Anche quest’anno la Pasqua è arrivata puntuale come sempre.
Certo, senza grigliate tra amici, abbuffate in famiglia e quel mood da primavera inoltrata che solitamente il sole ci restituisce sulla pelle in questi periodi, non è la festa che conosciamo né tantomeno quella con cui siamo cresciuti.
Un po’ come le domeniche senza Serie A.
Ma tant’è. La situazione esiste, è concreta, e non possiamo fingere altrimenti: bisogna remare tutti uniti, nella stessa direzione.
Giocare di squadra. Lavorare di fantasia, l’unica in grado di farci evadere in questa quarantena forzata.

La celebrazione della risurrezione è una ricorrenza simbolica, un simbolismo che, con atto di immedesimazione, può essere applicato anche al mondo del pallone.
Basta pensarci un secondo, chiudere gli occhi e lasciarsi andare.
Quanti giocatori abbiamo visto tornare da gravi infortuni addirittura più forti di prima, in una vera e propria risurrezione sportiva miracolosa?
Alcuni ci sono riusciti. Per altri, invece, la sorte è stata meno caritatevole.
Andiamo a scoprire quindi i 5 giocatori che hanno dimostrato capacità di resilienza fuori dal comune, sfidando destino e cartelle cliniche.

ALESSANDRO DEL PIERO
È l’8 novembre del 1996, si gioca Udinese - Juve. Al minuto 92 succede che, imbeccato in profondità, il ginocchio di sua maestà Pinturicchio sbatta involontariamente conto il gambone di Marco Zanchi, suo futuro compagno di squadra.
Black out.
Silenzio.
Paura.
Il dolore sul volto, le contorsioni, e quella mano alzata che fa subito capire la grave entità dell’infortunio. Da quella zolla non si alzerà mai con le proprie gambe: la diagnosi parla di rottura del legamento crociato, anteriore e posteriore.
Nove mesi di stop da rispettare dopo l’intervento chirurgico negli States.

Il calvario segue il suo corso e, dopo mesi di lunga agonia e pazienza, è di nuovo il momento: Alessandro può tornare in campo a difendere i colori della sua amata Vecchia Signora.
Le prime apparizioni sono blande, cosa del tutto normale dopo uno stop così lungo e soprattutto così grave.
Il periodo di appannamento però sembra durare tanto, troppo, per essere vero.
“Quello non è Del Piero”.
Voci di corridoio e giornali iniziano a rincorrersi e farsi sempre più insistenti: Alex non tornerà mai più quello di prima.
Ma è nell’estate del 1998 che qualcosa cambia. Che la ruota gira ed il fato si fa meno beffardo.
Pinturicchio offre una prestazione degna del suo nome nella prima di Intertoto contro il Rostov.
Da quel momento la sua ascesa tornerà inarrestabile, consegnandoci un campione leggendario capace di marchiare a fuoco anche la vittoria del Mondiale 2006.
Perché la grandezza di Del Piero come uomo e calciatore è sempre stata questa: sapersi rialzare dopo essere caduto superando i momenti di difficoltà con raziocinio, abnegazione, intelligenza, umiltà.

LUIZ NAZARIO DA LIMA – RONALDO
È il settembre del ‘98 e, ancora spaventati dalla notte della finale Mondiale in cui il campione carioca venne ritrovato da Roberto Carlos riverso sul letto e con la bava alla bocca, i medici dell’Inter sono costretti a darne la notizia: Ronaldo soffre di tendinopatia rotulea.
Iniziano cicli di cure sempre più meticolose, ma è in un maledetto Inter-Lecce che tutto cambia di nuovo inesorabilmente.
La cartilagine rotulea del Fenomeno subisce una lesione parziale, costringendolo a volare d’urgenza a Parigi per sottoporsi ad un’importante operazione.
Il popolo interista è affranto.
Il campione tanto amato, quello su cui sono riposte le speranze di tutti, sembra all’improvviso un ragazzino come tanti, fragile, spaesato, vulnerabile.
Inizia una lunga, paziente riabilitazione che restituirà al Meazza il proprio campione solo nell’aprile del 2000.
Il ritorno in campo di Ronaldo è una manna dal cielo per tutti: per gli interisti, desiderosi di riappropriarsi di quel talento cristallino, e per tutti gli amanti del calcio, che hanno intravisto in Ronaldo un messaggero, un messia capace di mostrare uno stile di gioco unico, ancora mai visto.
Passano soltanto 6 minuti, 6 maledettissimi minuti per ripiombare in un baratro ancora più buio e profondo del precedente.
Mentre con le sue classiche movenze funamboliche si appresta a disorientare l’avversario, il tendine già operato salta, lacerandosi completamente.
Ronaldo crolla a terra e le immagini di dolore, tra urla e lacrime, impietosiscono il mondo intero.
Il giorno dopo il ragazzo è di nuovo a Parigi sotto i ferri del professor Saillant, lo stesso chirurgo del primo intervento.
Il rientro si concretizza solo a giugno 2001, durante un’amichevole, ma è evidente a tutti che il Fenomeno non sia più lo stesso: non ha più la forma fisica dei 20 anni, è potente ed elastico nella parte alta del corpo, ma la struttura ossea e muscolare non sembra ancora pronta a sostenere l’impatto.
Seguiranno decine di infortuni muscolari, che gettano ombre sul proseguo ad alti livelli della sua carriera.
Arrivano i mondiali in Korea e Giappone del 2002 e, nonostante le dicerie, Ronaldo è saldamente titolare al centro dell’attacco.
È il momento della rinascita.
A suon di gol e giocate trascina la Seleçao alla vittoria Mondiale per poi cedere alle lusinghe del Real Madrid, con cui vincerà una Coppa Intercontinentale, un titolo nazionale e stabilirà svariati record e primati personali.
Forse non è più quel giovane funambolo sgusciante che faceva ammattire le difese di tutta Europa, ma è ormai una punta completa, matura, capace di sfruttare le proprie caratteristiche al servizio della squadra.
Un giocare totale, imprescindibile.
Ronaldo il Fenomeno è tornato.

