Ieri sera nel post-partita del derby della Mole volavano le colombe della pace tra gli studi di sky sport e la postazione in collegamento con l’inviato a Torino per intervistare Allegri.

Nello studio di Sky c’era ancora Adani, ma questa volta i toni e le discussioni sono stati civili, tra due persone intelligenti ed adulte.

Riprende il dibattito sul gioco, sulle idee e Massimiliano Allegri inizia con un quasi assoluto ed interessante monologo dove Adani lo riporta alla fatal domanda rivoltagli la settimana precedente, cioè: “Dato che ti trovi quest’anno nella posizione di anticipare di un mese la programmazione della prossima stagione calcistica, a parte la campagna acquisti, quali saranno le tue idee per migliorare la squadra rendendola più propositiva e dominatrice?”

Come settimana scorsa, Massimiliano Allegri rinuncia a rispondere direttamente ma cerca di far comprendere agli interlocutori cosa è importante per lui: per il mister non è importante scimmiottare il gioco delle altre squadre, e nomina il Bayern Monaco che gioca alla tedesca, il Barcellona che gioca diversamente, e noi in Italia che giochiamo ancora diversamente, sostenendo che il Bayern non potrà mai giocare come il Barcellona e viceversa. Poi si sofferma sull’importanza da parte della nuova generazione di allenatori nel capire i momenti della partita, o il periodo che sta attraversando la propria squadra, per apportare delle modifiche tattiche, ad esempio passando da due centrocampisti a tre. Torna a parlare della partita terminata contro gli olandesi dell’Ajax e afferma che i suoi ragazzi si sono spaventati ed hanno perso sicurezza quando Pjanic ed un altro giocatore bianconero hanno perso palla davanti alla difesa causando una situazione di rischio notevole che ha portato i lanceri davanti alla porta. Poi ancora, parla delle sue esperienze da allenatore avute al Milan e alla Juve, chiarendo che le due società hanno due DNA diversi, sottintendendo che al Milan si voleva vincere senza rinunciare al bel gioco, mentre alla Juve si vuole vincere e basta. Parlando delle partite di Champions della stagione ricorda che la più bella partita giocata dai bianconeri è stata contro il Manchester United, però persa in casa per 1-0, sottolinea la bella partita del Liverpool in semifinale contro il Barcellona per 70 minuti, però siccome il calcio non è matematica, sono bastati 12 minuti a Messi per incidere sul risultato finale.

Ecco, questa bella e lunga intervista di ieri sera, scopre le carte di un allenatore che non vuole capire oppure non vuole cambiare il suo modo di vedere il calcio.

