Le straordinarie serate europee di questa settimana ci hanno lasciato tante immagini, ma credo che nessuno dimenticherà le lacrime di James Milner alla fine di una partita incredibile.
Rimontare una sconfitta per 3 a 0 non capita tutti i giorni. Abbiamo sentito “You'll Never Walk Alone” cantato a squarcia gola e con l’atmosfera che solo l’Anfield può creare prima della partita; mentre alla fine del match abbiamo visto le facce attonite dei giocatori del Barcellona che non si capacitavano per l’ennesima rimonta subita in una Champions – l’anno scorso fu la Roma a riuscire in un’impresa simile – di cui erano i favoriti vincitori, uscendo dal campo a capo chino e derisi dai tifosi Reds entusiasti. Tante lacrime nella serata di Anfield, quelle di giocatori e sostenitori che piangono per la vittoria. Quella gioia comune, pura e genuina, ha contagiato 52 mila fans sugli spalti ed i 14 giocatori esausti, in un viaggio attraverso le vette dell'euforia prima che il corpo sia costretto a soccombere. Il dibattito se è stata la più grande notte di Anfield durerà a lungo, ma certamente nessun’altra è stata così emozionante.

L'epidemia di pianto si è diffusa rapidamente nell'arena, molto prima che colpisse il numero 7 del Liverpool. Forse nessun altro giocatore dei Reds è mentalmente più forte di Milner. Quando si è fatto avvolgere dalla Kop dopo che Origi ha scoccato la vittoria, il tradizionale abbraccio post-partita del manager Jurgen Klopp rischiava di essere scambiato per consolazione. Una gioia così immensa ed emotiva può accadere una volta nella vita sportiva, ed è un riflesso più profondo del dolore che precede l'estasi. “Dovremo soffrire”, aveva avvertito Klopp prima dell'andata al Camp Nou. Non poteva essere più profetico di così. L'agonia e l’angoscia sopportata per raggiungere la destinazione finale è ciò che rende il calcio così travolgente.

Lo sfogo di Milner ha esposto il dolore della sconfitta di una settimana prima. Allo stesso tempo ci ha rivelato la paura interiore di un'altra brillante stagione che sarebbe finita con nessun trofeo. Il vice capitano che si disperava per un’altra storia sfortunata, la sua tempra di ragazzo dello Yorkshire resa fragile di fronte alla possibilità di dover ascoltare quei messaggi consolatori: “sarà per un’altra volta”, “ci riproveremo l’anno prossimo”. Sì, qualunque cosa accada questo fine settimana e nella finale di Champions League a Madrid il Liverpool tornerà la prossima stagione, ma la ricompensa tangibile per gli ultimi tre anni sarebbe infinitamente più desiderabile piuttosto che doverci riprovare.

Il Liverpool aveva visto appena la sera prima Vincent Kompany centrare l’incrocio dei pali con un tiro da oltre 30 metri di distanza, rendendo probabilmente vana tutta l'energia fisica e psicologica spesa per accumulare 94 punti in Premier League, ottenendo solo l’effimera soddisfazione di avere ottenuto il punteggio più alto mai raggiunto dai secondi, i primi dei perdenti! A ciò bisogna aggiungere le frecciate velenose di di Pep Guardiola sul Liverpool che gioca “senza pressioni”, eguagliato solo dalle affermazioni altrettanto pungenti che i media favoriscano la squadra di Klopp sul Manchester City. Forse Milner, come tanti di quei tifosi del Liverpool che temevano per un altro traguardo mancato sul più bello, aveva fatto i conti con quell'immediato futuro: le provocazioni e il dileggio dei rivali erano inevitabili in un'altra annata a mani vuote. La stagione era sull’orlo di un precipizio. L'improbabilità di ribaltare uno svantaggio per 3-0 contro una squadra che includeva tra gli altri un certo Lionel Messi era così alta che non importa quanto spesso i giocatori dicessero di crederci. Le loro parole sembravano solo frasi di circostanza, buone solo per i tifosi più sognatori. Klopp è stato a bravo però a capire tutto ciò, ed il suo ruolo è stato eccezionale, come Rafa Benitez a metà tempo a Istanbul.

Infatti tra tutte le rivelazioni post-partita, colpisce maggiormente la contraddizione tra ciò che Klopp ha detto pubblicamente e in privato ai suoi giocatori. Qualcosa che ci fa capire di come oramai sia calato a perfezione nello spirito Reds, un legame simbiotico ed indissolubile. Dopo la sconfitta nel Camp Nou, Klopp sembrava così dimesso come se non ci fossero ancora 90 minuti di gioco per provarci. Ad Anfield alla vigilia della seconda tappa, ha colpito un tono simile. Non c'era un grido di battaglia, nessun grande discorso alla Churchill. Klopp non ha mai parlato in modo così sobrio. Certo, un paio di riferimenti a improbabili vittorie del passato c’erano state, ma non con una reale convinzione. Il fallimento era vicino. Dopo si può dire che forse è stata tutta una strategia. Klopp era nel pieno della sua energia già negli spogliatoi di Barcellona dopo quella clamorosa ed inaspettata batosta. Ed ha continuato a caricare i suoi nei giorni successivi, tenendo il morale alto e viva la fiamma di una rimonta che ai più sembrava impossibile. Ora sappiamo che in nessun momento dopo il calcio di punizione di Messi per il 3-0, Klopp ha dubitato dei suoi, della pressione che poteva dare un gol segnato subito ad Anfield, unita alla carica che solo la Kop può dare, per trascinare i giocatori nella storia. Questo perché indipendentemente da ciò che il Barcellona aveva in Messi o Luis Suarez, Klopp era armato di qualcosa in più. Lo stesso Anfield ti da qualcosa in più.

