sospetto che tali persone possano reciprocamente nutrire nei confronti dei loro compaesani, in quanto possibili untori; soprattutto se immaginiamo che sino ad una settimana prima, le stesse persone, che si conoscono da una vita, organizzavano incontri, feste e sagre all’insegna della convivialità e dello stare insieme.

E’ evidente che tali pensieri, unitamente a quelli scaturenti dalle notizie circa la chiusura dei locali pubblici, dei teatri, dei cinema, delle scuole della sospensione delle funzioni religiose, etc. non facevano che acuire nello scrivente un senso di temporanea disaffezione verso tutte quelle forme di divertissiment, tra le quali, a pieno titolo, rientra la community di vivoperlei, anche perché, rimanendo, peraltro, in ambito sportivo, prendevo atto del rinvio di buona parte delle partite di Serie A, con l’incognita che tale provvedimento rappresentava solo la prima delle misure restrittive, in attesa dell’evoluzione nelle prossime settimane della situazione.
Ero quindi deciso ad osservare un’adeguata pausa di riflessione in ordine al confezionamento di articoli, riguardanti il calcio e, in particolare, a quelli inerenti agli spunti ironici che il mondo pallonaro giornalmente ci offre o che ci andiamo artatamente a cercare, perché ispirati da una sempre latente vis polemica, che in realtà è ciò che anima la passione calcistica di tutti noi.

Ma le riflessioni di cui sopra conducevano, al termine del percorso logico, al riconoscimento di una “sconfitta”, perché sancivano, inesorabilmente, che la straordinarietà dell’emergenza sanitaria ci impediva di agire in modo naturale, anche per quanto riguardava lo scrivere, un esercizio che invece ci consente di “superare” o quantomeno di esternare, almeno per il tempo in cui sei impegnato alla redazione, le afflizioni della nostra società.
E allora, ho ritenuto preferibile ribellarmi a questo senso di frustrazione, cercando di scovare le reazioni più singolari degli addetti ai lavori alle criticità derivanti al mondo calcistico dalla propagazione del virus.

Ebbene, in questa prima disamina, ho trovato, ai confini del demenziale, le dichiarazioni esternate dal Presidente del Coni, Giovanni Malagò che ha sempre l’aria del bellone datato, appena uscito da un salotto dell’alta borghesia romana. Interrogato in merito alla possibilità che la partita Inter/Sampdoria si fosse potuta (o si potesse) giocare a “porte chiuse”, l’esimio Presidente del Coni ha così risposto, citando due problematiche: "La prima è che oggettivamente, a cominciare dalla partita dell’Inter, con 70.000 biglietti venduti, la società si doveva fare carico di tutto l’aspetto economico. Seconda questione: se decidi di fare la partita a porte chiuse con gente che ha già fatto il biglietto o che è già in piazza o se ci sono in giro gruppi di tifosi più vicini alle Curve, che decidono di andare verso lo stadio, c’è un problema di ordine pubblico".

Evidentemente Malagò – che premette di aver parlato con Marotta sino alle tre di notte del giorno stesso – o aveva bevuto troppi Martini in qualche locale dei Parioli o nei suoi trascorsi giovanili deve essere stato magistrale interprete del teatro dell’assurdo, perché la sua dichiarazione è il classico esempio dell’alienazione dell’uomo contemporaneo, in cui le parole sono surreali, costituite da squarci di quotidianità scomposti e rimontati in modo da creare un effetto comico e tragico al tempo stesso.

In primo luogo, Malagò ritiene che possa costituire un tema insuperabile la restituzione ai tifosi del prezzo del biglietto? Ma stiamo scherzando!? Dinanzi ad una Lombardia, che ha disposto la chiusura di tutti i locali, teatri, cinema, etc. sarebbe un problema per l’Inter restituire il prezzo dei biglietti ai tifosi?

