In questi giorni, dopo aver pianto la morte del Pibe de Oro, è tornato prepotentemente di moda l’eterno dibattito su chi sia stato, o chi sia, il più forte giocatore di tutti i tempi, contrapponendo in particolare a Maradona i vari Pelè, Cruyff, Beckenbauer, Platini, Di Stefano, fino ai contemporanei Messi e Ronaldo. L’argomento è indiscutibilmente dei più interessanti, dei più appassionati, ognuno di noi potrebbe esprimere il suo parere in base a ciò che ha visto e vissuto, in base alla sua concezione del calcio; alla fine del dibattito nessuno potrebbe aver ragione in modo inequivocabile sugli altri, né tantomeno chi vi scrive ora, il quale ci tiene comunque a fare le sue considerazioni.

Innanzitutto credo che non sia possibile paragonare il calcio giocato da Maradona rispetto a quello che conosciamo oggi molto semplicemente perché era un gioco completamente diverso. Sebbene rispetto ad alcuni decenni fa siano rimasti uguali le squadre di calcio, i colori delle loro divise, gli stadi, gli scarpini, il verde del prato col suo fresco profumo e financo la perfetta sfericità del pallone da calcio, Maradona e i suoi predecessori hanno giocato proprio UN ALTRO SPORT. Anzi, quello giocato nel secolo scorso era un GIUOCO (la Federazione ce lo insegna), nel senso letterale del termine, e in un giuoco l’unica cosa che conta è vincere, il prevalere sull’avversario, punto e basta. Nel giuoco contano furbizia, scaltrezza, intelligenza pronta, sagacia tattica e in questo contesto i tanto decantati dogmi decubertiniani sulla sacralità dello sport hanno sempre avuto scarso spazio. Il giuoco del calcio in particolare è una manifestazione che è nata dal popolo e che al popolo tende; ogni tentativo di modificare o di rompere questo indissolubile legame che c’è sempre stato tra calcio e popolo vuol dire snaturare l’essenza stessa del calcio, cosa che oggi infatti puntualmente si è verificata.
Quello di oggi è infatti diventato il calcio dei giocatori/azienda, che si considerano semidei e sono inavvicinabili dal popolo comune, delle loro compagne supermodelle, wags, blogger e chissà quanto altro ancora, dei procuratori, intermediari, emissari ecc., delle televisioni onnipotenti e dei loro abbonamenti, dei mondiali in Qatar, dell’arbitro Moreno, della tessera del tifoso, dell’eclissarsi della Serie C, delle squadre con 11 stranieri in campo, dei fuorigioco millimetrici e, dulcis in fundo, del VAR con il suo silent check che ricaccia indietro anche l’ultimo urlo di gioia rimasto.

Ma in precedenza quello di Maradona è stato il calcio delle radioline accese alla domenica, delle interviste nello spogliatoio, del Processo di Biscardi, degli stranieri che dopo un mese avevano imparato l’italiano, di Citeroni che salva l’Ascoli da un gol bolognese, dall’U.R.S.S. che si rifiuta di andare a giocare in Cile, di un partigiano come Presidente che in aereo gioca a carte insieme ai Campioni, dei lutti in Brasile nel ’50, di Carletto che brandisce il pugno sotto la curva bergamasca senza che nessuno riesca a fermarlo, dell’autorevolezza di Lo Bello, della signorilità di Rocco ed Herrera, delle folle traboccanti sul terreno di gioco per la festa scudetto, della MANO DE DIOS.

E il trono del Calcio che è stato non può che appartenere a lui, a Diego Armando Maradona, proprio in quanto massima espressione di talento che nasce dal popolo e che le folle ha infiammato più di chiunque altro, nel bene o nel male. Lui, illustre figlio di un povero barrio argentino, non poteva che trovare a Napoli la massima sublimazione alla sua carriera e alla sua vita, nessuno avrebbe saputo amarlo più di quanto abbiano fatto gli scugnizzi come lui.

Nessuno ha mai amato la pelota come ha fatto lui. Nessuno la sapeva stoppare come lui. Nessuno sapeva proteggerla come faceva lui. Nessuno ha mai saputo imprimere al pallone traiettorie al pallone come faceva lui. Nessuno ha mai saputo trasformare i compagni di squadra da mediocri giocatori a campioni vincenti come faceva lui. Le sue punizioni, i suoi passaggi smarcanti, i suoi tiri a effetto sono comparabili a un quadro di Van Gogh, a una statua di Michelangelo, ad una poesia di Rimbaud; ovverosia i gesti più elevati che un giocatore di calcio potesse realizzare con una palla tra i piedi.
Simili gesta non potranno più essere nemmeno lontanamente emulabili da un giocatore di calcio.
Tutto il resto è storia.
O Leggenda.
Grazie Diego.

Tommaso Cotellessa