Innanzitutto non sono affatto d’accordo con l’analisi nazionalista del calcio dove ogni squadra ha il suo DNA che non può trasmettersi ad altre. Se nominiamo il Milan di Sacchi, il Milan di Capello, la Juve di Lippi, l’Ajax di Van Gaal, il Real Madrid di Zidane e il Barcellona di Guardiola, possiamo denotare un DNA di base identico, fatto di pressing alto e continuo, della ricerca del pallone in poco tempo per comandare il gioco e dominare l’avversario, fatto da continue ripartenze, da verticalizzazioni, ma anche di cambi di gioco improvvisi, poi chiaramente ognuno di loro apporta delle piccole modifiche come Guardiola nell’aumento del possesso palla eseguito con più fraseggio. Ma il DNA di base è inconfutabile, cioè giocare all’attacco. Mentre il calcio propinato da Max è un calcio alla Trapattoni, antico, italiano, lui stesso lo ammette. La base concettuale di questo gioco è correre di meno, pressare mediamente a centrocampo o nella propria metà campo cercando di dare molta importanza alla tattica, alle posizioni tenute dai giocatori, tenere la squadra corta fra i reparti, compatta e aspettare un errore di trama avversaria per ripartire veloci, possibilmente con tre passaggi e trovarsi davanti alla porta avversaria. Il primo DNA ha il cromosoma dell’attacco, Lippi spesso ripeteva che erano gli avversari a doversi preoccupare della sua squadra e non l’incontrario e qui ci colleghiamo all’altra affermazione di Max sulla paura dei suoi giocatori a non riuscire più a reagire dopo aver subito delle situazioni pericolose davanti alla sua porta. Allegri non vuole ammettere che se facesse giocare le sue squadre con un idea di calcio offensiva, che pensa prima a fare gol e non a non prenderlo, instillerebbe più fiducia e coraggio alla propria squadra, gli avversari si troverebbero poche volte nella propria difesa ad usufruire degli errori. L’Ajax gioca in maniera offensiva, con pressing alto e così una squadra molto giovane e poca esperta diventa sicura di sé e non ha paura di sbagliare, perché il proprio credo è incentrato sul fare più gol degli altri. Al contrario l’allenatore livornese nella partita di ritorno schiera i più giovani e meno esperti Cancelo e Bentancur in panchina, trasmettendo in loro la propria sfiducia, ansia e paura a mettere in campo dall’inizio dei ragazzini che secondo lui non avrebbero retto un match così importante. Eppure Bentancur è stato il miglio interprete a centrocampo della Juventus all’andata, eppure Cancelo nonostante l’errore fatale per il gol olandese, procura l’assist per la rete di Ronaldo. Ecco, quando Allegri parla delle incertezze perse durante la partita, lui dovrebbe ammettere che il primo insicuro è lui, e infatti trasmette questo ai suoi ragazzi, lo fa sempre. Tevez gli dà del pauroso, Dani Alves ammette di farlo giocare meno in avanti e CR7 comunica che ha troppa paura per giocare a vincere.

Ma tatticamente Allegri fa ancora autogol, perché dopo aver ammesso che la squadra entra nel panico dopo dei palloni persi davanti alla difesa, potrebbe apportare dei cambiamenti, cioè passare alla difesa a 3 e tentare di giocare come Gasperini o come Conte al Chelsea attuando il 343. Non è un caso se Conte prima di lui capì che le caratteristiche dei propri giocatori lo portarono dopo poche settimane a passare alla difesa a 3 e lui aveva il miglior interprete nel ruolo di regista, cioè Pirlo. A questo punto Allegri avrebbe dovuto rispondere nettamente e direttamente ad Adani dichiarando che la sua Juve non giocherà mai come l’Ajax di Van Gaal, come la Juve di Lippi, il Milan di Sacchi, perché il primo segnale per giocare diversamente sarebbe stato quello di puntare ad una difesa a tre, oppure giocare a quattro in difesa senza Bonucci troppo lento e razionale, comprando un centrale più veloce nei recuperi e più forte nella marcatura. E il primo errore di mercato in questo senso è stato il ritorno dell’ex milanista a Torino, e non acquistare un vice Pjanic.

Ma al posto di Adani o altri addetti ai lavori, io avrei domandato ad Allegri perché non ha fatto giocare Bentancur e Cancelo nel ritorno dei quarti di finale.

Poi vorrei ricordare ad Allegri che è più facile vincere giocando in avanti che giocando in difesa, in fondo il giuoco del football prevede la vittoria come obbiettivo finale, certo ci sono vari modi per raggiungerla, ma per infondere coraggio non si può certo pensare soprattutto a non prenderle.

Sul tema Liverpool- Barcellona, Max considera il bel gioco concretizzato in campo dagli inglesi un valore più d’estetica perché poi la differenza la fanno i grandi giocatori come Messi, lodando la squadra catalana che s’è difesa bene per 70 minuti. Io ricordo che Messi è da 3 anni che non alza la Champions, e che la Juve con Ronaldo non l’ha vinta, quindi è vero che possono fare la differenza, ma in contesti di gioco dove le idee applicate al campo puntano a dominare l’avversario.

In sintesi, io da quando Allegri allena, non l’ho mai sentito parlare come Marcello Lippi suo corregionale, che soleva affermare:”Sono gli altri che si devono preoccupare della Juventus e non noi degli altri”. Questa frase dovrebbe essere come un mantra ripetuto alle future generazioni di allenatori, Caro Max, perché in Italia e in Europa si può vincere da italiani anche con il calcio di Sacchi e di Lippi.