Si discute da anni della possibilità di riformare il calcio in Italia, ma le proposte avanzate, generalmente, non accontentano le parti in causa, alimentando solo lo scontro tra Lega Serie A e Federcalcio.

In Italia è molto difficile gestire i campionati maschili, tanto che da anni si parla di una “riforma”. Questa dovrebbe prevedere anzitutto la riduzione del numero delle squadre professionistiche e, in secondo luogo, anche il meccanismo di promozioni e di retrocessioni. Il problema principale è che le diverse parti in causa faticano a trovare un accordo che soddisfi tutti, il che potrebbe portare ad un vero e proprio dibattito all’interno della federazione (e non solo) che dovrà essere affrontato necessariamente nei prossimi mesi.

Ma andiamo con ordine.

La FIGC e le leghe

Per capire il problema occorre anzitutto spiegare come funzionano gli organi che gestiscono la normativa, occorre, quindi fare una breve spiegazione per poter affrontare meglio il discorso. Anzitutto, ad oggi, l’organo che gestisce la revisione delle norme del calcio è la Federcalcio (o, per meglio dire la Federazione Italiana Giuoco Calcio, abbreviato in FIGC). La federazione, però, non agisce da sola. Ogni modifica deve essere accordata anche dalle leghe che gestiscono i campionati. In Italia le leghe sono quattro: la Lega Serie A, la Lega Serie B, la Lega Pro e, infine, la Lega Nazionale Dilettanti (LND). La Lega Serie A e la Lega Serie B organizzano i relativi campionati, mentre la Lega Pro organizza la Serie C. Questi tre campionati sono quelli che vengono definiti “professionistici” e si differenziano dalle serie inferiori che, invece, vengono definite “dilettantistiche”. L’organo che organizza le serie inferiori (la Serie D, le serie successive e il settore giovanile) è la LND, che, però, ha un “peso” non indifferente all’interno della Federcalcio.

Insomma, ogni modifica deve passare necessariamente dal confronto tra queste quattro leghe, in quanto una riforma come, ad esempio, la riduzione del numero di squadre in Serie A, deve portare necessariamente a una modifica anche nei regolamenti delle altre leghe. 

Ridurre il numero di squadre?

Ovviamente, queste modifiche non vengono presentate per “capriccio” della Federcalcio, ma rispondono a una vera e propria esigenza. Per rimanere nell’esempio di prima, ovvero la riduzione del numero delle squadre in Serie A, si deve tener conto di diversi fattori, come, ad esempio, il nuovo format della Champions League che prenderà avvio dalla stagione 2024/25. La futura Champions sarà giocata da 36 squadre in un girone unico, in cui ogni squadra partecipante dovrà giocare un minimo di otto gare, ben due in più rispetto agli impegni attualmente in vigore. Anche la fase ad eliminazione diretta vedrà un turno in più rispetto al regolamento attuale e, quindi, è necessario far sì che il nostro campionato maggiore si trovi preparato a tutti questi impegni aggiuntivi. La soluzione sembra essere proprio quella di ridurre il numero delle squadre della Serie A, così da avere meno gare da giocare e da permettere alle squadre qualificate nelle coppe europee di poter giocare senza un accavallamento eccessivo di partite. Inoltre, una riduzione del numero delle squadre, porterà anche ad avere più spazio per i ritiri della nazionale, fattore essenziale soprattutto dopo la cocente delusione dell’eliminazione dai Mondiali per due edizioni consecutive.

Questa ipotesi porterebbe il numero di squadre di Serie A a 18 o a 16, ma è un’ipotesi che non piace alla maggior parte dei presidenti.

Chi si oppone a questa idea sostiene che una riduzione di gare della Serie A porterà necessariamente ad una riduzione degli introiti televisivi, essenziali per far funzionare il meccanismo del calcio italiano, ma ancora troppo bassi (nonostante le televisioni ogni anno versino più di un miliardo di euro) rispetto agli introiti che guadagna la Premier League inglese.

Un minor incasso dai diritti televisivi non colpirebbe solo la Serie A, in quanto, dal 2008 è attiva la Legge Melandri, che prevede un meccanismo chiamato “mutualità”. In breve questo meccanismo ridistribuisce il 10% dei soldi ricavati dalla vendita dei diritti televisivi della Serie A alle tre leghe inferiori: alla Lega Serie B spetta il 6%, alla Lega Pro il 2%, alla LND l’1%, mentre un altro 1% spetta alla Federcalcio.

