Anche questa settimana La Domenica Sportiva ci ha offerto l’ennesima puntata della saga “Adani contro Allegri, la lotta continua”.
Il buon Adani non ha infatti perso la golosa occasione, data dal momento di crisi che sta attraversando la vecchia signora, per attaccare violentemente l’allenatore livornese e quella che giudica essere una gestione tecnica fallimentare.

Francamente è diventato ormai tedioso, oltre che fastidioso, assistere ogni settimana all’eterna faida che vede un opinionista televisivo fare uso del mezzo pubblico per consumare la sua infinita vendetta in nome di antichi screzi personali.
Pare tuttavia che il sangue agli occhi impedisca all’opinionista di vedere le cose con lucidità. Per carità, è innegabile che, dopo tre anni di conduzione allegriana, la Juve non abbia palesato progressi tecnici nei singoli e nelle dinamiche di gioco.
Molto spesso la squadra dà l’idea di non sapere cosa fare quando ha la palla fra i piedi, non paiono infatti esistere schemi di gioco rodati che possano costituire un rifugio sicuro per giocatori di qualità tecnica invero non eccelsa i quali, posti di fronte alla responsabilità di assumere iniziative, spesso si rifugiano nel classico passaggio orizzontale.

È tuttavia sempre difficile capire (non esistendo controprova) quale sia il confine fra l’inadeguatezza dei singoli e l’incapacità del tecnico di allenarli e farli crescere. Il discrimine, pertanto, non può che essere quello dei risultati ed è proprio sotto questo profilo che le aspre critiche di Adani paiono, a mio giudizio, in gran parte ingiustificate.
Non si può infatti ignorare, in primo luogo, che il triennio a conduzione Allegri nasce all’alba della fondazione di un nuovo progetto Juventus.
Gli errori compiuti dalla precedente dirigenza all’epilogo di un decennio straordinario, hanno prodotto i noti squilibri di bilancio e la necessità di rifondare la squadra e la società per ritornare alla gestione oculata che ha tradizionalmente caratterizzato la compagine piemontese (dai tempi di Boniperti, attraverso Moggi e Giraudo, per arrivare al mai abbastanza rimpianto Marotta).

Il giudizio su Allegri non può quindi essere avulso dal contesto in cui egli si è trovato ad operare nella sua seconda vita juventina.
Il primo anno (stagione 2021/2022) fu quello dell’addio improvviso di Ronaldo, a mercato praticamente chiuso.
Un addio che ha avuto inevitabili ricadute sugli equilibri della squadra, derivanti dalla partenza di un giocatore di quel calibro e di quel carisma, peraltro rimpiazzato solo da Kean.
In ogni caso, pur fra mille critiche, la squadra al termine della stagione arrivò serenamente quarta, garantendo la partecipazione alla successiva CL senza i patemi dell’anno precedente, nel quale la qualificazione fu ottenuta solo all’ultima giornata grazie al suicidio sportivo del Napoli.
L’anno successivo (stagione 2022/2023) vide invece alcuni pesanti errori di valutazione da parte della Società, non sappiamo se avallati dallo stesso Allegri: la squadra fu infatti costruita intorno a giocatori di esperienza e carisma come Di Maria, Paredes e Pogba.
Orbene, come prevedibile gli argentini affrontarono la prima parte della stagione con lo “scartamento ridotto”, per non rischiare di arrivare stanchi al mondiale di dicembre, e la seconda parte spremuti dalla vittoria di quel mondiale.
Stendiamo invece un velo pietoso sul francese, peraltro praticamente fermo da tre anni, e la sua insensata decisione di adottare la terapia conservativa per un banalissimo problema al menisco, scelta che gli ha fatto saltare tutta la stagione.
La seconda parte dell’anno, invece, fu quella dello “scandalo” plusvalenze, durante il quale l’allenatore livornese, a mio avviso, ha dato il meglio di sé.
Ritengo infatti che, di fronte al vuoto di potere e di riferimenti dovuto all’azzeramento dell’intera compagine sociale, la baracca sia rimasti in piedi solo grazie al carisma ed all’esperienza del buon Max, il quale ha saputo tenere la truppa compatta anche durante le montagne russe dei punti tolti, restituiti ed infine tolti di nuovo.
Riuscire a mantenere la “barra a dritta” in queste condizioni e condurre la squadra ad essere lungamente la seconda forza del campionato (dietro un irraggiungibile Napoli) è stato un piccolo miracolo calcistico.

Infine l’anno in corso.
La premessa è che nessuno in buona fede può realisticamente pensare che i valori tecnici della Juve odierna siano paragonabili a quelli di Inter, Milan, Napoli e forse anche Roma e Lazio.
Il buon Adani sembra far finta di non ricordare che la Juventus quest’anno, per le note vicende giudiziarie, non ha praticamente fatto mercato in entrata (unico acquisto Timothy Weah), ha ceduto di Maria e Paredes ed ai blocchi di partenza ha perso Pogba e Fagioli, costringendo Allegri ad inventare il centrocampo (all’andata contro l’Inter partì titolare Nicolussi Caviglia).
Nello stesso mercato l’Inter ha acquistato 13 giocatori (spesa 110 milioni), il Milan 11 giocatori (spesa 113 milioni). Peraltro la Juve ha una delle squadre più giovani della serie A, l’età media dei giocatori schierati da Allegri è di 25,8 anni, l’Inter è di ben 3 anni più anziana.
L’obiettivo dunque era ed è sempre rimasto la qualificazione alla CL e, con un po' di fortuna, la vittoria della Coppa Italia.
L’ipotesi, ventilata a gennaio, di fare il colpaccio scudetto, era legata unicamente all’eventualità che l’Inter, distratta dagli impegni di CL, lasciasse qualche punticino per strada, ma, in condizioni normali, fra la due compagini non c’è mai stata competizione.

Il giudizio su Allegri deve quindi necessariamente essere sospeso fino a che non scopriremo se la Juve avrà raggiunto gli obiettivi stagionali; il dato è che, ad oggi, la squadra è terza in classifica, con 8 punti di vantaggio sulla quinta, ed in semifinale di Coppa Italia.
Tutto il resto sono chiacchiere in libertà.
Il futuro rimane comunque tutto da scrivere, senza tacere che probabilmente Allegri, pur rimanendo uno straordinario allenatore, non è forse il tecnico più adatto per la fase che sta attraversando la Juventus.
Egli dà il meglio di sé quando può gestire i fuoriclasse, dai quali non pretende il rispetto di stringenti vincoli tattici ma riconosce loro la libertà necessaria a porli in condizione di rendere al meglio.
Viceversa una squadra come la Juventus attuale, che annovera pochi campioni, ha forse bisogno di un tecnico più giovane, che possa portare nuova linfa ed entusiasmo e sia in grado, attraverso una precisa identità tattica, di esaltare le caratteristiche dei singoli.

Chi vivrà vedrà.