Ieri pomeriggio mia nipote, che da quest'anno svolge la prima media, mi ha fatto una videochiamata tramite WhatsApp poiché non le riusciva una banalissima operazione di matematica e, visto che c'era, ha preferito prendere due piccioni con una fava, chiedendomi un "aiutino", come accade in un qualsiasi gioco a premi televisivo prima di cena, per un tema di italiano.
"Pensaci tu zietto caro che poi ci vediamo più tardi" - condendo il tutto con baci baci baci e grazie grazie grazie con una miriade di emoticon -.

Intanto, punto primo, le videochiamate dovrebbero in qualche modo essere video-programmate. Uno, ed è il punto due per il mio caso, potrebbe anche essere "in tutt'altre faccende affaccendato" come studiato a scuola, per l'appunto, nei Promessi Manzi di Alessandro Sposoni, come diceva il mio illustrissimo e sfacciato professore di ragioneria. Anche in considerazione del fatto, ed è il punto tre, che l'essenziale, proprio in questo caso, è invisibile agli occhi.

"Quando ti fanno troppe moine, apparentemente ingiustificate, occhio alla penna; cammina rasente un muro così le persone le puoi vedere bene in faccia e ti salvi il culo!". Mi rendo conto che non sia il massimo della finezza ma il mio "deus ex machina", al primo impiego, mi disse subito le testuali parole. Non finirò mai di ringraziarlo. Era burbero, spiccio, a volte triviale ma con una preparazione fuori dalla norma. Ero come una spugna con l'acqua: dovevo, ma soprattutto volevo, sempre trattenere tutto il sapere che giornalmente mi trasmetteva. Ho appreso da lui, e conservo gelosamente, uno dei miei più grandi difetti: dire sempre la verità. Pane al pane e vino al vino. "Se la tua applicazione sarà sempre ai massimi livelli" - sbuffava dietro la Nazionale senza filtro - "non potranno mai attaccarti perché dirai le cose come stanno. Solo gli stupidi, gli insolenti e gli impreparati ti faranno la guerra. Non combattere mai contro i mulini a vento, non ne vale la pena".
Aveva ragione, eccome. Morì dieci ore prima di mio padre; lo stesso giorno dello stesso mese del medesimo anno. Chissà perché le figure di riferimento in un colpo solo. Ovunque tu sia, Mauro, colgo l'occasione per salutarti.

Mia nipote, forse la prediletta, sapeva come fare centro...
La scuola è ancora perno centrale nei ragazzi? Nelle famiglie? È da viatico nel cammino dell'istruzione? Serve solo per il bel voto e il pezzo di carta o anche, ma soprattutto, per il sapere?
La scuola è un'agenzia basata su servizi educativi specifici e pianificati; è un'organizzazione sempre più articolata ed estesa. Oggi appare come un'istituzione in "crisi" per i numerosi cambiamenti che ha dovuto subire a causa dei mutamenti della società.
Penso che possa essere rappresentata come un "mostro a tre teste". Esiste una dimensione comunitaria: chi la frequenta è inserito in un sistema ben definito di regole e di rapporti sociali. Una culturale, dove trasmettere e produrre sapere e una, purtroppo arcaicamente, curricolare per la  programmazione educativa e didattica al lavoro.
La scuola dovrebbe soddisfare un insieme di esigenze istituzionalmente riconosciute, come quella di seguire determinati programmi. Non istituzionalizzate, ma socialmente percepite, riconosciute e legittimate, come le richieste di dialogo, ascolto e sostegno presentate da genitori e studenti.
Le richieste mirano a creare i presupposti per una migliore condizione umana. La scuola deve fornire strumenti e competenze per funzioni specifiche della vita individuale e collettiva. La scolarizzazione è caratterizzata dal fatto che la cultura degli alunni si forma anche e soprattutto attraverso esperienze extrascolastiche; per un maggiore distacco tra gli obiettivi dell'insegnamento e i bisogni avvertiti dagli studenti.

Nel nostro Paese gli studenti attribuiscono alla scuola una funzione di guida e di supporto per le loro scelte personali. I ragazzi considerano i docenti come modelli di condotta? La scuola a volte non riesce a svolgere adeguatamente tutti i compiti che le sono attribuiti; soffre di discontinuità interna, cioè di una mancanza di collegamento programmatico e metodologico didattico tra le varie articolazioni del suo sistema. Fornisce conoscenze inadeguate e improduttive. Questo è accaduto perché si è tentato di realizzare una scuola di massa, in modo tale che tutti i cittadini potessero accedere ai vari livelli dell'istruzione.
Si definisce scuola dell'obbligo. Sostengo invece che debba essere per tutti ma non di tutti.

