Il calcio di oggi e il romanticismo sembrano ormai non parlarsi più. Eppure entrambi hanno rappresentato per anni quella mano invisibile che dava una spinta emotiva in più, che va oltre il semplice tifare. Diventava fervore, illuminazione, ideale, in quella cosa così banale ma tanto importante che è il nostro sport preferito. Cambi di maglia, cambi di panchina, cambi di opinioni. Ormai sembra essere dettato tutto da due concetti fondamentali: vincere a tutti costi e il prestigio.

Non ultimo, il guastafeste di una delle storie d'amore più belle degli ultimi anni, Maurizio Sarri, ha in un certo qual modo voltato le spalle alla stessa squadra e alla città alla quale dedicava la vittoria dell’Europa League con il suo Chelsea. Sembrava amore, e invece non lo era. È stato semplicemente un “sei speciale e ti porto sempre con me”, che non preclude il fatto di orientarsi verso altri lidi. Mosso da cosa poi? Per l’appunto, dalla voglia (smania) di vincere e dal prestigio, impulsi che ad oggi prevalgono su tutti gli altri sentimenti. Un riflesso minuto di quello che accade nella società e nella socialità moderna, dove si è quasi sempre alla ricerca del prestigio, vuoi che sia un posto di lavoro, vuoi che sia un ristorante, vuoi che sia la prossima destinazione estiva. Il tutto per sentirci vittoriosi, per assaporare il gusto di prevalere su altri. Vincere.

È il risultato dell’esasperazione della competizione.

Antonio Conte, un novello Camillo Benso (però nato al Sud), che ricompone i cocci di una Juventus confusa, riportandola a stravincere e diventando il condottiero simbolo e icona dei colori bianco neri, ad oggi è lì impegnato a pochi chilometri da Torino a scervellarsi per portare alla vittoria l’Inter. La storica e odiata nemica della Vecchia Signora. Viceversa dall’altra parte, i tifosi interisti, si trovano a supportare un allenatore che per anni hanno sbeffeggiato. Il tutto in un’atmosfera un po’ confusa di odio e amore. Questi sono gli ultimi, emblematici, casi in cui da tifosi si rimane interdetti. Perché in fondo si sperava di non essere “traditi” dai propri idoli. Vuoi che siano essi calciatori o allenatori. L’appartenenza resta sempre nelle mani e nel cuore del tifoso, e sempre meno nelle corde dei professionisti. Si cambia, e poco importa se la coerenza viene meno. La possibilità di rifiutare una maglia per rispetto del proprio passato non è di moda. Rischi di non essere nessuno. Addio vittorie, addio prestigio.

In fin dei conti è uno sport, l’importante è che sia sempre l’emozione a prevalere su tutto il resto. Non ci sono dubbi. Tuttavia, ogni tanto, ripenso con smagrita nostalgia a quanto potesse essere, oltre che bello, anche romantico questo sport.