“Ma può uccidere anche noi?”  
“Arturo, tranquillo. Ora siamo d'inverno. La mafia uccide solo d'estate”.
E viene arrestata d’inverno.

E sì, signor Matteo, sono tante le cose che vorrei dirle, ma è complicato, davvero complicato scriverle una lettera, ancorché aperta.
A partire dall’incipit. Da che mondo è mondo, le lettere si cominciano con un “Caro” o un “Egregio” o, al massimo, con un più formale “Stimatissimo” e simili. Ma sa, signor Matteo, proprio non mi riesce, è più forte di me.
 
Vabbè, ho capito: niente incipit, lo salto a piè pari (senza offesa, signor Matteo) e faccio subito le mie congratulazioni ai carabinieri e ai magistrati che l’hanno acchiappata. Minchia campioni! Non si arrabbi, suvvia! Che pretende? Che la gente come noi, palermitani e siciliani liberi, non faccia il tifo per i carabinieri? Amunì, signor Matteo…
Certo, quelli del Ros potevano scegliere una giornata migliore, che camurria sta poggia! Però, sa che c’è? Che a noi palermitani la pioggia piace. Sa di pulito, di catartico quasi. E sa di vita, anche se non sono sicuro che questo lei possa capirlo.
 
E poi, la pioggia ci porta bene.
Si ricorda quando il Palermo batté la Pistoiese, con un gol nel finale del palermitanissimo Gaetano Vasari? Tanino, quello del Borgo vecchio, l’antico quartiere popolare dove lei è molto popolare; a dire il vero, ci sono stato qualche settimana fa e m’è parso di respirare un’aria diversa. Sarà ….

Sto divagando, dicevo del gol di Vasari. Pioveva a dirotto, ma lo stadio era pieno, c’eravamo tutti, quella sera alla Favorita; forse c’era pure lei (un pentito tempo fa ha raccontato che lei ci andava, allo stadio, non è farina del mio sacco, non se la prenda come me). Quello era il Palermo del mister palermitano Ignazio Arcoleo e dei suoi picciotti. Precisiamolo: picciotti buoni, che al massimo sparavano in porta per far gol. No, perché picciotti lei ne ha conosciuti e ne ha avuti a disposizione, ma quelli sono un’altra cosa, per quelli non ci sono supporters che riempiono il Renzo Barbera ed esultano sotto l’acqua, per quelli gli unici tifosi possibili sono i familiari assiepati davanti all’Ucciardone in attesa del colloquio mensile.
Vabbè, ma perché divago ancora?

Torniamo a quel Palermo, a quella pioggia. La pioggia, quella sera del 4 novembre del 1995, bagnò la vittoria di una squadra che fece sognare un’intera città, che non vinse nulla, nemmeno venne promossa in serie A, ma era comunque l’antesignana del Palermo dei tempi d’oro, quello della serie A conquistata dopo decenni, quello dell’Europa League, quello dei Toni, Corini, Barzagli, Dybala, Cavani e compagnia cantante; e danzante, pure (sul pallone). Il Palermo che muoveva masse e portava latitanti allo stadio. E sì, signor Matteo, ce lo dicevano che lei andava allo stadio. Palermo-Sampdoria, 9 maggio 2010: le dice niente? Dicono che ci sia andato, con tanto di maglietta rosanero addosso. Onestamente, faccio una gran fatica a raffigurarmi la primula rossa che se ne va allo stadio, si mette in fila ai tornelli, mostra il biglietto e magari tra il primo e il secondo tempo non resiste al richiamo de “u sapuri ru gol” e si compra un ghiacciolo all’arancia. Sembrerebbe una macchietta tragicomica alla Totò e Peppino, se non si trattasse di Lei. Io ci vedo piuttosto la ricerca estrema della normalità, come miglior rifugio possibile. Del resto, la regina del giallo, Agatha Christie, diceva che “il miglior nascondiglio è la luce del sole”: l’avrà mica letto?

