Tanto tuonò che alla fine piovve: così si può sintetizzare ciò che è avvenuto oggi a Nyon durante i sorteggi di Europa League.
Al netto di commenti a caldo su quanto le italiane siano state fortunate - addirittura il Milan se la dovrà vedere con i blasonati ed insidiosissimi lussemburghesi del Dudelange F91, mentre contemporaneamente all'Inter tocca il Barcellona (d'altronde, noi siamo in Champions...) - la mia attenzione non può non soffermarsi sul gruppo B, costituito dagli scozzesi del Celtic Glasgow, dai norvegesi del Rosenborg e (udite udite!) dalle "sorelle" Salisburgo e Lipsia. Perché? Sono parenti? No, caro lettore; semplicemente entrambe fanno parte della galassia-Red Bull, così come molte altre società sparse per il globo (mi vengono in mente, così su due piedi, il RB Brazil e la RB Ghana). E chissà quante altre ne entreranno a a far parte tra qualche anno! In fin dei conti nell'azienda austriaca sono furbi e il loro lavoro lo sanno fare.
E anche bene. Basti pensare al brillante escamotage che i nostri utilizzarono per aggirare le (non così) ferree regole della Federcalcio tedesca: i club teutonici non possono in alcun modo presentare lo sponsor nel nome e, perciò, quando nel 2009 fu rilevata la licenza sportiva del SV Makrandtadt, i nuovi dirigenti decisero di affiancare al nome della città la sigla RB, "RasenBallsport" - letteralmente "sport della palla sul prato", che coincideva perfettamente con quella dello sponsor.

Evidentemente alla Red Bull ne sanno una più di Bertoldo. Lo hanno dimostrato anche nello stratagemma studiato e pianificato per eludere il regolamento della UEFA, più precisamente l'Articolo 5, quello riguardante l'integrità delle competizioni. Il suddetto parla chiaro: due club con lo stesso proprietario non possono giocare nella stessa competizione europea (nessuna persona fisica o giuridica avesse più un’influenza determinante su più di un club che partecipa a una competizione UEFA per club).
Molti di voi ricorderanno sicuramente la querelle nata l'estate scorsa riguardo la possibilità che Salisburgo e Lipsia s'incontrassero in competizioni europee. La UEFA, quasi costrettaci, ha indagato sulla questione, dandone verdetto positivo: via libera ai due club di partecipare alla Champions League. La polemica ha assunto contorni grotteschi nella primavera di quest'anno, quando l'ombra di una sfida tra le due sorelline si è fatta sempre più grande, in quanto entrambe facevano parte del ristretto novero delle 8 squadre finaliste dell'Europa League. Fortunatamente per la UEFA, il destino scelse diversamente in quell'occasione. Ma oggi è successo ciò che a Nyon speravano non accadesse mai: Lipsia e Salisburgo si sfidano in una gara europea. 

In che modo la UEFA ha dato il nullaosta affinché questa vergogna si compisse? Ritorniamo alle "volpi" austriache, le quali hanno - ingegnosamente, devo dire - sbrogliato la matassa: hanno licenziato varie figure "scomode" dal Salisburgo, figure che avrebbero potuto insospettire gli organi di vigilanza; hanno trasferito decine di calciatori dall'Austria alla Germania (al Lipsia, naturalmente); hanno modificato l'accordo di sponsorizzazione tra la Red Bull e il Salisburgo, con cifre e spazi ridotti. Ecco, quest'ultimo è il punto focale della situazione: così facendo, l'influenza dell'azienda del Toro sul club austriaco si era notevolmente ridotta, inducendo la UEFA a declassare tale rapporto in una semplice "sponsorizzazione standard" (fonte: "Calcio e Finanza").
Tutto molto bello. Allora, mi chiedo io, perché non hanno modificato anche la denominazione del club? Chiamare una squadra "Red Bull Salisburgo" evidentemente rimanda ad intrallazzi di ogni tipo.
Un'altra domanda, come si suol dire, sorge spontanea: qualora i risultati futuri del girone d'Europa League proponessero, all'ultima giornata, una situazione in cui a Salisburgo e Lipsia bastasse un pareggio per passare entrambe il turno, come la prenderebbe l'opinione pubblica?
Facile, ne nascerebbe un putiferio mai visto.
E come si dovrebbero comportare alla UEFA? Facile anche questa: dovrebbero nascondere la testa sotto terra dalla vergogna.
La vergogna di un conflitto d'interessi che, nel calcio europeo, credevamo non potesse esistere.