PETER CECH
È un 16 ottobre come tanti in Inghilterra, una giornata di Premier League senza troppe pretese.
Si gioca Reading – Chelsea, e a difendere la porta dei Blues c’è un portiere all’apice della sua carriera, considerato tra i migliori al mondo. Peter Cech è una sicurezza, un gigante tra i pali di Stamford Bridge. Sono passati appena 16 secondi.
Uscita bassa. Stephen Hunt non riesce a togliere il piede. Impatto.
Sembra soltanto una brutta botta, sottovalutata da arbitro e da Cech stesso, che dopo le prime cure segnala a gesti soltanto un lieve giramento di testa. Ci vorranno appena 4 minuti per farlo uscire. Non ricorderà un solo istante di quei momenti.
Cech riscontra una parziale rottura del cranio per la quale gli vengono applicati due sostegni metallici per riposizionare correttamente le parti lesionate.
Ci vorranno 98 giorni per rivederlo in campo, con un nuovo look che intenerisce chiunque: il gigante polacco infatti, è costretto ad indossare un vistoso caschetto protettivo.
Dubbi e domande si fanno sempre più insistenti: come può un calciatore con lesione cranica, perlopiù portiere, tornare a volare da palo a palo e a tuffarsi impavido tra le gambe degli avversari?
Ma Peter Cech è un ragazzo abituato a prendere la vita col sorriso, senza farsi scoraggiare da niente e da nessuno.
“Certo che vorrei toglierlo, ma se poi lo togliessi e mi infortunassi nuovamente, l’assicurazione non coprirebbe.” Ironizza così alle domande dei giornalisti.
Ed è con lo stesso spirito ottimistico e positivo che il ragazzo riprende la propria carriera.
Da allora diventerà il portiere col maggior numero di clean-sheet in Premier League e unico a vincere il Golden Glove con due differenti squadra, Chelsea e Arsenal.
Quel pomeriggio come tanti di un normalissimo 16 ottobre è ormai solo un brutto ricordo.
Peter Cech, novello supereroe, torna il gigante apprezzato da tutti, uno dei portieri più affidabili in circolazione.