Il 4 dicembre 2014 può sembrare una data piuttosto irrilevante nella storia del Liverpool. Nessun grande allenatore o fuoriclasse è stato ingaggiato, non è stato annunciato nessun mega contratto commerciale, non c’è stato nessun rimpasto nel cda. Niente di tutto ciò, solo una dichiarazione di intenti. Infatti quel giorno fu annunciato che la proprietà aveva intenzione di rimanere nello stadio di Anfield, rinunciando formalmente a tutti gli altri progetti alternativi. A differenza degli altri club che si sono dotati – o hanno in progetto di farlo – di impianti di ultimissima generazione il Liverpool è andato controcorrente. Credo che sarebbe stato difficile immaginare un’impresa del genere da qualsiasi altra parte, il cuore del club ha pulsato così forte che è stato sentito in tutto il mondo. Adesso è stato Klopp ad aver sfruttato la maestosità di Anfield.

In finale dovrà vederla con il Tottenham, trascinato da uno strepitoso Lucas Moura. Il brasiliano aveva già aiutato gli Spurs con un suo gol a evitare la sconfitta a Barcellona nell’ultima partita del girone e qualificarsi per le fasi a eliminazione diretta della Champions League a discapito dell’Inter. Ma una tripletta nella semifinale di ritorno in cui la sua squadra era già considerata spacciata è un qualcosa di diverso, ti proietta in una della più grandi notti nella storia del club. Non c'è da stupirsi che dopo il fischio finale abbia stretto il pallone come se fosse un gioiello prezioso.

L'ultima tripletta di Moura è arrivata contro la retrocessa Huddersfield Town ad aprile, quando è diventato il primo a segnare una tripletta nel nuovo stadio del Tottenham. Ma questi momenti che ha condiviso insieme ai suoi compagni di squadra e agli appassionati degli Spurs li ricorderà per il resto della sua vita. Proprio come Origi per i prossimi avversari della finale di Madrid del Tottenham, anch’egli è diventato un eroe per caso, per molti aspetti è uscito dall'ombra per iscrivere se stesso nei libri di storia degli Spurs. Se Harry Kane fosse stato in forma, allora Moura quasi certamente non avrebbe giocato dall’inizio ad Amsterdam, così come potrebbe capitare in finale se il numero 10 recupererà in tempo, ma quello sarà un altro giorno. Per ora Moura è l'eroe. Una gioia che non si può spiegare, si può solo viverla e condividerla con i compagni di squadra, amici e familiari. Il calcio è fantastico perché è capace di far vivere certi momenti.

Moura è un giocatore straordinario tecnicamente – forse un po' anarchico tatticamente e ciò rappresenta il vero limite per i suoi allenatori – ed è riuscito a mantenere la calma e la lucidità necessaria anche nei minuti di recupero. Il suo terzo gol personale è stato il coronamento di quello che Pochettino aveva predicato nell’intervallo. Nello spogliatoio l’allenatore ha detto che dovevamo segnare un gol per tornare in partita, tutto era possibile e avrebbero dovuto crederci. Crederci sempre come ha fatto Lucas in quell’incredibile finale di partita. Questa era una squadra che sembrava spacciata dopo aver superato miracolosamente il Manchester City nei quarti di finale. Avevano perso nove delle dieci partite in trasferta prima di andare in Olanda e avevano segnato solo un gol in cinque partite. Non c'era nulla che potesse suggerire ciò che poi è accaduto sopratutto dopo i due gol dell’Ajax nel primo tempo.

I tifosi olandesi sugli spalti hanno persino cantato “Do not Worry About A Thing” di Bob Marley dopo il gol di Ziyech. Ma nel secondo tempo è uscita un Tottenham diverso, una squadra con un’altra grinta e convinzione, forse determinata da un discorso motivazionale e di incitamento di Pochettino negli spogliatoi. Fatto sta che le forze in campo sono mutate. All’improvviso erano gli inglesi ad attaccare alto per mostrare ai tifosi di casa che aveva cantato vittoria un po' troppo presto e poi Moura ha fatto il resto. E quando i sostenitori dell'Ajax hanno iniziato a festeggiare, il Tottenham ha trovato il colpo del k.o. negli ultimi secondi scatenando una gioia immensa per i tifosi Spurs. Nel rivedere la propria impresa commentata da un telecronista brasiliano, Lucas ha mostrato anche la sua sensibilità sciogliendosi in un pianto liberatorio.

Le lacrime di Milner e Moura hanno suggellato delle imprese epiche che di diritto entrano nella storia del calcio. Sono stati intrapresi centinaia di studi psicologici per spiegare perché il piacere estremo ti fa piangere. Gli studiosi chiamano questa sensazione “equilibrio emotivo”. Ma non c’è bisogno di interpellare e scomodare luminari, volete sapere davvero che cosa fa piangere gli uomini adulti? Semplice, basta una discesa sulla fascia di Alexander-Arnold che crossa la palla in area favorendo la conclusione in rete di Origi. Oppure ammirare estasiati l’hat-trick di Lucas Moura. Dopo emozioni del genere nulla è più impossibile. Con Liverpool e Totthenam in campo ci sarà un grande spettacolo il primo giugno a Madrid.