Ricordo che una volta, all'età di diciannove anni, ritornai da una partita di calcio del girone finale dei nazionali juniores. Avevamo giocato in  pieno giugno a Celano, Abruzzo, e se dovessi definire il campo di gioco come di un campo di patate, allora avrei fatto i complimenti alle patate. Invece era peggio, secco e pieno di quella ghiaia fine che ogni volta cadevi erano abrasioni dolorose.
Ed in tutto quel putiferio di pubblico ostile, avversari che picchiavano senza pietà, caddi anche malamente e mi ruppi una clavicola. 

Feci un giorno di viaggio in treno piuttosto faticoso e doloroso. Mi avevano fasciato le spalle, come primo intervento, ma  dovettero poi rimediare alla fasciatura leggera con una fasciatura più rigida, però fortunatamente la frattura era composta e non ci fu bisogno del gesso, ed ancor meno di un intervento chirurgico. La diagnosi fu di venticinque giorni, e poi potevo tornare a sfasciarmi e ricominciare l'attività sportiva. Intanto, avevo abrasioni dappertutto; i segni delle spinte e degli sgambetti ricevuti. Avevo tintura di iodio dappertutto. E così, mentre stavo seduto in ospedale ed attendevo  che il tempo passasse, mi si avvicinò un signore attempato, e con fare compassionevole mi disse: "Eh, voi giovani con 'sti motorini!" Io lo squadrai e gli dissi serio: "Non c'entra niente il motorino, è stato a causa di una partita di calcio!". Il tale rimase interdetto, si morse forse un labbro, e se ne andò zittito. 

Pensai a quelle parole con fare divertito, seppure spesso leggessi di giovani che morivano per colpa di altre scelte di vita disgraziate. E pensavo alla droga, sì, proprio a quella. E tutto sommato era meglio rompersi qualche osso in campo che cadere vittima di un abisso dal quale non si esce mai, se non distrutto, e quando pensi di uscirne fuori, arriva il conto salato, all'improvviso. 
Quando mia madre mi vide, pianse, e mi sarei dato una martellata in testa per la sofferenza che le davo, ma un giorno le parlai e le dissi: "Mamma, se qualche volta mi faccio male, è perché sono sano. Se pensi a quei ragazzi che si drogano e li trovano morti con una siringa nella vena, allora forse penserai che io così sto lontano da quei pericoli!". Mia madre mi abbracciò, e capì! Era orgogliosa del suo bambino, che correva dietro ad un pallone rincorrendo sogni, ma che si potevano avverare, invece di rincorrere incubi dai quali non si poteva fuggire. 

Ma gli incubi arrivano, e li riconosci subito.
Quando mi diplomai, volli andare via da casa mia, per non pesare sulla famiglia e seppure giocassi al calcio, mi trovai un lavoro, e piuttosto scomodo. Fui assunto in una scuola privata con annesso collegio, dove avrei fatto da assistente per molti ragazzi appena più giovani di me. In pratica ero rinchiuso anch'io nel collegio, e tornavo a casa solo il sabato mattina per ritornare al lavoro il lunedì mattina. Non era una vita facile, perché mangiavo poco e male, ed inoltre mi avevano dato una camera senza riscaldamento. Ma strinsi i denti e continuai con amore verso quei ragazzi che avevano forse il problema di essere stati troppo viziati dalle loro famiglie.
Giocavo in Promozione e nel collegio c'erano un paio di ragazzi che giocavano nel medesimo campionato seppure in squadre diverse. Tra questi me ne ricordo uno, G. un ragazzo di diciassette anni, ma con un gran talento e un fisico di prim'ordine. Era anche un bellissimo ragazzo, e questo me lo rimarcava la mia fidanzata, che quando lo vedeva non poteva fare a meno di ammirarlo. Ma la sua amabilità e la sua semplicità me lo rendevano simpatico. E poi era uno dei nostri: un calciatore! 
E successe pure che in una partita fummo avversari, io avevo ventidue anni, lui appunto diciassette. Era una promessa, e per non smentirsi, segnò subito il gol del vantaggio per la sua squadra. Ma nel secondo tempo, io trovai il modo di pareggiare segnando l'unico gol di quell'annata. In collegio, naturalmente, il lunedì ci furono molti commenti, ma tutti felici e orgogliosi sia del loro compagno che di quel "rompiballe" dell'assistente. 

Qualche mese dopo, riuscii ad entrare in banca, e me ne andai. Mi portai il ricordo di tanti ragazzi, che poi rividi in altre occasioni, molte delle quali tristi e indimenticabili. C'erano molti ragazzi simpatici, e con ognuno di costoro avevo raggiunto un accordo di non belligeranza, per il quale io chiudevo qualche occhio, e loro non facevano casino. Tra questi c'era A. forse il più dotato come intelligenza, ma anche il più scavezzacollo. Ed alcuni. come P. di famiglia agiata e che rivedevo spesso in giro per il mio paese. E così altri, che facevano un po' parte della stessa combriccola. 