EDGAR DAVIDS
Il “Pitbull” è ricordato per essere stato uno dei centrocampisti olandesi più talentuosi degli ultimi 20 anni, ma anche per quel suo look da bad boy diventato iconico e capace di conferirgli un aspetto ancora più aggressivo.
Ha 26 anni, una delle tifoserie più importanti d’Italia ai suoi piedi, e una carriera in rampa di lancio quando inizia ad avvertire forti emicranie ed episodi di alta pressione. È così che scopre la malattia.
Edgar ha un glaucoma in stato avanzato che gli ha provocato un danno al nervo ottico, con conseguente perdita di visione generalizzata.
Se non si intervenisse per tempo la sua carriera sarebbe destinata a finire precocemente, e anche agendo in rapidità rimarrebbero dei rischi che ne potrebbero compromettere il futuro da atleta.
Il giocatore entra in una spirale di negatività: si infuria per l’assenza forzata dai campi di gioco e non accetta il continuo vociferare mediatico riguardo la sua condizione. Del resto è sempre stato un maniaco della privacy, e questo momento lo mette di fronte anche ad una delle sue più grandi paure, quella dell’esposizione mediatica.
Una gogna che mette in discussione anche il proseguo della stessa carriera.
Davids, guerriero per natura, non ci sta.
Gli vengono somministrate delle gocce considerati illegali in Italia, e dovrà pazientare molte settimane anche dopo l’intervento chirurgico di asportazione del glaucoma per ottenere il via libera da Uefa e FIGC.
Non solo le gocce però.
Il Pitbull torna in campo con degli speciali occhialini mai visti prima, delle lenti protettive che sembrano tramutarlo nel personaggio di un cartone animato futurista. Un personaggio capace di mettere a ferro e fuoco il centrocampo avversario grazie a un cocktail ben shakerato di tecnica, esplosività e rabbia agonistica.
Davids è pronto a riprendersi quello che aveva lasciato e a smentire le malelingue nel modo che preferisce: combattendo sul campo.
Contribuirà in maniera decisiva alla vittoria di altri due Scudetti bianconeri, verrà annoverato nel “Team of Tournament” del campionato europeo del 2000, riuscirà a sollevare con l’Inter l’unico trofeo italiano non ancora vinto –la Coppa Italia- e nel 2004 verrà inserito di diritto nei FIFA 100, la lista indicante i migliori 125 calciatori viventi stilata dalla Fifa.
Niente male per uno che avrebbe dovuto smettere di giocare a calcio.

FRANCESCO TOTTI
Il 19 febbraio 2006 il respiro di tutti i calciofili del Bel Paese si è fermato qualche minuto.
Richard Vanigli, onesto difensore dell’Empoli, in un goffo tentativo di anticipo fa perdere l’equilibrio a Totti, facendolo cadere al suolo.
Il piede si pianta nel terreno, la caviglia si gira in maniera innaturale.
La diagnosi è frattura del perone con associata lesione capsulo-legamentosa complessa del collo del piede sinistro, il che significa almeno 7 mesi con 8 viti e una placca di metallo impiantate nelle gambe.
È una mazzata tribale non solo per i romanisti, ma per tutti i tifosi italiani.
Siamo alle porte del Mondiale teutonico e, dopo la cocente delusione del 2002 marchiata Byron Moreno, abbiamo aspettato 4 lunghi anni per provare a prenderci la nostra personale rivincita. La nazionale di Lippi gira, è compatta, un’alchimia magica tra talento e spirito di sacrifico.
Totti non ne è solo un leader carismatico. Il capitano della Roma è visto anche come uno dei punti di riferimento tecnici di una squadra già imbottita di top player. Rinunciare a lui e a quello che significa per compagni e tifosi potrebbe essere un duro colpo in vista della Coppa del Mondo, uno spauracchio che sembra ormai certo e di cui bisogna prendere atto.
I tempi di recupero sembrano terribilmente troppo lunghi per pensare di poterlo vedere indossare la mitica 10 azzurra durante la competizione mondiale.
Le mani del Professor Mariani, incaricato dell’operazione, sono quelle di 60 milioni di italiani.
L’intervento riesce alla perfezione, ma il tempo che separa Francesco da Germania 2006 sembra inverosimilmente breve per riuscire a recuperare anche solo in minima percentuale.
Tutti si stringono intorno al ragazzo, da Lippi, che gli garantisce comunque un posto tra i convocati anche qualora non recuperasse, a Spalletti, che passa intere nottate con lui in ospedale a progettare la Roma del futuro.
Ed è forse proprio l’affetto di tutti unito alla voglia di esserci del Pupone a far succedere l’inaspettato: la ripresa sembra proseguire bene, spedita, addirittura più velocemente dei tempi prefissati.
Una luce infondo al tunnel c’è, una flebile speranza da coltivare con la fiamma della passione esiste.
Stacco.
È un tardo pomeriggio del 26 giugno, a Kaiserslautern si giocano gli ottavi di finale della coppa del Mondo tra Italia e Australia.
Al 95esimo minuto di uno scialbo zero a zero, quando tutti si stanno ormai preparando mentalmente e fisicamente ai tempi supplementari, Fabio Grosso -sempre lui- entra in area da sinistra e viene atterrato.
È calcio di rigore per l’Italia.
Dentro o fuori.
Vivere o morire.
Sul dischetto si manifestano gli occhi cerulei e concentrati dell’ottavo re di Roma.
Palla all’incrocio.
L’italia accede ai quarti di finale di quella che diverrà una cavalcata leggendaria.
Francesco Totti c’è, c’è sempre stato, contro ogni previsione medica si laurea campione del mondo con merito insieme agli altri 22 indimenticabili eroi di Berlino.

“Il calcio a volte è strano, Beppe”.