Ciao Mister,
sono un tifoso del Napoli, quindi non ho mai avuto il piacere di vederti allenare la mia squadra del cuore. Non è questa, però, una ragione sufficiente per sentirti meno “mio”, perché le tue vicissitudini umane e sportive, pur se non legate strettamente alla mia esperienza di marito, di padre e di tifoso, mi hanno sempre coinvolto ed emozionato.
Ho negli occhi il “terzo tempo” che la tua Fiorentina tributò all’Inter. Fu il primo “terzo tempo” d’Italia, un gesto di classe e sportività fatto da te e dalla tua squadra in un momento in cui tu avevi la morte nel cuore, perché l’amore della tua vita era volato via. Purtroppo quel gesto nobile, che richiamava una disciplina dura e sportiva come il rugby, fu ripetuto poche volte e venne presto abbandonato: troppo marcio il mondo del calcio italiano per poter chiudere le ostilità al triplice fischio finale di un arbitro. Bisognava e bisogna sempre andare oltre, continuare con moviole e polemiche, accuse e sospetti. Bisognava e bisogna gettare sempre un’Ombra.
Già, un’Ombra. Nella tua lettera di addio alla Fiorentina scrivi testualmente: “In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose”.
Questa frase non ha il sapore dell’addio, ma della disperazione; se un’ombra è talmente forte e imperiosa da cambiare il tuo modo di vedere le cose vuol dire che la luce, se non è spenta, è davvero fioca. Ed è proprio questo, mister, che mi piacerebbe dirti se avessi la fortuna di poterti conoscere, di parlarti, di offrirti un bel caffè napoletano, magari con l’aggiunta di una sfogliatella che non fa mai male: lascia sempre accesa una luce! Che sia una lampadina o una candela, che sia il lampo di una notte tempestosa o il lampione impolverato della strada, lascia sempre una luce accesa dentro di te. I più fortunati hanno la Fede, io non ho questo dono e allora mi rifugio nell’amore delle persone care e nella bellezza della Letteratura, dell’Arte, della Musica, della Natura.

La tua lettera si conclude così: “Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono”.
Questa frase avrà certamente una presa maggiore sugli sportivi e sugli addetti ai lavori, veri o presunti che siano, perché ognuno ci potrà leggere ciò che vuole: un attacco al mondo del calcio contemporaneo, stracolmo di storture e iniquità, di tensioni e di rabbia; qualcuno, invece, ci vedrà persino una critica più o meno sociale alla modernità tutta. Personalmente, io ci vedo solo un uomo che sta abbandonando il mondo nel quale ha vissuto fin da quando, bambino, prendeva a calci un pallone. Un bambino che poi è diventato calciatore professionista e, a seguire, allenatore di altissimo livello. Un uomo che adesso ha bisogno di una luce e sa, o pensa di sapere, che non può più trovarla all’ombra del calcio.
Sempre l’ombra, mister, maledetta ombra. Un vecchio film di successo diceva che non può piovere per sempre. Parafrasando, posso dirti che non ci può essere ombra per sempre. Un sole quasi bianco sale ad est, cantava Battisti. E salirà sempre, fosse anche il più pallido dei soli. Ciao, Mister.
Finisco di scrivere questa lettera che tu non leggerai mai ascoltando questa canzone di Battisti. E ti auguro con tutto il cuore che come uccelli leggeri fuggan tutti i tuoi pensieri.