In parole povere, meno soldi per la Serie A vorrebbe dire anche meno soldi per le altre leghe. O, perlomeno, così dovrebbe essere in teoria.

Infatti, nella pratica la Legge Melandri non sta portando molti benefici alle categorie delle squadre delle serie inferiori. Basta leggere qualche dato per rendersi conto di quanto il mondo del calcio sia in completa crisi. Infatti, dal 2000 ad oggi sono state ben 188 le società calcistiche che hanno dichiarato fallimento e che non sono riuscite ad iscriversi al campionato della stagione successiva, una media di ben 9 squadre a stagione. Insomma, questo 10% che dovrebbe “dar respiro” alle categorie inferiori non sembra stia funzionando a dovere, infatti nella FIGC si discute anche di una possibile modifica della Legge Melandri, nella quale potrebbero cambiare le attuali percentuali di mutualità.

"Riscrivere" i campionati?

Come detto, i problemi principali che la FIGC deve cercare di risolvere sono principalmente tre: gli impegni europei sempre più fitti per le “big” del campionato di Serie A, la riabilitazione della nazionale maschile e, infine, la gestione delle società cadette, di cui, come detto, sono spesso quelle che arrivano al fallimento, anche a campionato in corso o alla non iscrizione al campionato della stagione successiva. La soluzione a tutti questi problemi sembra proprio essere una “riscrittura” dei campionati e un “ridimensionamento” delle squadre professionistiche.

Attualmente in Italia, nei campionati maschili, sono iscritte un massimo di 100 società calcistiche di squadre professionistiche. La suddivisione è molto elementare: 20 società formano la Serie A, altre 20 la Serie B e, infine, le restanti 60 squadre formano la Serie C, suddivisa a sua volta in tre gironi, su base territoriale, da 20 squadre ciascuno. La Serie D non ha un numero fisso di squadre partecipanti. Quest’anno, ad esempio, le squadre sono 166, divise in nove gironi, sempre su base territoriale.

Come si può constatare, il numero di squadre professionistiche è molto ampio. Se si guarda, ad esempio, al football americano negli Stati Uniti (uno sport molto seguito un po’ come il calcio in Italia), si noterà come le squadre professionistiche siano solo 32. In NFL (la lega sportiva che gestisce il football statunitense) non ci sono serie inferiori, non c’è una “Serie B”, quindi non esistono promozioni e retrocessioni. Esistono 32 squadre e stop. Esiste, però, un campionato “cadetto”, ovvero quello delle squadre universitarie, da cui emergono i “campioncini” che terminati gli studi entrano nel mondo professionistico.

Non si vuole dire che il sistema della NFL sia perfetto e non privo di difetti, anzi. Però è un sistema che potrebbe presto essere adottato anche in Italia (o in Europa), con le dovute modifiche.

Insomma, gestire 32 squadre anziché 100 è sicuramente più semplice. Inoltre, occorre considerare che ogni anno dalla Serie D vengono promosse ben 15 squadre e altrettante retrocedono dalla Serie C. Insomma, ogni anno 15 (il numero è indicativo, esistono poi una serie di norme che saranno spiegate più avanti che fanno diminuire questo numero) società calcistiche diventano “professionistiche”, e altrettante fanno il passo contrario.

E se appare una mobilità eccessiva tra squadre dilettantistiche e professionistiche, il sistema delle promozioni/retrocessioni è invece eccessivamente lento tra i campionati professionistici. In Serie C, che conta 60 squadre, sono solo 4 quelle promosse nel campionato cadetto (con altrettante retrocessioni), mentre dalla Serie B alla Serie A ne vengono promosse solo 3 (sempre considerando altrettante retrocessioni). 

La Serie B è quella che soffre maggiormente questo sistema, in quanto si trova ad essere il campionato “centrale” tra la Serie A e la Serie C. Infatti, ogni anno 7 squadre su 20 cambiano rispetto alla stagione precedente. Risulta quindi impossibile programmare politiche della Lega per lunghi periodi. La Lega Serie B ha quindi espressamente chiesto una riduzione del numero di retrocessioni, ma la Lega Pro, ovviamente, è contraria alla riduzione del numero di squadre promosse nel campionato cadetto, a meno che non gli vengano riconosciute maggiori risorse economiche.