E qui la domanda mi sorge perciò spontanea: allo stadio, quel giorno, ci è andato per tifare veramente o ha fatto tutto giustapposto per camuffarsi, lei che è un esperto in materia? Un collaboratore (sempre quello) ha raccontato che lei quel giorno doveva incontrare alcuni mafiosi palermitani, insomma c’era una riunione importante; una di quelle riunioni in cui magari decidere chi doveva vivere o morire; e nel frattempo la partita allo stadio, mah ... Altro che Christie! Questo è Diabolik style.
Certo, quel Palermo-Sampdoria è stato un grande evento, forse la partita più importante degli ultimi anni. I rosanero e i blucerchiati si giocavano l’accesso alla Champions League, in quello che era un vero e proprio scontro diretto. Tuttavia, a me piace dare una risposta a quella “lubranesca” domanda e pensare che a lei, della partita, proprio non gliene fregasse granché. Non per cosa, signor Matteo, ma a me sta storia che lei era là, a tifare, proprio non va giù, perché c’ero pure io, là a tifare. E magari eravamo pure vestiti uguali! E magari eravamo pure seduti accanto!
No, no, signor Matteo. Lei è nato in Sicilia come me, a lei forse piace il calcio come piace me e, siccome il Castelvetrano non è proprio il Real Madrid, forse tifa per il Palermo come me. Ma non si faccia illusioni, lei con me, e con la stra-super-grande maggioranza dei siciliani, non ha nulla a che spartire.
E poi, che tifoso è uno che voleva far esplodere l’Olimpico? Menomale che ogni tanto i vostri pulsanti fanno cilecca…
Divago ancora, sono imperdonabile.
Torniamo a quella partita, che finì 1-1, con gol, entrambi su rigore, di Pazzini e Miccoli. Si ricorda? Io me ne ricordo. E mi ricordo di Miccoli. Che campione! Che delusione! Il nostro numero 10 arrestato per aver “condiviso idee ed atteggiamenti mafiosi” (sono parole della Cassazione). Lei se lo ricorda Miccoli? Se le ricorda le sue lacrime in quella conferenza stampa? Piangeva come se piovesse.
Già, la poggia. Ch’è bella la poggia! Ieri mattina, poi … Gliel’ho detto, ci porta bene.
 

Non se ne dispiaccia, signor Matteo.
Certo, lo capisco, il carcere è una gran seccatura, ma vuole mettere …. Vuole mettere il favore che ci ha reso? Vuole mettere andare noi, d’ora in poi, allo stadio e metterci a saltare (perché chi non lo fa catanese è … è … ), senza che ci assalga il dubbio che anche lei possa essere lì, su quegli stessi spalti, a saltare insieme a noi, magari per dare credibilità a chissà quale altro camuffamento, per chissà quale altra riunione?
Vuole mettere tributare un’ovazione alle forze dell’ordine che passeranno sotto la curva, per ringraziarle?
Vuole mettere una città che chissà quante altre volte si colorerà di rosanero, ma che da ieri mattina si sente molto più rosa e molto meno nera?

Sì, adesso ci sentiamo più rosa che mai, adesso ogni nostra alba avrà il colore candido di giorni migliori e ogni nostra sera avrà l’alito lieve di notti chete. Adesso gli applausi e gli urrà dei nostri eroi incappucciati, mentre la conducevano lontano da qui, risuoneranno nelle coscienze limpide della brava gente. Adesso Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Carlo Alberto Dalla Chiesa e il resto dei “fuoriclasse del sacrificio” potranno riposare ancor più in pace.
Adesso i nostri figli avranno un motivo in più per rimanere, per non salutare, valigia in mano, le proprie madri sull’uscio della porta, maledicendo la loro Terra.