Ma il numero uno dello Sport Italiano è andato oltre, perché è riuscito ad affermare che poteva costituire un tema di ordine pubblico il fatto che i tifosi in possesso del biglietto avrebbero comunque potuto raggiungere lo stadio nonostante la partita fosse a porte chiuse.
A parte che i tifosi non sono scemi (come, forse, evidentemente invece pensa Malagò) ma qualora – ed eventualmente - tifosi non particolarmente intelligenti avessero avuto l’intenzione di raggiungere lo stadio, Malagò pensa che ciò avrebbe potuto costituire un problema di ordine pubblico, in presenza di “uno stato d’assedio” già sussistente da parte dell’esercito per presidiare le entrate/uscite dei comuni del Lodigiano?

Purtroppo, le dichiarazioni fuori controllo non si sono limitate al numero uno del Coni, ma anche l’allenatore della Lazio, Simone Inzaghi, che ci ha messo un bel carico da novanta. Nella conferenza stampa post Genoa/Lazio, il tecnico piacentino ha dichiarato, sul tema Coronavirus, che “giocare a porte chiuse non è la soluzione, i tifosi sono il sale del calcio. Dobbiamo vivere lo spettacolo con le tifoserie…”.

Ebbene, se “giocare a porte chiuse non è la soluzione” quale sarebbe la soluzione per Inzaghi?
Le proposte ipotizzate dal tecnico potrebbero essere le seguenti:

  • tutti i tifosi che decidono di assistere ad una partita, devono recarsi allo stadio con almeno 48 ore di anticipo per sottoporsi al tampone. I campioni saranno immediatamente inviati con staffette della polizia agli ospedali “Spallanzani” o “Sacco” per essere controllati. I positivi al test per il Coronavirus saranno avvisati e prelevati per essere sottoposti alle cure del caso, mentre i negativi potranno allegramente recarsi allo stadio;
  • tutte le partite del campionato saranno disputate negli stadi delle Regioni in cui i contagi sono sporadici o comunque circoscritti (es. il Lazio) e saranno vietati alle tifoserie provenienti dalle Regioni in cui i contagi non sono circoscritti.

Cerchiamo di essere seri, per favore!

A questo punto, non mi stupirei se nel prossimo futuro - quando finalmente, sconfitto il virus, torneremo a disquisire solo di calcio e a polemizzare su tutto ciò che riguarda la rivalità tra le varie tifoserie - a qualcuno non pungerà vaghezza di dare una nuova etichetta alla Juventus, ovvero, dopo Rubentus, mi aspetto la denominazione di Coronaventus. D’altra parte, la rima baciata aiuterebbe non poco…


Tornando serio, mi rendo conto che non posso concludere l’articolo in questo modo, ma devo necessariamente tornare da dove sono partito, ovvero dalla situazione sanitaria che sta “sconvolgendo” il Paese, traendo un’ulteriore riflessione.
Si stanno sprecando i commenti di illustri virologi circa la limitata pericolosità del Coronavirus quanto agli effetti della malattia, in quanto ciò che la caratterizza in modo inusuale non è tanto la gravità, quanto la straordinaria capacità di diffusione del virus e, ovviamente, nessun Paese al mondo può permettersi di fronteggiare un contagio globale.

Di conseguenza, ascoltiamo le notizie che, giornalmente, ci informano sulla crescita dei soggetti contagiati con un’ansia derivante dall’attesa dell’evento, dall’insicurezza che ci pervade perché, intimamente, sappiamo che dobbiamo attendere le informazioni riguardanti la diffusione del virus, soprattutto nelle località dove viviamo o vivono i nostri cari.
Insomma, perdiamo di vista la “disgrazia”, intendendosi per tale la malattia di per sé e ci concentriamo sull’attesa di come la stessa malattia potrà in qualche modo toccarci o essere debellata. E’ proprio per questo che, giorno dopo giorno, il tutto ci angoscia, perché, come ricorda lo scrittore Antonio Pennacchi “ciò che distrugge l’uomo non è la disgrazia in sé, ma l’incertezza e soprattutto l’attesa della disgrazia. Alla disgrazia fai pure fronte, e dopo in qualche modo ti rialzi. Ma se quella non si compie – e resta sempre appesa – quando più potrai rialzarti?

 

L’auspicio, per ciascuno di noi e per il nostro Paese, è che ci si rialzi il più in fretta possibile.