Lazio-Inter ancora una volta è finito, metaforicamente parlando, con un risultato sanguinoso: i nerazzurri infatti vincono e soprattutto convincono, mentre i biancocelesti si confermano piccoli nel mondo dei grandi.

Tutto frutto del caso

Che la Lazio si ritrovasse, prima del match con l'Inter, quarta in campionato non era poi una notizia clamorosa: in fondo, Inzaghi ci aveva lo scorso anno abituato a una squadra spumeggiante, capace di sfiorare la Champions League per un soffio. La vera notizia è il modo con cui si è ritrovata lì anche in questa stagione, ovvero vincendo, ma senza convincere nemmeno un po'. E la partita di ieri sera ne è stata la prova, il castello di carte è miseramente crollato davanti a un Mauro Icardi cinico al modo giusto, che prende i suoi e li trascina verso una vittoria importante che vale il secondo posto momentaneo. Ma la domanda è: come ha fatto uno scontro "di alta classifica" a finire in malo modo? In tanti si aspettavano infatti una partita combattuta, e invece si sono ritrovati davanti ad un risultato tondo. Forse pure troppo. La risposta è molto semplice: la squadra romana ha incanalato una serie di vittorie figlie del caso, di episodi giusti al momento giusto, come ad esempio l'uno a zero casalingo contro la Fiorentina, risultato importante ma che è arrivato giocando male. E prima o poi, sbattere contro il muro era inevitabile.

Quantità, ma non qualità

A livello tattico è difficile riuscire a rimproverare qualcosa alla squadra di Spalletti: hanno letteralmente quasi annullato Immobile, che è riuscito a mostrare i suoi famosi "tagli" soltanto in un paio di occasioni, dove si è però ritrovato davanti un ottimo Handanovic. A centrocampo poi i biancocelesti sono stati surclassati, complice forse anche l'assenza di un mediano come Leiva. Badelj infatti, non è stato in grado di dettare i ritmi, compito che di norma spetta al brasiliano, permettendo a Brozovic e Joao Mario di farla da padroni.

Un sergente in concedo

In una serata dove a brillare non è stato certamente il centrocampo laziale, spicca più di tutte l'anonima prestazione di Milinkovic-Savic, sempre più passivo e meno decisivo. Oltretutto, la cosa che più fa arrabbiare è il fatto che il serbo, in un paio di occasioni mostra anche le sue "classiche giocate" di repetertorio, tornando poi subito dopo nell'anonimato e sbagliando le cose più elementari. E alla Lazio, se sbaglia lui, sbagliano tutti.