Parigi 2021: il Pallone d’oro femminile va ad Alexia Putellas, il capitano classe ’94, nonché centrocampista offensivo ed esterno del Barcellona. Un grande premio per la giovane ragazza nata a Mollet del Vallès, piccolo comune di 50mila abitanti nel cuore della Catalogna. Il campo da calcio è la seconda casa di Alexia, che da brava amazzone sa il fatto suo nell’arte del combattimento a corpo libero con una palla tra i piedi. Ribadiamolo. Donna. E sottolineiamo anche una bella svolta nella storia del calcio italiano: il calcio femminile sarà il primo sport in Italia a passare dal dilettantismo al professionismo a partire dalla stagione 2022/23.

«Il cambio di status delle atlete della Serie A dalla stagione 22/23, garantirà alle calciatrici le adeguate tutele sanitarie, previdenziali e contributive, con un impatto normativo e finanziario sui Club che finanzieranno in buona misura questa innovazione”. Sottolinea Ludovica Mantovani, presidente della Divisione calcio femminile.

La qualità di una buona società deve basarsi proprio su questo: pari diritti per tutte le persone, incluse quelle che praticano sport e incluse le donne. Perché sì, l’italiano medio, ormai, deve capire che nel XXI secolo il gentil sesso può dare spettacolo tanto quanto Messi, Ronaldo, Lewandowski e company.

In Italia il calcio femminile ha fatto fatica a decollare: per alcuni è colpa, ahimè, della solita società patriarcale e maschilista, che vede il pallone come patrimonio intoccabile di soli uomini; per altri è colpa di genitori retrogradi che impongono alle figlie sport femminili. La realtà sicuramente racchiude queste ed altre motivazioni simili, ma è bene sottolineare il fatto che non mancano ragazze per giocare a calcio, sono tante, molto più di quanto i numeri ufficiali dicano. Il problema, forse, è che mancano società e dirigenti qualificati. Avere una società di calcio femminile non vuol dire, allo stato attuale, avere prospettive di guadagno come avviene per le società maschili, perché sì, si guarda al portafoglio.
Ai tempi contro la diffusione dello sport femminile agivano motivazioni di ordine fisiologico, morali, religiose e culturali: la donna doveva essere come la vestale dell’antica Grecia, una mera ancella che coreograficamente doveva celebrare i vincitori.

Le radici di questo sport in Europa sono avvolte nel mistero, ma sappiamo che la nascita la si deve, in gran parte, alle donne che formavano la squadra delle “Signore del Kerr” a partire dai primi anni del XX secolo. Scenario: Inghilterra del 15-18, mentre gli uomini erano impegnati al fronte, moltissime donne sono riuscite a svolgere innumerevoli attività da cui erano escluse, in primis il lavoro in fabbrica. Proprio in una di queste fabbriche di munizioni, la Dick Kerr di Preston, nacque la squadra femminile di calcio di cui si parlava sopra: l’ora del the era diventata una bella partita di pallone, giocata con corpetto e gonna lunga come segno distintivo. Il fenomeno crebbe e iniziò a incuriosire le folle, favorendo la nascita di altre squadre femminili: nel 1921 se ne contavano 150, con tanto di preoccupazione della Football Association inglese, che decise di bandirne la pratica nello stesso anno. Ai tempi contro la diffusione dello sport femminile agivano motivazioni di ordine fisiologico, morali, religiose e culturali: la donna doveva essere come la vestale dell’antica Grecia, ossia una mera ancella che, coreograficamente, doveva celebrare i vincitori.

Spostiamoci in Italia: Milano 1930, viene fondato il Gruppo Femminile Calcistico, con scarsi risultati. bisogna aspettare il 1968, anno in cui nasce la F.I.C.F che dà vita al campionato italiano con 10 squadre e due gironi: il primo scudetto va al Genova Calcio Femminile che batte la Roma. Nel 1970 nasce la F.I.F.G.C., con la quale si parla di serie A e B.

Negli ultimi decenni lo sport femminile ha raggiunto sicuramente un grande rilievo, grazie ai successi delle atlete, chiamando l’attenzione di istituzioni e mass media, ma tante sono le zone d’ombra. Il cammino d’arrivo è stato difficile, sia per la difficoltà di emanciparsi nel passato, sia per la scarsa presenza di donne al vertice, all’interno di federazioni che sono parte del Coni. Lo sport non è vettore di ideologie dominanti, ma è libertà d’essere, e questo un giorno verrà completamente interiorizzato dal sociale.