Non riesce, pertanto, a fornire le medesime opportunità di successi in ambito lavorativo e sociale; la sua capacità di educazione e istruzione è andata in molti casi peggiorando. La formazione scolastica è spesso in ritardo rispetto alle trasformazioni sociali e culturali. I suoi costi finanziari crescono a tal punto da divenire spesso insostenibili.
C'è dunque il bisogno di trasformare in modo radicale il sistema scolastico esistente con la fondazione di scuole alternative rispetto ai tempi, agli spazi, alle attività didattiche e ai sistemi di valutazione dell'istituzione scolastica. La radicale descolarizzazione ci ha riportato, paradossalmente, alla scuola di mio padre. Poco prima della guerra.

Il 20 maggio nel 1943 compiva con profitto gli studi di grado inferiore (3^ elementare). Nel Certificato di Compimento, nelle note speciali, era scritto: rispetto all'igiene, pulizia e cura della persona "lodevole". Nelle altre materie d'insegnamento tutti "buono". La promozione era stata per scrutinio. Non era a conoscenza che per la materia di "religione", quando provvedeva la famiglia, sulla pagella era scritto: "Insegnamento a cura della famiglia".
La promozione in quarta dava diritto a un'aula al... piano superiore; il salire quelle scale faceva sentire loro più grandi! Purtroppo la felicità durò poco: meno di un mese. Per la guerra fu costretto alla "non presenza", in quanto "sfollato".

Ricordava il primo anno di scuola.
Aveva compiuto sei anni e fu ammesso a frequentare la prima con una certa Maestra Nannini.
Era il 1940. Con il grembiulino nero (all'asilo era bianco) calzava degli zoccoletti con sotto la gomma per non fare rumore, ma anche per non consumare il legno. La cartella di tela cerata con dentro un quaderno e un astuccio di legno.
Nel banco, così come in aula, era a suo agio. Una grande carta dell'Italia pendeva alla parete. Tende bianche per i grossi finestroni, a difesa dal sole, i ritratti del Re e della Regina che vegliavano sopra il capo della maestra. La cattedra con la pedana, alla parete una vetrinetta e la lavagna con le zampe d'elefante. In un angolo una stufa in terracotta rossa con a fianco la legna tagliata e ben ordinata. Tutto gli era diventato familiare, come le facce dei compagni.
La campanella annunciava la fine. Uscivano di corsa, fuori dal cancello, verso casa, pestando con gli zoccoli tutte le pozzanghere. Fu proprio all'uscita che un giorno l'amica del cuore, l'Ambretta, cadde rompendosi una gamba. Diventò, fortuna volle, il suo "Cavalier Servente"...
A scuola cominciava a comporre lettere e numeri. Il sillabario gli svelava un mondo totalmente sconosciuto, il pallottoliere gli insegnava a fare i conti. Pronunciava ad alta voce i nomi delle cose, come se non fossero mai esistite prima. Nella sua classe, come del resto in tutte le altre, in un angolo in alto, un altoparlante.
Ogni mattina, un annunciatore dell'E.I.A.R., leggeva i bollettini sulla guerra dei soldati italiani, di cui anche loro scolari, Figli della Lupa, dovevano obbligatoriamente esserne orgogliosi.

"Fatto zio?" - sentì la voce squillante e, soprattutto, speranzosa della mia piccola.
"Certo cucciola" - esclamai. "Bisognerebbe che ti impegnassi di più e tu lo facessi essenzialmente per una persona sola" - osai affermare quasi in segno di sfida.
"Per te?" - disse. 
"No" - risposi.
"Per la mamma?".
"Macché".
"Per la nonna?".
"Ma figurati".
"Per mia sorella, i miei compagni di classe, per i professori...?" - si stava impazientendo - "insomma mi vuoi dire per chi?".
"Per te stessa" - le risposi.
Avrei voluto aggiungere "perché la competenza rende liberi; la vera ignoranza non è la mancanza di conoscenza, ma il rifiuto di acquisirla". Sarebbe stato troppo difficile e arduo.
Aggiunsi solo, e forse non se lo ricorderà già più: "Perché un giorno, spero, lo capirai, come è successo a me...".
"Grazie mille zietto".
"A te, tesoro grande".