Quindi, signor Matteo, comprendo il disagio che proverà tra quelle anguste mura, dietro quelle grigie sbarre: nessuno che la incensi, nessuno che le dia del “Vossia”, nessuno che le chieda il permesso; niente più cene, champagne, piccioli, cannoli e potere. Niente.
Ma che vuole farci? Come diciamo a Palermo “Per un cornuto un cornuto e mezzo”. Perdoni il turpiloquio, signor Matteo. Non è assolutamente mia intenzione apostrofarla come un uomo dalle protuberanze ossee sulla fronte, ci mancherebbe. È semplicemente un detto, che in qualche modo traduce, nel nostro dialetto, una specie di legge del taglione, un occhio per occhio in salsa palermitana. E siccome occhi lei ne ha bagnati (per non dire infradiciati, inzuppati, intrisi di lacrime), se ne faccia una ragione se adesso saranno sue e dei suoi familiari quelle lacrime.
Lacrime diverse, certo.
Le sue, le vostre saranno lacrime di coccodrillo e, ad ogni modo, meritate. Le nostre lacrime, invece, le abbiamo versate con occhi d’innocenza e petti sconquassati dal dolore, infuocati dalla rabbia, schiacciati da quel senso d’impotenza che ci ha resi per lustri interi illustre popolo vittima di mafia.
Sì, noi abbiamo già dato!
Abbiamo pianto, abbiamo urlato, ci siamo disperati, abbiamo sofferto, abbiamo sfilato con le fiaccole in mano, abbiamo scritto sui muri e appeso lenzuola. E lenzuoli su corpi stesi han chiazzato di sangue le nostre strade verso un futuro irrimediabilmente compromesso.

Questa nostra amata Sicilia ha pianto troppo, per causa sua e dei suoi colleghi di mafieria.
Anche il nostro cielo ha pianto a dirotto, la mattina del suo arresto. Non si illuda, signor Matteo, non piangeva per la sua triste sorte, il suo arresto, la sua malattia; pingeva di gioia.
Che gioia, quella mattina! Le sirene urlavano al vento, la gente applaudiva per strada, i cellulari strillavano la straordinaria novella. Palermo risorgeva per l’ennesima volta dalle sue stesse ceneri, sotto cui (noi non c’illudiamo) cova ancora l’anima malandrina dei suoi sodali; che tuttavia, signor Matteo, adesso sono un po’ più soli e un po’ meno malandrini.

A proposito della sua malattia, stia tranquillo: noi la cureremo, signor Matteo. Perché noi siamo lo Stato, noi abbiamo un modo diverso di trattare i prigionieri. Lo capisco, sta roba le suona male. Il fatto è che qui è un altro mondo, non funziona come nel suo, di mondo. Gli unici codici che conosciamo sono quelli per sbloccare cellulari e altri aggeggi, l’unico pizzo che ci piace è quello della biancheria intima delle nostre mogli, l’unica cupola che ammiriamo è quella di San Giovanni degli eremiti.
Qui comandiamo noi, tutti noi, non c’è nessun capo dei capi. Qui la legge è del Parlamento, non del più forte.
Qui si fa come è scritto su una carta chiamata Costituzione, non com’è ordinato su dei pizzini. Qui i problemi non mancano (altroché!), ma siamo liberi. Lei no, non lo è più. Perché forse la mafia uccide solo d’estate, ma viene arrestata d’inverno.

E a proposito della nostra Carta, visto che avrà molto tempo a disposizione, gliela dia una lettura, alla Costituzione, segua il mio consiglio.
Forse capirà l’aberrazione del sistema che avreste voluto imporci; forse capirà perché c’è gente che ha affrontato le vostre bombe pur di combattervi, forse capirà quanto benedetta sia stata la poggia, la scorsa mattina. E forse capirà che quelle bombe non sono servite a niente, hanno sventrato palazzi, divelto strade e flagellato corpi, ma non hanno ucciso nessuno. Perché coloro che andavano incontro a quelle esplosioni non erano semplicemente uomini e donne dello Stato, erano spiriti indomiti di uno Stato libero, che ha vinto.
Lo Stato vince sempre.
Voi lo avete rivoltato come un calzino, ne avevate sparpagliato i pezzi come in un puzzle impazzito, volevate fare a pezzi uomini e istituzioni.
Ma avete fallito. Ora quel puzzle, col suo arresto, è stato completamente ricomposto. Ora è tutto a posto. Ora il puzzle da ricomporre è quello dei suoi pensieri, della sua coscienza, dei suoi rimorsi (forse), della sua vita.
Ci provi. Da qualche parte ho letto che proprio i puzzle sono una sua passione: i tasselli da mettere a posto sono tanti ma, come le ho già detto, il tempo non le manca.
Tumore permettendo …
Buona galera, signor Matteo.