Le società falliscono

Il sistema di promozioni/retrocessioni è la causa principale dei fallimenti delle società calcistiche. Sono proprio le squadre che retrocedono a non riuscire più a gestire i costi, per cui dichiarano fallimento. Il motivo è semplice: in una serie inferiore i ricavi sono nettamente minori rispetto a quella da cui si è retrocessi. 

Infatti, ogni squadra deve tener conto del calo degli introiti provenienti dagli sponsor, della vendita dei biglietti e dalle attività di calciomercato, mentre rimangono invariate le spese per gli stipendi dei calciatori, ad esempio, i quali devono ricevere il medesimo stipendio che avevano in Serie A.

Se la discesa nel campionato cadetto è molto problematica, risulta ancora più catastrofica risulta la retrocessione dalla Serie B alla Serie C, per cui, generalmente, alle società conviene svendere la propria rosa per evitare il fallimento.

Per tutti questi motivi è stato introdotto un meccanismo economico detto “paracadute”. Questo meccanismo porta un “premio” di retrocessione che varia dai 10 ai 25 milioni di euro, a seconda delle situazioni. Il problema principale è che questo meccanismo si attua solo per le squadre che retrocedono dalla Serie A alla Serie B, ma da solo non è uno strumento abbastanza sufficiente.

Infine, il passaggio dalle squadre dilettantistiche a quelle professionistiche, quindi dalla Serie D alla Serie C, non avviene con frequenza. Infatti, avviene spesso che le squadre di Serie D rinuncino alla propria promozione perché incapaci di gestire i costi del campionato professionistico.

Quindi, sebbene in teoria dovrebbe esserci mobilità tra i vari campionati, questa “mobilità” risulta sempre problematica nella promozione tra la Serie D e la Serie C e tendenzialmente capace di far fallire una società dalla retrocessione dalla Serie B alla Serie C.

Basta dare uno sguardo alle squadre che nella scorsa stagione sono fallite per rendersi conto dell’attualità del problema: Livorno, Gozzano, Chievo Verona, Carpi, Novara, Sambenedettese, Caserta e Catania. Quest’anno è toccata a Campobasso e Teramo. Nulla, però, in confronto al biennio 2010-2012 in cui sono fallite un totale di 42 società.

Certo, non è proprio un sistema perfetto, ma esistono anche storie di fallimenti (dal 2000 a oggi) e di rinascite spettacolari. I due esempi lampanti sono sicuramente la Fiorentina e il Napoli. Proprio la società partenopea è stata capace di giocarsi nelle ultime stagioni le zone più alte della classifica di Serie A e, quest’anno, addirittura, la guida del campionato da capolista con un largo distacco sulla seconda (dopo, ovviamente, lo scandalo plusvalenze che ha colpito con una penalità di 15 punti a stagione in corso la Juventus, che era la seconda in classifica).

Quindi, il dubbio appare naturale: è colpa delle norme o della cattiva gestione dei presidenti delle singole società?

Le proposte di Gravina

Dal 2018 il presidente della FIGC Gabriele Gravina sta proponendo una riforma del sistema che, però, non trova l’accordo con le singole leghe. Ad esempio, Gravina aveva proposto una riforma del numero complessivo di squadre professionistiche, da 100 a 60, a partire dalla stagione 2024/25. La riforma prevedeva una Serie C da 20 squadre, chiamata “Serie C Elite”, le quali avevano il titolo di professionistiche, mentre le 40 squadre escluse andavano a formare una Serie C in due gironi semi-professionistica, quindi con meno vincoli rispetto al campionato Elite.

Una proposta che ha avuto l’approvazione solo della Lega B, e il rifiuto della Lega Pro e della LND (quest’ultima perché avrebbe visto la Serie D scalare dal quarto livello di campionato nazionale al quinto). Infatti, l’articolo 27 dello statuto federale stabilisce che qualsiasi modifica debba essere approvata all’unanimità dalle leghe interessate (in questo caso solo la Lega Serie A era esclusa dalla riforma).

Se questa operazione non è andata a buon fine, d’altro canto ha avuto un ottimo risultato nell’ottobre del 2022 la riforma della giustizia sportiva. Proprio per evitare una cattiva gestione dei bilanci delle società sportive, che portano poi ai fallimenti di cui sopra, la riforma prevede una serie di obblighi che ogni società deve rispettare per avere bilanci più “sani”. Il sistema adottato non è nuovo al mondo del calcio, già in Europa funziona per l’accesso alle competizioni della UEFA, e viene definito “Fair Play Finanziario”.