E qualche anno dopo mi giunse voce che G si drogava, e come tanti drogati si era ammalto di AIDS! Allora era una sentenza inappellabile. La notizia della sua morte mi sopraggiunse presto, ma lo sconforto fu ancora più tragico quando mi giunse l'altra notizia: la sua ragazza, disperata per la sua fine, non volle continuare a vivere senza il suo bellissimo amore  e, preda del suo immenso dolore, si gettò da un dirupo, morendo sul colpo! La maledetta droga aveva colpito doppio, mutilando due famiglie, e lasciando sbigottiti noi che pensavamo a quei giovani ai quali non mancava niente, avendo tutto quello che si poteva avere nella vita, e che erano stati spazzati via dal terribile morbo dell'AIDS, complice la droga, che colpiva anche grandi attori e cantanti come Rock Hudson, e Freddy Mercury! G. e la sua ragazza furono poi seppelliti insieme, a ricordo del loro bellissimo ed impossibile amore.

Ma poco tempo dopo, la droga colpì di nuovo. In quella strana partita dove io e G. ci rispondemmo a suon di gol, c'era anche il portiere che subì la mia rete. Come una maledizione, anche lui era caduto nel tunnel della droga. Ma scelse una via di fuga terribile. Si allontanò in macchina in un posto isolato e, dopo l'ultimo buco, si diede fuoco dentro all'auto, morendo in un modo orrendo!
E tutti questi protagonisti vivevano in quella medesima zona. C'era come un proliferare di pusher ed un traffico di eroina impressionante. Infatti, molti ragazzi avevano avuto a che fare con la maledetta eroina, ma alcuni sembrava ne fossero usciti in qualche modo. 
Sembrava, ma il danno che ti provoca nel fisico te lo porti dietro per tutta la vita ed all'improvviso ti presenta il conto! 
A. fu ricoverato al'ospedale, per un sospetto attacco di ictus. Questo avvenne una decina di anni più tardi, e fu subito portato in sala operatoria. I chirurghi non credevano ai loro occhi vedendo la quantità di materia infetta che stavano ripulendo dal cervello del ragazzo. Però sopravvisse, ma pagando un alto prezzo: rimase cieco! 
Qualche volta lo incontravo, e mi faceva sempre un mucchio di battute, ed io stavo ai suoi scherzi, dicendogli che era un finto cieco perché così poteva prendere la pensione! E lui se la rideva e per "vendetta" mi pagava da bere. 

Ma non andò altrettanto bene a P. Era padre di una bellissima bambina, ed io la conobbi, perché frequentava l'oratorio con la sua mamma. E così ero felice di vederlo con una bella famiglia e una vita normale e piena di soddisfazioni. Ma la droga lo aspettava, e non si salvò da un improvviso attacco cardiaco, che lo fulminò a poco più di quarant'anni! Non era bastato smettere, l'aspettava al varco, continuava a vivere con lui, come un parassita pronto a colpire, e colpì! E così anche Z. che faceva parte dello stesso gruppo di amici, che forse avevano creduto alla stessa "balla" che si raccontava allora: puoi bucarti una o due volte, ma poi smetti quando vuoi! Ed invece al primo buco ci sei già dentro con tutte le orecchie! E quello era lo sporco trucco degli spacciatori, che così arruolavano giovani ingenui e forse con troppi soldi nelle tasche. 

Qualche volta vado in riva al mare, conto i sassi, sento il rumore del bagnasciuga, rivedo i loro visi. Il sapore del sale mi prende la bocca, come se la saliva stesse per seccarsi. Penso a come è bello correre su di un campo di calcio, come quando lo facevo da bambino, spensierato. E li rivedo, bambini che corrono, magari nella spiaggia che abbiamo nel nostro borgo ligure. Poi prendono la sacca e vanno a giocare a calcio, anche loro. E nel correre, non sanno che destino li aspetta, perchè non conoscono ancora il male che attraversa la nostra vita. 

Mi viene in mente Hotel California, canzone degli Eagles, dove il protagonista parla di "warm smell of colitas". Caldo profumo di colita, un allucinogeno. E nel finale, mentre sta per tentare di scappare, un uomo lo ferma e gli dice: "(all'Hotel California) you can check out any time you like, but you can never leave!" Potrai fare il check out quando vuoi, ma non ne potrai mai uscire!
E' l'incubo di un drogato, della maledizione che ti porterai sempre dietro, e che mai potrai abbandonare.

Il calcio deve educare a salvare vite, ed allontanarle dai pericoli. Vigiliamo finchè si può, magari con un po' di severità, ma con l'amore che si può dare!
Il ricordo per quei ragazzi sfortunati deve servire a lottare per le cose belle della vita, del futuro che possiamo dare ai nostri giovani, e che se qualche volta ti rompi qualcosa giocando, è solo perché sei sano e non hai bisogno di paradisi artificiali, ma del paradiso in cui vivi già, il campo di calcio.