Lo scandalo che ha colpito ultimamente la Juventus, di cui si accennava sopra, con accuse di plusvalenze fittizie, è venuto alla luce proprio attraverso questa riforma della giustizia sportiva.

Gravina, però, si è mosso anche dal lato delle istituzioni governative. Infatti, la FIGC, aveva proposto al Governo di inserire nella cosiddetta “Riforma dello sport” la figura dell’atleta “semi-professionista”. Per capire questa riforma occorre fare un breve riassunto di come funzioni il mercato del lavoro sportivo. In Italia esistono due tipologie di atleti: i “professionisti” e i “dilettanti”. I primi sono coloro che svolgono l’attività sportiva a tempo pieno, i secondi sono tutti coloro che oltre all’attività sportiva svolgono un altro mestiere. Inoltre, i primi hanno firmato un contratto per fare sport, i secondi no. La proposta della Federcalcio era quella di inserire una nuova figura, per cui gli atleti dilettantistici che lo volevano, potevano avere dei contratti senza dover lasciare il proprio lavoro. Sarebbe nata, quindi, la figura del “semi-professionista”.

Per la federazione calcistica questa riforma sarebbe stata ottimale per molti calciatori della Serie C, della Serie A femminile e anche della Serie A di calcio a cinque.

Le riforme approvate dal Governo

La riforma, come si poteva intuire, non è passata. Però il Governo ha introdotto una norma che fa sì che dal 1° luglio 2023 ci saranno meno tasse per le società sportive che metteranno sotto contratto atlete e atleti professionisti inferiori ai 23 anni, a patto che la società per cui giochino abbia fatturato meno di 5 milioni di euro nella stagione precedente. Inoltre, vi sarà un generale sgravo fiscale per le società di calcio femminile, indipendentemente dal fatturato.

Infine, il Governo ha stabilito anche un emendamento che ha suscitato non poche polemiche. Infatti, durante la pandemia sono state sospese diverse tasse alle società sportive. Il debito complessivo accumulato è arrivato a 889 milioni di euro, di cui circa 500 milioni solo per i club di Serie A. Il senatore di Forza Italia Claudio Lotito, presidente della Lazio, molto influente nel mondo politico, è riuscito a far inserire una norma per cui questo debito potrà essere pagato in 5 anni, in 60 rate. Insomma, il Governo anziché pretendere che i club si mettano in regola con le tasse, agevola gli stessi nel pagare in comode rate. E viene da pensare che, molto probabilmente, si tornerà a parlare di questo debito tra cinque anni (un tempo lunghissimo), quando scadranno i termini e si dovranno fare i conti con chi non ha versato ciò che doveva alle casse dello Stato.

Federcalcio vs. Lega Serie A

Come visto, senza un accordo tra le diverse compagini risulta impossibile riformare i campionati. Lo stesso Gravina ad ottobre 2022 aveva minacciato un’assemblea straordinaria per modificare il già citato articolo 27, così che la riforma dei campionati spetti esclusivamente alla Federazione, senza l'approvazione delle leghe. Per eliminare l’articolo 27, a Gravina basta la semplice maggioranza (il 50%+1) dei voti dell’assemblea straordinaria. Quest’organo della FIGC è formato da una rappresentanza per ognuna delle società professionistiche, un gruppo eletto che rappresenta le società della LND, una rappresentanza degli atleti, una dei tecnici e, infine, una degli arbitri. 

Per ora non si è fatto nulla, in quanto l’assemblea non è stata convocata e, soprattutto, la Lega Serie A si oppone alle modifiche. 

Come già detto, una Serie A con meno squadre equivarrebbe a una Serie A con meno ricavi dai diritti televisivi, e, di conseguenza, i club si oppongono a un campionato con meno partite da disputare.

La Lega Serie A, nella figura del suo presidente, l’avvocato romanzo Lorenzo Casini, ha inviato un documento al ministro dello sport, Andrea Abodi, in cui si chiedono alcuni interventi da parte del Governo. Il documento titolato “Riformare il calcio italiano” prevede una serie di azioni che, però, spesso vanno in controtendenza con le riforme che vorrebbe attuare Gravina.

Si può fare un esempio su tutti: la Lega Serie A propone di rivedere il meccanismo del “paracadute” (il “premio” per le squadre che retrocedono dalla Serie A alla Serie B), mentre Gravina vorrebbe eliminarlo del tutto.

Il documento si rivolge al Governo per chiedere interventi strutturali per la costruzione degli stadi o la loro ristrutturazione, poiché dal semplice prato in erbetta inglese oggi occorre rifornirli di tutta una strumentazione tecnologica che molti club ancora non hanno installato, condizione che viene fuori soprattutto nelle gare di Coppa Italia, dove sono presenti anche squadre di Serie B o di Serie C.

La Lega Serie A cerca di “saltare” Gravina per trattare direttamente col Governo, ma le tensioni sono destinate solo ad aumentare. Un episodio significativo si è avuto lo scorso 19 gennaio, durante la partita giocata a Riad della Supercoppa Italiana. Gravina aveva commentato che era rattristato per aver solo 400 spettatori italiani sui 58 mila presenti all’evento. Casini, invece, aveva risposto per le rime, sostenendo che fosse rattristato per non aver visto la nostra nazionale nei Mondiali del Qatar.

Gravina e la Federazione non hanno appoggiato l’idea di una Supercoppa giocata in un paese in cui i diritti umani sono considerati un crimine e, infatti, non si è presentata in Arabia Saudita, differentemente dalla Lega Serie A, a cui non sembra così male un paese dove è ancora in vigore la pena di morte per il “reato” di omosessualità. 

La Lega Pro non se la passa benissimo

Anche la Lega Pro vive momenti di tensione. Infatti, l’ex presidente Francesco Ghinelli aveva proposto alla Lega una riforma del campionato di Serie C, con 6 gironi da 10 squadre ciascuno e una fase finale ad eliminazione diretta con le migliori 5 di ogni girone. L’idea di Ghinelli era quella di aumentare le vendite dei diritti televisivi con un torneo play-off con le migliori trenta squadre, ma non ha trovato l’accordo della propria lega. Da un lato le società più “piccole” vorrebbero giocare tante partite per guadagnare soprattutto su abbonamenti e  biglietti, quindi preferiscono di gran lunga un campionato a 20 squadre. Dall’altra parte, le società “cadette”, quelle che si giocano la promozione in Serie B, vorrebbero un sistema più snello e semplice per la propria promozione.

Fatto sta che Ghinelli, dopo il rifiuto della propria proposta, si è dimesso.

Altro problema per la Lega Pro, sono le cosiddette “seconde squadre”. Dal 2018 le squadre di Serie A possono avere una seconda squadra in Serie C, a patto che in caso di promozione la seconda squadra non giochi nello stesso campionato della prima. Diversamente, in caso di retrocessione la seconda squadra non va in Serie D, ma rimane in Serie C, se è disponibile un posto vacante. Il problema è che questa iniziativa doveva risanare le casse della Lega Pro, ma è stata un vero e proprio “flop”.

Infatti, solo la Juventus ha iscritto una propria seconda squadra in Serie C da quando è entrata in vigore la norma. Il motivo è semplice: ci sono troppe regole da far rispettare. Ogni squadra che iscrive una propria seconda deve formare una rosa con al massimo 4 giocatori sopra i 23 anni, con giocatori che abbiano meno di 50 presenze, e con al massimo 7 giocatori non italiani. Soprattutto, ogni squadra che iscrive una propria seconda in Serie C deve versare 1,2 milioni di euro alla Lega Pro.

Risulta evidente come per una squadra con un grande vivaio, come la stessa Juventus, ma anche Roma, Milan, Sassuolo e Atalanta, si preferisca mandare in prestito i propri giocatori nelle squadre di Serie B per un paio di stagioni e, una volta formati, farli giocare in prima squadra o venderli ad altre società. Il risparmio dell’operazione mi sembra evidente: 1,2 milioni di euro.

La Lega Pro sperava di recuperare un po’ di introiti con le “seconde squadre”, ma le squadre di Serie A, finché non cambieranno le regole, non sembrano interessate all’argomento.

Conclusioni

Il calcio italiano vive un momento di grave crisi. E così grave che perde tifosi e pubblico, soprattutto tra le nuove generazioni. Occorre trovare soluzioni, ma non sembra che le parti in causa siano pronte a scendere a compromessi.